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Barbara

Definisci il tuo scopo e decidi cosa vuoi fare da grande

Ottobre 23, 2020 da Barbara

Fare piani per il futuro in un momento di incertezza globale è complesso, ma mai come in questo momento storico è fondamentale che ti interroghi sui tuoi obiettivi di lungo termine, per navigare gli imprevisti con la mano sicura sul timone della direzione in cui vuoi andare. Le grandi aziende lo chiamano ‘scopo’, un termine che fino a poco tempo fa sembrava applicabile solo alla sfera personale delle persone. 

Per me si traduce più facilmente in “quello che voglio fare da grande” e in questo post ti racconto come e perché è utile definirlo, a qualsiasi età.

Cosa ha “quello che voglio fare da grande” a che fare con lo scopo? Cerco di spiegartelo partendo dal senso che per me ha questa espressione.

Quando hai più di quarant’anni e parli di quello che “vuoi fare da grande” le reazioni delle persone sono di norma di due tipi: un sorriso, pensando che tu stia usando la frase con autoironia, oppure velato disprezzo, traendo conclusioni sulla tua maturità e sul tuo successo personale.

Nessuna di queste interpretazioni considera l’ipotesi che  “da grande” possa non essere un punto di arrivo, ma una potenzialità che si esaurisce davvero solo con la morte. Questa è esattamente la valenza che ha la frase per me.

A sostegno della mia interpretazione ci sono diversi argomenti:

  • i tempi in cui viviamo, soggetti a un’accelerazione pazzesca dal secondo dopoguerra ad oggi, vedono le condizioni di vita in continua evoluzione e richiedono aggiustamenti e adattamenti altrettanto continui;
  • le mutate aspettative di vita portano ciascun* di noi a immaginare un’esistenza almeno parzialmente attiva anche oltre i sessanta/settantant’anni, dandoci più tempo per portare a maturazione un percorso e spazio per esplorarne altri;
  • la crisi del sistema pensionistico difficilmente ci permetterà (anche se lo volessimo) di ritirarci a sessanta/stettant’anni 😉

In sostanza, le generazioni dalla X in poi difficilmente possono permettersi di scegliere una carriera a venti/trent’anni e tenersela fino al momento della pensione (di Stato o auto-finanziata che sia). 

Quello che capita più spesso è che nel corso della tua vita lavorativa tu passi da un settore all’altro, da una professione all’altra, continuando a formarti, aggiornarti, guardarti intorno alla ricerca di una soluzione che meglio ti permetta di sentirti realizzat* e di guadagnarti da vivere allo stesso tempo.

Insomma, se sei nat* dopo la seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso, quello che vuoi “fare da grande” non è un mestiere finito, ma al massimo una tendenza.

In un contesto di dinamismo come questo, il rischio più grande non è scegliere la professione sbagliata, ma spostarti quasi a caso da una professione all’altra rispondendo esclusivamente agli input esterni.

Così facendo le tue decisioni sarebbero guidate non dalla tua identità, dai tuoi valori, dalle tue aspirazioni, ma esclusivamente dagli eventi. Quindi da un insieme di fattori quasi completamente scollegati tra loro, privi di una logica di unità. Soprattutto che non contribuiscono al raggiungimento dei tuoi obiettivi.

È per questo che vale sempre la pena interrogarti sullo scopo che vuoi raggiungere con la tua esperienza lavorativa. 

Sia a titolo personale, ma non solo.

Mi spiego, è evidente che il tuo scopo abbia a che fare con la tua sfera personale, la tua identità, i tuoi valori e le tue aspirazioni come dicevo qui sopra. A questo poi si aggiunge l’impatto che vorresti che queste decisioni avessero sulla tua vita, quanto ti renderanno felice o realizzat* e così via.

Ma la riflessione è più ampia e se lavori da dipendente riguarda anche l’impatto che vuoi lasciare sull’organizzazione (o le organizzazioni) con cui lavori, sui tuoi colleghi e le tue colleghe, su fornitori e clienti. Se sei un* liber* professionista o titolare di un’azienda, riguarderà poi le tue scelte di business e l’impatto della tua attività su chi collabora con te e sulle persone che aiuti, oltre che sull’ecosistema di cui fa parte la tua impresa.

Insomma, decidere quel che vuoi “fare da grande” comporta rispondere a una serie di domande che possono apparire enormi.

In realtà, se le affronti con apertura e serenità il processo si rivela molto più semplice del previsto, per questo ho pensato di dedicare all’argomento un post.

Già qualche settimana fa ho cercato di convincerti che si potesse pianificare il futuro anche in un momento di incertezza, anzi fosse ancora più importante farlo proprio in questi casi. Qui ti invito a fare un esercizio di progettazione a lungo termine per il tuo lavoro, a partire da un elenco di domande, da affrontare nell’ordine in cui te le propongo:

Come ti immagini il punto di arrivo?

Quando faccio questa domanda alle persone con cui lavoro la formulo in modo se vuoi un po’ macabro: se guarderai indietro dal tuo letto di morte, cosa vorrai aver realizzato? Trovo che aiuti tutt* a visualizzare in modo immediato il futuro che vorrebbero. Provaci anche tu: chiudi gli occhi e visualizza il tuo punto di arrivo, con te al centro.

Quali saranno le conseguenze sulle persone che ami, sulle persone con cui lavori, sulla tua clientela?

Lascia perdere l’impatto che la tua scelta avrà su di te, ci hai già pensato implicitamente rispondendo alla prima domanda. Ora è il momento di concentrarti sugli altri, partendo dalle persone di cui ti importa in più.

Che impatto avrà la tua realtà del futuro sull’ambiente in cui vivi e sulla società di cui fai parte?

Immagina il cambiamento che potrai provocare intorno a te, nel tuo piccolo. Insieme alla risposta alla domanda precedente, questa descrive la tua legacy, l’eredità che lascerai al mondo.

Ora lavora a ritroso dalla tua visione del futuro remoto: quali sono le azioni che devi fare, dalle più lontane alle più vicine, che ti permetteranno di costruire quel futuro?

Non pensare al dettaglio, ragiona piuttosto per fasi di ampio respiro. Anche senza mappare ogni singola azione dei prossimi quarant’anni puoi comunque identificare dei traguardi intermedi verso cui puntare nel medio-breve termine.

Non dimenticare le influenze esterne, quali fattori incideranno maggiormente sulla riuscita della tua costruzione?

Pensa agli ostacoli che dovrai superare, alle tue difficoltà di partenza, a eventuali imprevisti che potrebbero interporsi tra te e il tuo obiettivo finale.

Ora hai la tua risposta, ed è molto più semplice di quanto non sembrasse all’inizio.

Il tuo scopo è ottenere le risposte alle prime tre domande, mettendo in pratica le azioni ricavate rispondendo alla quarta domanda e tenendo sotto controllo le influenze esterne che hai scoperto con la quinda domanda.

Quello che “farai da grande” prenderà nel tempo diverse forme, ma sarà quel ruolo o quella professione che ti permetterà di portare avanti le azioni necessarie a realizzare il tuo scopo.

Visto? Così è molto più semplice, no? Rende anche più sopportabile tutte le battute di arresto, e le pause che potrai o dovrai prenderti lungo il cammino, perché ti insegna a vederle come delle tappe di un percorso che controlli invece che come delle spinte fuori strada.

È un processo di auto-analisi che puoi ripetere quante volte vuoi.

Per me per esempio, è parte integrante del mio percorso di definizione degli obiettivi, che ripeto ogni anno, rivalutando le mie scelte sulla base delle condizioni aggiornate in cui mi trovo.

Ma ti confesso che più tempo passa e più anche le revisioni tendono a iscriversi nel solco della tendenza che ho tracciato anni fa. Ormai sono arrivata al punto che guardando indietro, pur avendo ricoperto diversi ruoli, riesco a vedere la traccia del mio scopo già nella mia adolescenza.

Se non hai mai dedicato tempo a questo processo, ti consiglio di farlo adesso. Non credo davvero ci sia momento migliore 😊

Immagine di copertina di Nick Fewings/Unsplash.

Archiviato in:cose di strategia Contrassegnato con: trovare uno scopo

Eventi virtuali e ibridi per negozi fisici

Ottobre 2, 2020 da Barbara

babepi virtual events in-store

Tradizionalmente in autunno-inverno, per chiunque abbia un punto vendita si apre la stagione degli eventi per portare nuov* acquirenti in negozio e assicurarsi il loro shopping natalizio.

Come fare a trarre il massimo da questo periodo, convivendo con una seconda ondata di Covid-19? A prescindere dal colore della zona in cui ti trovi e da eventuali lockdown (locali o nazionali)? Che ti piaccia o no, questa è la realtà con cui fare i conti nel 2020.

Ci penso da alcuni mesi, e se sei iscritt* alla mia newsletter (la versione con consigli di marketing lifestyle) ti ricorderai i primi consigli a luglio. Oggi finalmente raccolgo tutte le idee in un unico vademecum dedicato soprattutto ai negozi indipendenti.

La mia proposta è ripensare i tradizionali eventi in-store con modalità flessibili che integrino reale e virtuale.

Se tra ottobre e dicembre avevi in programma di presentare uno nuovo marchio o nuovi prodotti nel tuo negozio con un bell’evento, ripensalo già da ora come un evento virtuale. Con qualche semplice accorgimento potrai sempre aggiungere una parte “in presenza” se la pandemia lo permetterà.

La cosa più importante è che affronti l’inziativa con lo spirito giusto.

Affronta il cambiamento con una logica di lungo periodo

Il grande motore che deve muoverti nell’organizzazione di un evento virtuale non è un ragionamento di compromesso temporaneo. Piuttosto merita una riflessione completa su cosa puoi fare per cambiare a lungo termine il tuo modo di fare eventi, in modo che siano efficaci e ti garantiscano un impiego efficiente delle tue risorse.

Non immaginare di tornare a una fantomatica normalità alla fine della pandemia. Progetta invece questa stagione come la prima di una nuova era in cui le persone modificheranno il proprio rapporto con il commercio e tu sarai in grado di servirle al meglio. Non è solo buon senso, è la risposta intelligente alle numerose indagini che i centri studi di marketing stanno svolgendo in questi mesi e che segnalano mutate abitudini nei consumatori e una tendenza a consolidare queste abitudini.

Ti allego qui solo uno delle decine di documenti che ho letto nei mesi scorsi, pubblicato da McKinsey in agosto: Meet the next-normal consumer. McKinsey e Oxford Economics hanno sottolineato che l’approccio ai consumi si sta dirottando verso:

  • maggiore ricorso al commercio elettronico;
  • preferenza a marchi noti e conosciuti;
  • minore frequenza d’acquisto con maggiori quantitativi per acquisto;
  • tendenza a scegliere negozi più vicini a casa;
  • maggiore importanza data alla sostenibilità.

Il futuro è già qui

Questo non significa che i tuoi clienti non torneranno più a trovarti in negozio. Più probabilmente tenderanno a farlo meno e solo se saprai mantenere attiva con loro una relazione soddisfacente anche in quei periodi in cui non possono raggiungerti fisicamente. Non a caso nello stesso studio trovi una statistica riguardante l’Italia che fa pensare. Il 60% delle persone hanno comprato online in questi mesi, ma meno del 10% ha trovato l’esperienza soddisfacente, facendo supporre che non necessariamente continueranno a farlo in futuro.

Se anche tu volessi resistere psicologicamente a questa visione di futuro (insomma, se vuoi viaggiare col prosciutto sugli occhi ancora per qualche mese) organizzare eventi virtuali ha vantaggi innegabili per un negozio fisico:

  1. ti permette di raggiungere persone più lontane nello spazio, che prima si rammaricavano di non poter essere parte dei tuoi eventi;
  2. ti aiuta a superare la capacità ridotta dello spazio fisico che hai a disposizione in negozio.

Gli obiettivi non cambiano, si evolve solo la modalità

Se hai bisogno di altre rassicurazioni, sappi che cambiare il modo di fare eventi non vuol dire rinunciare ai tuoi obiettivi. Puoi ancora fare eventi per attirare nuovi potenziali clienti, per fidelizzare quelli esistenti, per lanciare un prodotto.

Insomma, non cambiano le tue esigenze, ma sei tu che scegli una modalità diversa di coltivare la relazione con la clientela che vuoi attrarre e conservare. Proprio come è successo nelle “televendite” organizzate dal concept store ila malù a Brescia. Originariamente andate “in onda” nelle storie di Instagram, le puoi ancora vedere su IGTV. Sono uno splendido esempio di come ricreare l’atmosfera e la relazione esistente in negozio anche a distanza.

Tutto quello che ti serve per organizzare un evento virtuale per il tuo negozio

È possibile che il passaggio agli eventi virtuali ti spaventi perché non hai organizzato un ecommerce. Certo, averlo può semplificare di molto l’acquisto a distanza anche con la tua clientela abituale, ma non è fondamentale in questa fase.

Gli ingredienti base per organizzare eventi virtuali in negozio sono solo tre:

  1. una solida presenza online con un sito web anche piccolo ma ben costruito (quindi strutturato con una logica SEO, per farti trovare facilmente) e con una pagina Google My Business da tenere aggiornata e monitorata. Per questa concentrati soprattutto su tre contenuti: i tuoi recapiti, orari aggiornati e monitoraggio delle recensioni;
  2. un profilo social dotato di strumento “Diretta” e idealmente di un catalogo prodotti. L’opzione più ovvia al momento è Instagram, ma valuta in base al tuo bacino di clientela se Facebook non possa essere più efficace. È soprattutto una questione generazionale, ma vale sempre la pena fare un’indagine tra la tua clientela per capire quale arena frequenta;
  3. ‘vantaggi’ digitalizzabili. Per attirare le persone al tuo evento devi offrire valore (non importa che sia un corso, uno sconto o un regalo), quindi assicurati che questo valore sia erogabile anche in forma virtuale. Potresti offrire una consulenza in video (come già dal primo lockdown ha cominciato a fare Trinny London), un codice sconto utilizzabile anche per acquisti online/da remoto, persino un pacco dono fisico.

Le risorse utili

Sistemati gli elementi fondamentali per realizzare l’evento, ci sono poi alcune risorse che possono fare la differenza tra la sua riuscita e… be’ scarsi risultati!

Eccone qui alcune a cui pensare fin da ora:

  • una fotocamera di qualità con treppiedi, per esempio uno smartphone di nuova generazione. Ma se l’evento richiede che tu ti muova prevedi di avere anche una persona che ti filmi magari con uno stabilizzatore;
  • un microfono lavalier per assicurare una buona comprensione di ciò che dici. Anche qui potrebbero bastare gli auricolari dello smartphone;
  • un sistema di raccolta dati in regola con il GDPR. Dovrebbe essere semplice da usare e accessibile sia online (per chi si iscriverà da remoto) sia in negozio. Per esempio potresti creare una landing page associata al tuo sito. Di persona puoi farla compilare su un tuo tablet; a distanza puoi condividerla come link che invii su Whatsapp o tramite QR code. Attenzione che farai foto o registrazioni il consenso di chi partecipa deve includere anche l’uso delle immagini.

Se devi comprare apparecchiatura tecnologica basica e non sai dove cominciare, Veronica (Spora) ha da poco pubblicato una selezione molto completa e utile su Amazon.

Integrazione tra reale e virtuale

Se ci hai fatto caso, tutti i consigli che ti ho fornito finora si prestano sia ad eventi esclusivamente virtuali, sia ad eventi in negozio che permettono anche la partecipazione da remoto.

Mi sembra una buona idea continuare a ragionare in questa forma ibrida, perché magari oggi nella tua regione i negozi sono chiusi e quindi puoi solo condurre un evento da casa. Ma tra due settimane potresti riaprire le porte e avere alcuni tuoi clienti abituali residenti in comuni con lockdown locali.

Tutti gli eventi utili a un negozio indipendente possono essere riformulati con queste identità ibrida:

  • presentare una nuova collezione (e/o nuovi prodotti) a 15 dei tuoi migliori clienti e mandarla in streaming per tutti gli altri;
  • offrire una vendita esclusiva a tempo (con prezzi riservati ai clienti registrati all’evento) contemporaneamente in negozio e sul tuo ecommerce;
  • farti conoscere da nuovi clienti con una partnership con i negozi della tua strada, mettendo in comune le liste clienti (se hanno rilasciato il consenso adeguato) e organizzando un workshop. Anche questo evento può avvenire a numero chiuso in negozio e ripreso in diretta sul tuo canale Instagram.

E così via. Per renderti la vita più semplice ecco un esempio.

Come integrare la presentazione di nuovi prodotti

L’artigiano del quale vendi la bigiotteria in esclusiva per la tua città ha una nuova linea di gioielli. È dedicata al virus e riporta la sua forma minacciosa su monili ironici e colorati (l’idea è disponibile per chi vuole farla propria, ma per favore citatemi!). Come lanciarla adeguatamente?

Prima di tutto predisponi il lancio online, creando in anticipo:

  • una pagina di presentazione sul tuo sito;
  • una pagina di prodotto per ogni monile sul tuo ecommerce;
  • o in alternativa sul tuo catalogo Facebook/Instagram.

Scatta ogni singolo monile in un punto riconoscibile del tuo negozio e compila le schede prodotto in modo che possano sopperire alla mancanza di esperienza tattile. Quindi mostra chiaramente le proporzioni nelle foto, scrivi con cura le dimensioni di ogni pezzo, raccontane ogni sfumatura di colore, materiale e finitura.

Organizza la presentazione per una domenica mattina e prevedi l’accesso solo su registrazione. In questo modo non ti priverai del traffico del sabato (se il DPCM del momento ti consente di aprire) e avrai l’occasione di raccogliere i dati delle persone interessate per eventuali comunicazioni future. Proprio come dovresti fare sempre in negozio.

Predisponi un codice sconto speciale e a tempo per la durata dell’evento (o della giornata dell’evento), che comunicherai esclusivamente a chi partecipa (o a chi si iscrive, se preferisci).

Durante e dopo

Durante l’evento assicurati di filmare al meglio i monili in movimento, mentre vengono provati (anche solo da te), combinati con altri accessori, per dimostrare come ‘vivono’. Garantisci in ogni momento un’esperienza sicura e igienica a chi entra in negozio.

Arruola parenti e amici e accetta ordini via telefono o Whatsapp, se non hai un ecommerce attivo. Appena termine l’evento mettiti all’opera con l’impacchettamento (con soluzioni che limitino sprechi e inquinamento) e la consegna.

La settimana successiva manda una nota di ringraziamento a tutte le persone che hanno partecipato. Basta un messaggio email o Whatsapp, ma una cartolina cartacea farà la differenza. Il messaggio sarà davvero semplice e disinteressato: “grazie di aver partecipato, ora sei a tutti gli effetti parte della squadra/tribù/famiglia del negozio”. Includi uno sconto minimo ma a lunghissima scadenza (tipo il 5% fino a tutto il 2021, ma decidi l’importo perché sia sostenibile per il tuo bilancio), oppure una pin con il logo del negozio.

Anche se tu dovessi condurre l’intero evento da casa ti sarai assicurat* vendite e clienti affezionati!

Photo by Markus Spiske on Unsplash

Archiviato in:cose di eventi Contrassegnato con: negozi fisici

Lasciare Instagram, una strategia personale

Settembre 11, 2020 da Barbara

babepi | lasciare instagram

Quando Lush ha annunciato l’abbandono dei social network, la mia reazione è stata di pacata curiosità. Al contrario di tanti colleghi non ho univocamente pensato alla boutade mediatica né ho creduto che fosse la risposta a tutti i mali.

Però ho osservato e raccolto informazioni, perché io stessa sotto-sotto ho sempre il desiderio di svincolare la mia comunicazione dai social network.

In particolare, negli ultimi sei mesi ho maturato il desiderio di lasciare Instagram.

Andarsene da Instagram di questi tempi, in cui per certi versi in Italia ha maturato il ruolo di “nuovo Facebook” per presenza e attività degli utenti, sia che si abbia un’attività da promuovere, sia che semplicemente si voglia esprimersi creativamente con un social network, sembra una follia.

Io ho maturato la decisione soprattutto per motivi etici e sulla base dell’esperienza fatta in passato.

Nel 2017 sono stata fuori da Instagram per 10 mesi.

Ma proprio completamente. Non avevo l’app installata sui telefoni, non navigavo il portale da web, non pubblicavo né interagivo. Posso confermare che si può sopravvivere.

Di più, fatta salva una pausa per motivi di salute, in quei 10 mesi ho continuato serenamente a lavorare, addirittura ricostruendo da zero un ramo d’attività per il quale non ho avuto né un profilo Instagram né una pagina Facebook attive fino al maggio 2018.

Sicuramente non è una scelta adatta a tutti, ma si può fare. A maggior ragione, credo, se i nostri valori non trovano rispetto nell’operato di Facebook Inc.

Non ho mai creduto che “combattere con l’algoritmo” e investire con ritorni non sempre soddisfacenti fossero motivi validi per rinnegare una presenza social. Alla fine gli algoritmi regolano qualsiasi interazione online e ogni investimento pubblicitario è soggetto a innumerevoli fattori che ne possono minare l’efficacia. Il successo di una campagna è raramente determinato solo dal canale su cui viene veicolata.

Ma Facebook Inc. ha sempre più inequivocabilmente fatto scelte politiche e preso decisioni etiche con cui non sono a mio agio.

Il caso Cambridge Analytica non è che la punta di un iceberg fatto di omertà e dubbie prese di posizione nei recenti eventi socio-politici. Il disagio che ho cominciato a provare durante il lockdown è stato forte. Disagio a fornire i miei dati all’azienda, disagio a usare le sue risorse per veicolare la mia comunicazione, disagio a consigliare ai clienti strategie che facciano ricorso agli strumenti di Facebook Inc. Anche da questo disagio è nato lo slancio per finire il nuovo sito.

Nel frattempo ho maturato la decisione di pianificare una strategia di uscita da Instagram e Facebook almeno per tutto quello che riguarda il mio lavoro.

Non ho illusioni utopiche di riuscire al 100% ad abbandonare questi canali a breve, proprio come so di non essere in grado di condurre un’esistenza interamente zero waste. Ma sono convinta che lo slancio sia nella direzione corretta, e come ho fatto con i rifiuti e i consumi, farò da ora in poi del mio meglio per allineare valori e pratiche.

Le fasi della transizione

Ho prima di tutto creato una strategia di comunicazione che faccia leva su strumenti proprietari come il sito, il blog e le mie newsletter.

La strategia ha preso forma durante l’estate e prevede prima di tutto interventi regolari sul sito per farne una realtà dinamica dove ogni mese o quasi sia possibile trovare contenuti nuovi, in costante espansione.

All’interno del blog ho creato una categoria per il momento quasi vuota che andrà ad accogliere i post visuali che avrei pubblicato su Instagram. Tra gli investimenti del 2021 ci sarà la creazione di un format dedicato per questa categoria e per il blog nel complesso, per favorire una navigazione dei post in modo analogo a quello che fai adesso sul mio feed di Instagram.

Le newsletter infine si stanno consolidando come scintille di conversazioni, sia via mail, sia nella vita reale, e questa occasione di scambio e relazione è forse la componente più preziosa e fondante della comunicazione che voglio per il futuro.

Il passo successivo per me è stato provare a dare tempi alla transizione verso la chiusura dei miei profili.

Ho deciso che farò una sola campagna di advertising su Instagram e Facebook quest’autunno (è la prima che io intraprenda da quando uso esclusivamente il marchio babepi). Sarà in realtà una doppia campagna, con un ramo che avrà l’obiettivo di raccogliere iscritte per il mio percorso di Lifestyle Design Definisci i tuoi obiettivi, e un ramo costruito per portare contatti ai miei canali proprietari.

Nei mesi fino a giugno 2021 la mia presenza su Instagram sarà concentrata su tre contenuti:

  • riflessioni sporadiche sui temi che mi stanno a cuore;
  • racconti dal set del libro che sto producendo per Annette Joseph (soprattutto in stories);
  • interazioni con le persone che ammiro, per creare relazioni professionali che possano vivere su LinkedIn o via mail, e relazioni personali che possano essere alimentate dal vivo.

Idealmente vorrei spegnere il profilo Instagram durante l’estate 2021. Ma sono particolarmente consapevole di dover tenere questa data come un’indicazione piuttosto che un ultimatum. Ci ha pensato il 2020 a dare concretezza alla mia convinzione che non bisogna mai affezionarsi ai propri piani!

Dove dirotterò i miei investimenti?

Per il momento la realtà social network che appare allo stesso tempo allineata con i miei valori e utile alla mia comunicazione è Pinterest. Sono utente dal 2012 e l’ho sempre trovato a me congeniale. Nel tempo il mio profilo ha sostenuto la mia attività di wedding planner ed è cresciuto dandomi tante soddisfazioni.

Il traffico al sito di fatamadrina prima e a quello di babepi ora che mi arriva in modo organico, anche non avendo ancora attivo un piano editoriale preciso è francamente interessante. Cioè, è quasi trascurabile al momento, ma considerato appunto che il profilo è ancora molto condizionato dagli anni di attività in un settore diverso, mostra comunque potenziale.

Durante la primavera e l’estate ho gradualmente cominciato la bonifica del profilo, e la sua configurazione affinché serva meglio i miei nuovi obiettivi. Ho creato template su misura per i miei fresh pin (per cominciare in Canva ma li sto già migrando a Photoshop), e un abbozzo di strategia editoriale organica.

Il passo successivo e graduale sarà implementare la strategia editoriale, investendo il giusto tempo in creazione e programmazione (le due voci che richiederanno più impegno), poi avviare campagne. Ma non prevedo di partire con questa fase fino alla primavera.

E tu? Cosa dovresti fare?

Ogni decisione strategica è unica e strettamente legata agli obiettivi, i valori e la mission di un marchio.

A maggior ragione questa mia. Ho scelto di raccontarla non perché mi aspetti di essere seguita da altri ma per tre motivi:

  1. spiegare perché mi vedrai sempre meno su Instagram e poi un giorno vedrai sparire il mio profilo (o meglio lo vedrai abbandonato);
  2. farti testimone del mio impegno e del progetto, in modo da rendermi responsabile di rispettare le scadenze che mi sono data;
  3. offrirti un punto di vista diverso che ti faccia pensare e vivere più consapevolmente la tua presenza su qualsiasi canale social tu usi.

Non esiste un social network nel quale si deva stare ad ogni costo, a prescindere, ribadisco, da obiettivi, valori e mission. Esistono scelte consapevoli che puoi fare anche tu di usare o meno uno strumento.

È per questo che non consiglierò ai miei clienti di lasciare Instagram. Per molti è uno strumento oggettivamente imprescindibile in termini di rapporto costi/benefici. Ma sicuramente farò loro presente le implicazioni di usare la piattaforma per promuovere il loro marchio.

Io stessa probabilmente continuerò a usarlo a titolo personale, anche se a tendere vorrei spostare i post su un blog visivo personale.

Ma quella è un’altra storia.

Immagine di copertina di Lucrezia Carnelos/Unsplash.

Archiviato in:cose di strategia Contrassegnato con: Instagram

Fare piani nella totale incertezza

Agosto 21, 2020 da Barbara

Ogni anno ad agosto mi fermo (anche solo qualche giorno) e metto mano alla mia pianificazione personale e lavorativa per bilanci e previsioni dell’anno solare successivo. Quest’anno diverse persone mi hanno guardato strano quando l’ho fatto. Siamo in una pandemia, i numeri dei contagiati stanno tornando a salire in Italia, e come è tipico del COVID-19 lo fanno in maniera esponenziale…

Ha senso pianificare quando siamo nel vivo di una pandemia e non abbiamo idea di come si evolverà nei prossimi 18-24 mesi?

Il mio entusiastico sì di risposta non è una novità, se hai letto il mio post sul planning alla fine del 2018. Credo infatti che un cambiamento drammatico nella nostra vita richieda sempre un profondo reset dei piani in corso, da sostituire con nuovi e più adatti. La chiamo pianificazione situazionale ed è quella che ho messo personalmente in pratica nel 2020.

Perché secondo me è importante pianificare anche nei momenti di incertezza?

Ci sono tre ruoli fondamentali assolti dalla pianificazione, quando sei nel pieno del cambiamento e dell’indeterminatezza:

  1. prima di tutto mettere mano alla pianificazione ha il beneficio di toglierti dall’approccio passivo in cui subisci gli eventi e di metterti almeno al timone delle tue reazioni. Anche psicologicamente, questo cambiamento da passività ad attività ti restituisce un senso di controllo forse non del tutto realistico ma certamente rassicurante. È spesso sufficiente a farti sentire meno “travolt*” e impotente di fronte a quello che succede;
  2. la pianificazione è un allenamento da fare con regolarità, non una di quelle cose bellissime da fare una volta e poi più (scusa DFW). Più ti metti in un approccio di ‘prevenire è meglio che curare’, valutando in anticipo possibili scenari e le alternative possibili, meglio sarai in grado di reagire a nuovi stravolgimenti. Son sempre un po’ stupita di chi propone pianificazioni granitiche una tantum e vende “il metodo definitivo per organizzarsi”. Fidati di me, non c’è metodo che si adatti a qualsiasi situazione e persona, ma c’è un processo costante (e costantemente in evoluzione) che si consolida se lo tieni in allenamento.
  3. Infine, il meccanismo stesso della pianificazione, che ti costringe a guardare le cose in prospettiva e valutare conseguenze e controindicazioni, restituisce un approccio analitico che stempera almeno in parte l’emotività sempre legata a tutti i grandi cambiamenti.

Come fare in pratica a pianificare nei momenti di incertezza?

Siccome non esiste un metodo unico che vada bene per tutti e in ogni momento, vorrei affrontare la questione con delle linee guida, piuttosto che delle risposte granitiche.

  • Il punto da cui partire a pianificare nei momenti di incertezza è una posizione di indulgenza, verso te stess* prima di tutto. Vogliti più bene del solito, quando metti mano a pianificazioni nel bel mezzo della tempesta, concediti tanti errori, la possibilità di andare a vuoto più volte, ma soprattutto il lusso di aspettative ridotte. Si pianifica per semplificarsi la vita, non per aggiungere stress o complicazioni a un momento già difficile;
  • Le aspettative ridimensionate però non dovrebbero riguardare soltanto la tua prestazione, ma anche gli impatti dei piani ben riusciti. Non vuol dire partire da un approccio di negatività o pessimismo, al contrario significa avere consapevolezza che le conseguenze sono ancora più difficili da controllare, in condizioni di incertezza diffusa e cambiamento costante;
  • Per questo una pianificazione in tempi di incertezza richiede un cambio di prospettiva rispetto alla quotidianità. I piani che fai quando sei nel pieno di una crisi non hanno l’ambizione di portarti a destinazione, ma di traghettarti in acque più calme e possibilmente non troppo fuori rotta;
  • Gli obiettivi si fanno piccoli e di breve-medio termine, contingentati e molto ben definiti. Ma sempre perfettamente allineati con i tuoi valori. Per fare un esempio, la pianificazione in tempi di incertezza non è quella che mette in cantiere la costruzione di una casa a mani nude ma quella che progetta il miglioramento della casa in cui vivi o la ricerca di una sostituzione in linea con le tue aspirazioni. Che sia chiaro, non vuol dire che in tempi di incertezza non sia possibile trovare l’occasione di costruirsi una casa. Può succedere, e se succede è sicuramente grazie a un approccio positivo di progettualità e a valle di tanti piccoli altri obiettivi raggiunti. Ma non è l’obiettivo con cui si dovrebbe partire.

Cosa non fare, in tempi di incertezza:

Abbandonare del tutto ogni pianificazione lasciandosi trascinare dagli eventi.

Parliamoci chiaro, se vivere alla giornata è l’unica cosa che riesci a fare va benissimo così. Non ha senso metterti sotto pressione per fare grandi piani se non ne hai la forza o la voglia. Ma anche le giornate possono essere pianificate, alla mattina per arrivare alla sera. In questo orizzonte temporale apparentemente piccolo e ininfluente c’è spazio per micro-obiettivi da affrontare a mente aperta e che ti possono regalare tutti i benefici della pianificazione di cui parlavo più sopra.

Cercare di portare avanti a tutti i costi un piano quando le condizioni sono palesemente cambiate.

È inutile e controproducente. E ti tiene proiettat* nel passato, in una posizione di rifiuto di quello che sta succedendo. La cattiva notizia è che gli eventi se ne infischiano che tu li rifiuti, proseguono comunque per la loro strada. Possiamo rimanere ferm* a dirci che speriamo di non ritrovarci più in un lockdown. È legittimo volerlo evitare. Ma non ha senso fare progetti a lungo termine come se non ci fosse la possibilità di un nuovo lockdown. Immagina di prenotare ora una vacanza a New York per Capodanno, perché è una tradizione di famiglia (ti invidio molto) e non ci vuoi rinunciare… Davvero pensi sia una buona idea?!

Affezionarti troppo a un metodo di programmazione e organizzazione.

Così come con i tuoi preziosissimi piani, anche con i metodi che usi per comporli devi avere un approccio flessibile e di apertura al cambiamento, a maggior ragione in tempi di incertezza. C’è una scena del film Pixar Cars 3 in cui la co-protagonista Cruz Ramirez usa il mantra “sono una nuvoletta paffuta” per ricordarsi di tenere una guida morbida, con le sospensioni rilassate per rispondere al meglio alla pista e alla gara. Ecco, “sono una nuvoletta paffuta” è un mantra perfetto per la pianificazione in tempi di incertezza 😊

Ma nel dettaglio, come si fa?

Posso dirti cosa ho fatto io in primavera e questo mese. Prendi ciò che senti possa adattarsi anche alla tua situazione e alle tue aspirazioni e ignora il resto.

Mi sono fermata e ho rimesso tutto in discussione.

L’abitudine a fermarsi e analizzare i dati (ipotesi iniziali incluse) è il principio più importante che cerco di trasmettere a chi intraprende con me un percorso di lifestyle design.

L’ho fatto a fine marzo-inizio aprile, dopo essermi concessa un mese per assorbire il colpo della pandemia (indulgenza, ricordi?). Ho ripreso in mano i miei piani personali concretizzati in macro-obiettivi e i miei piani professionali (che organizzo per trimestre) e ho rivisto le motivazioni che sottostavano a ogni decisione. Ogni obiettivo/piano non sostenuto da una motivazione ancora valida è andato in pausa.

Ho ridefinito le mie priorità.

Certo i miei valori di massima sono rimasti immutati, ma quando ti travolge una pandemia le priorità si ridimensionano drasticamente. Soprattutto si riducono.

Altra cosa che ripeto a chi fa un percorso di lifestyle design (fino alla nausea, lo ammetto) è il concetto che non ci possono essere infinite priorità. In ogni dato momento idealmente dovrebbero essere al massimo tre. Ma anche fossero di più è fondamentale che siano organizzate in un rigido ordine gerarchico. Non esistono priorità “a pari-merito”. Esiste la priorità numero 1, la numero 2, ecc. La numero 1 vince su tutto.

Bon, in tempi di pandemia le mie priorità sono proprio solo 3:

  1. fare quanto in mio potere per non ammalarmi e affinché non si ammalino i miei cari;
  2. prendermi cura di me;
  3. continuare a crescere nel mio lavoro.

Il resto viene dopo, in ordine di importanza ovviamente. Ma dopo.

Ho fatto il punto della situazione.

È una cosa che faccio con regolarità, per me il lavoro di revisione della pianificazione è costante.

Lo faccio in piccolo ogni domenica e ogni fine-mese. Ogni domenica faccio una breve revisione della settimana precedente, verificando cosa è andato a buon fine e trasferendo le attività ancora in corso sulla settimana successiva, ma soprattutto segnandomi le BIG WIN, ovvero i successi personali (anche piccolissimi).

Ogni fine mese compilo poi una scheda di revisione in cui sottolineo sia i traguardi raggiunti sia ciò che non ha funzionato.

Da marzo ho migliorato molto la regolarità di queste fasi di revisione, mi ci attacco con grande trasporto e invece che fare semplicemente tesoro di quel che noto, uso le informazioni per fare continui aggiustamenti.

Ho creato una pianificazione agile.

Sarò onesta, è fine agosto e non ti so dire cosa farò in ottobre.

Non ho previsto nessun dettaglio. Ho buttato giù una traccia e dei macro-eventi nel resto dell’anno, ma ottobre è ancora libero. Settembre sarà un’incognita non da poco e uno dei lavori che è tentativamente previsto per ottobre potrebbe saltare se la pandemia peggiore sensibilmente.

Ma ho rivisto la mia settimana ideale (altro modello che cambia spesso ed è assurdo immaginare inciso nel marmo) e so cosa farò ogni giorno e che priorità avrò. Il resto lo costruirò una settimana alla volta, nella pianificazione settimanale della domenica.

Il mio invito per te è di provarci anche tu, coi tuoi tempi e le tue energie 😊

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Instapost del 16 giugno

Giugno 16, 2020 da Barbara

babepi breakfast tablescape styling

Una foto dall’archivio, con un mix di pezzi vintage, porcellane di marca, novità e posate di marchi pop.

Oggi ho ufficialmente deciso come fare a lasciare Instagram. Posterò qui. Con questa forma ancora da perfezionare, niente hashtag e qualche emoji 😊

Archiviato in:instablog

Donne che amo: Caroline Hirons

Maggio 15, 2020 da Barbara

Tra le cose che ho sempre voluto fare con un blog c’era una serie dedicata ai profili di donne che ammiro incondizionatamente. Donne famose, intendo, o almeno che sono visibili a chiunque.

No, non è un duplicato della serie sulle stylist icon, anche se pure quelle sono donne. Se di là trovate profili professionali, con considerazioni legate al lavoro di styling, di qui trovate femmine che fanno un po’ di tutto, ma che sono accomunate dal fatto che io le vedo e provo quel magico sentimento a metà tra “ommioddioadoro qualsiasi cosa faccia” e “voglio morire e rinascere lei”. Questa serie insomma è molto più frivola, e solo a tratti ci troverete spunti utili per la vostra attività.

L’eccezione che conferma la regola è proprio il post di oggi, dedicato a Caroline Hirons, anche nota come “the queen of beauty”.

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The ‘layering’ IGTV is up. Tomorrow is peri/menopausal skin. I await an appearance from Anthea. 😉 #whenyouknowyouknow #365inskincare Jacket is @birdandwolfuk and paid for.

A post shared by CAROLINE HIRONS (@carolinehirons) on May 11, 2020 at 12:40pm PDT

Perché uno dei motivi principali per cui io (e migliaia di altre persone con me) amo CH è per il suo lavoro di influencer e per come lo fa.

Il termine ‘influencer’ trasforma il mio lavoro in qualcosa che faccio per un team marketing o un marchio. Io sono una blogger/YouTuber. Ho influenza, ma non è per quello che faccio il mio lavoro.

– Caroline Hirons, intervista del 21 marzo 2018

Diciamo, tanto per cominciare, che come le migliori influencer Caroline Hirons non è partita da una vocazione a diventarlo. Semplicemente ha sviluppato una passione per la professione che faceva (vendere cosmesi), ci ha studiato sopra, elaborato intorno, e poi, per naturale conseguenza, è arrivata ad avere un blog, e un canale YouTube, e un gruppo Facebook, e infine un profilo Instagram capaci di resuscitare prodotti quasi morti e farli diventare bestseller solo perché lei ne parla.

Prendete un respiro, che era una frase lunghetta, lo so. Ma ci sta, perché quella sensazione di euforia mista a fiato corto che avete adesso è ciò che caratterizza ogni lancio di prodotto gestito da questa donna.

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The How-Tos are up on the blog and YouTube now. Have a lovely weekend everyone. ♥️ #chspringkits #365inskincare

A post shared by CAROLINE HIRONS (@carolinehirons) on May 8, 2020 at 11:54am PDT

Il 1 maggio ha esaurito la sua selezione di cosmetici per la primavera (prodotti da alcuni dei migliori marchi al mondo, alcuni in edizione limitata per l’occasione) in circa un’ora. Circa 60mila kit polverizzati in 60 minuti distribuiti in mezza giornata, perché il suo sito internet potenziato e ribilanciato per l’occasione andava in crash ogni pochi minuti (con connessioni fino a 100 mila alla volta). Quando il 4 maggio ha annunciato gli sconti dedicati degli stessi marchi (ciascuno con e-commerce globali su server dedicati) sono andati in crash nel giro di trenta minuti tutti i siti dei marchi. Diversi marchi hanno esaurito le scorte dei loro prodotti presenti nella selezione di Caroline Hirons.

Metriche così non si possono simulare, ed è il tipo di numeri che dovreste chiedere a un/a influencer, quando state decidendo di lavorarci insieme.

Mica i follower su Instagram (CH ne ha solo pochi più di 400mila, e fino a qualche mese fa ne aveva pochi più di 300mila). E poi dovreste osservare come operano e che tipo di engagement generano.

Nel sito dell’agenzia che la rappresenta Caroline Hirons è definita “onesta, dettagliata ed estremamente disponibile a distribuire consigli di skincare” e non è un mantra pubblicitario. Ho una lunga cronologia di messaggi privati di Instagram in cui le ho fatto domande e lei ha risposto, sempre personalmente (il suo stile laconico e assertivo è inconfondibile).

Lo stesso tipo di interazione avviene nei commenti ai suoi post sui social media e durante le sue dirette. Di nuovo, questo tipo di engagement non si può né costruire né descrivere adeguatamente con i numeri.

View this post on Instagram

When you don’t realise your very much off-camera chat was captured on film. EDIT 😂🖕😬😱♥️ @joannavargasnyc is now live on the blog and YouTube. 💆‍♀️💆🏻‍♀️💆🏿‍♀️💆🏾‍♀️💆🏽‍♀️💆🏼‍♀️ #365inskincare

A post shared by CAROLINE HIRONS (@carolinehirons) on Mar 11, 2019 at 11:55am PDT

Le caratteristiche che amo di Caroline Hirons e che la rendono una personalità che dovreste andare subito di corsa a scoprire, se già non la seguite, sono credo una componente importante dietro all’engagement che genera.

L’assertività nella competenza

Tante donne hanno un vertiginoso livello di conoscenze nella materia che praticano, o in una delle loro passioni, ma i modi in cui lo gestiscono varia spesso dall’arroganza auto-celebrativa, alla finta modestia, alla ritrosia. CH invece dichiara ciò che sa senza fronzoli o sbrodolamenti, con sicurezza e un chiaro senso di scopo. Snocciola la sua competenza sempre e solo per rispondere a domande e aiutare chi la segue, tanto per intenderci.

Sicuramente è anche per come ci è arrivata, passando naturalmente dalla vendita di prodotti al banco, alla consulenza alle aziende, per poi di fatto portare le sue conoscenze online. Le ci sono voluti vent’anni, e studio e pratica per l’intera industria a cui ora applica la sua influenza.

Quel livello di competenza non si può simulare, ma è quello che produce una posizione coerente sul tema di cui si parla, che magari i lettori non notano subito, ma che nel tempo costruisce una relazione di totale fiducia. Alcune personalità che vorrebbero trasformare i propri numeri in influenza non si rendono conto che parlare di ogni prodotto che viene loro offerto come se fosse il loro preferito, ripetendo lo script fornito dal marchio, li rende molto meno rilevanti e del tutto intercambiabili nel tempo.

Con i contenuti sponsorizzati è sempre meglio buttare lo script e lasciare che sia il/la blogger a decidere come lavorare. Noi conosciamo il nostro pubblico meglio di chiunque altro. I marchi che pensano di saperne di più andrebbero evitati […]. Il lettore viene sempre prima.

– Caroline Hirons, intervista del 21 marzo 2018

Non è solo una questione di credibilità, ma proprio di forza e impatto.

La forza delle opinioni

Se non avete mai sentito Caroline Hirosn insultare i ‘no vax’ avete perso qualcosa nella vita. Ma anche se siete relativisti sul mondo della medicina non potrete fare a meno di apprezzare la sua convinzione e coerenza.

Coerenza che l’ha portata spesso in passato a rifiutarsi di parlare di un prodotto o a cambiare pubblicamente opinione rispetto a un marchio generando intensi backlash (il caso Drunk Elephant è il più recente) o viceversa ondate di supporto.

Potrei fare esempi (sarebbe non professionale a livelli estremi) di marchi che non uso e che mi viene chiesto di sostenere. Capita a tutti. Certo a volte [rifiutare] vuol dire rinunciare a una fortuna, ma non vale la pena perdere la reputazione che si è costruita coi propri lettori.

– Caroline Hirons, intervista del 19 aprile 2020

Questo tipo di rigore intorno alle proprie opinioni e ai propri valori trasmette un peso fortissimo a ogni affermazione di Caroline Hirons. Non sono l’unica a ritenerla ormai la principale fonte di informazioni accurate sulla cura della mia pelle (citofonare Francesca Marano e Daniela Scapoli).

La consapevolezza del proprio ruolo e del contesto in cui si opera

Ciò che rende ancora più naturale fidarsi di Caroline Hirons è la frequenza con cui lei stessa dimostra consapevolezza del proprio ruolo e del proprio peso. E delle conseguenze di ogni sua azione.

Non solo ripete spesso “non indebitatevi con la carta di credito per la vostra skincare”, e offre sempre e comunque alternative in ogni fascia di prezzo per i prodotti di cui parla. Ma all’inizio della pandemia ha anche usato la propria influenza per denunciare pubblicamente le aziende retail che licenziavano dipendenti in massa o li mettevano in aspettativa senza stipendio.

Non è da tutti mantenere sempre grande attenzione intorno al proprio ruolo, ma credo sia un segno di grandezza.

E bon, se da grande (cioè tra 7 anni) riuscirò ad essere anche un’unghia figa come questa donna potrò andare in pensione. Impossibile, lo so, ma una può sognare, no?

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Come creare una nuova esperienza per le clienti del vostro negozio fisico

Aprile 17, 2020 da Barbara

L’idea di questo post mi è venuta durante una rara uscita in tempi di distanziamento sociale. Prima che qualcuno chiami la polizia, ero in giro per fare la spesa e comprare le medicine a mia madre ultrasettantenne, indossavo mascherina e guanti e tenevo un bel paio di metri tra me e le rarissime persone che incrociavo.

Passeggiare per un centro storico con negozi chiusi mi fa riflettere su come viviamo i negozi anche nelle domeniche normali. Prima di tutto perché noto di più le vetrine, e poi perché ho tempo di esplorare il senso di mancanza e pensare a cosa vorrei poter fare, se i negozi fossero accessibili. In tempi di Coronavirus queste riflessioni hanno preso una piega diversa.

Quali interventi fare in un negozio fisico per permettere alle vostre clienti di viverlo in modo diverso?

Mentre camminavo per le vie vuote, le vetrine tutte uguali e un po’ banali mi sembravano un’occasione persa, i negozi piccoli mi veniva voglia di entrare e riorganizzarli a misura di distanza sociale, e così via. Ora che ci avviciniamo al momento di una parziale riapertura ho pensato fosse ora di condividere alcune di queste idee in forma un po’ più compiuta.

Ho tenuto solo le idee a costo zero (o quasi) che potete realizzare con quello che avete, soprattutto il vostro tempo e la relazione che avete costruito con le vostre clienti.

Allestite vetrine che parlano anche quando il negozio è chiuso

Cominciate a pensare alle vostre vetrine come al messaggio di segreteria telefonica che registravate anni fa: con la vostra voce, fornendo le informazioni salienti, cercando di personalizzarlo per farlo vostro, con il vostro tono di voce (che sia formale o spiritoso).

La vetrina, da ora in avanti più che mai, non dovrebbe semplicemente mostrare i prodotti stagionali che vendete voi come chiunque altro, ma dovrebbe ospitare:

  • pochi prodotti ben in evidenza;
  • scelti tra quelli che meglio rappresentano il vostro negozio, quindi quelli che avete selezionato come prodotti di punta e che le vostre clienti preferiscono comprare da voi;
  • scelti tra quelli che meglio soddisfano le attuali necessità delle vostre clienti.

Se vendete cosmesi, per esempio, lasciate perdere i saponi per mani che tanto la gente comunque tende a voler comprare quelli medicali di questi tempi, e in giro ce ne sono millemila, ma esponete la vostra selezione migliore di creme per le mani, di maschere per il viso e di skincare idratante. La disidratazione è uno dei maggiori “problemi” di pelle in tempi di lockdown.

Non mettete in vetrina i prodotti di cui dovete liberarvi ma che non interessano a nessuno. Quelli metteteli in super-sconto vicino alla cassa e trovate un modo intelligente di proporli come combinazione al prodotto di punta. Per esempio, in tempi di videocall è più facile che qualcuno voglia comprare da voi orecchini e collane, se vendete gioielli e bigiotteria. Il pacco di anelli che vi sono rimasti proponeteli in cassa a chi si è comprato la crema per le mani, come coccola finale, ma solo se sono realizzati in materiali che resistono bene ai cosmetici.

Se prima scrivevate i prezzi a mano, magari con la vostra scrittura “artistica” ma leggibile a fatica, questo è il momento di stamparli o scriverli nel modo più chiaro possibile, ed esporli chiaramente a fianco il prodotto. La lista con i prezzi di tutti i prodotti esposti in un unico foglio, appoggiato in un angolo nascosto della vetrina che uno deve andarsi a cercare, lasciatela a chi non ha veramente voglia di vendere.

Infine, create una semplice pagina realizzata con una bella grafica (su Canva.com ne trovate di ogni genere) coerente con insegna e immagine del negozio, su cui scrivere le poche semplici regole per chi vuole entrare a comprare da voi. Lasciate sempre anche un link che chi è in fila che aspetta possa visitare nel frattempo. Per esempio al vostro profilo Instagram, o al vostro e-commerce Shopify creato al volo durante il lockdown (coi consigli di Enrica), in cui magari avete inserito anche l’opzione “ritira in negozio”. Così se qualcuno ha fretta può comprare senza entrare, e programmare il ritiro in un altro momento.

Organizzate visite su appuntamento

Soprattutto se avete un piccolo negozio, le visite delle clienti non potranno procedere come prima. A seconda delle dimensioni alcuni di voi potranno accogliere solo una persona alle volta, lasciando le altre in attesa in fila fuori dal negozio.

Cosa potete fare per organizzare al meglio questo flusso senza rischiare di perdere le vostre clienti più fedeli? Tanto per cominciare dare loro la precedenza. Quelle di cui avete un recapito (non foss’altro che il loro contatto su Instagram) contattatele una per una con un messaggio che contenga:

  • prima di tutto un’onesta richiesta “come stai?”, è un ottimo modo per cominciare a ricostruire la relazione e introdurre, se lo credete, la richiesta “so che avrai avuto altri pensieri in questo periodo, ma c’è qualcosa in particolare che ti è mancato e che vorresti ti tenessi da parte in negozio?”
  • l’annuncio che riaprite, con i vostri orari e le informazioni di accesso;
  • la disponibilità a riceverle su appuntamento, se pensavano di venirvi a trovare, nell’orario di apertura che per loro è meglio, garantendo loro così di saltare la fila.

Quando avete contattato tutte le vostre clienti migliori, annunciate la modalità su appuntamento anche sul vostro sito e sui vostri canali, newsletter inclusa, ma in quella vorrete forse dirlo prima, mentre state contattando personalmente le clienti, per garantire alle iscritte un senso di esclusività e di valore della newsletter stessa.

Nell’annuncio spiegate se avete deciso di ricevere solo su appuntamento (io personalmente lo sconsiglio) o se invece chi desidera può prenotare ma chi non lo fa deve sapere che può andare incontro a un periodo di attesa. Man mano che riaprirete cominciate a tenere nota della durata media della permanenza in negozio delle persone e a fare una stima dei tempi di attesa, che aggiornerete sul sito, sui vostri canali e sulla segnaletica fuori dal negozio.

Se vedete che le persone (comprensibilmente) tendono a rimanere a lungo per parlare, istituite un timer per la visita. Ma fatelo con gentilezza e cercando comprensione nelle vostre clienti. Annunciatelo chiaramente, scegliete una musica divertente e allineata con la vostra immagine per segnalare lo scadere del tempo a loro disposizione, e se ne avete voglia e la possibilità, salutatele dando loro appuntamento in un momento che sapete essere più tranquillo.

Infine, se avete spazio a disposizione sul marciapiede o nel parcheggio all’esterno del negozio, mettete un paio di sedute a disposizione delle persone in attesa. È sempre un gesto gentile.

Sviluppate l’esperienza uno a uno come se fosse personal shopping

Fare di necessità virtù è uno degli approcci ai cambiamenti e alle difficoltà che preferisco. Molto meglio che stare a disperarsi e strapparsi i capelli su eventi che sfuggono al nostro controllo, no?

La mia versione di fare necessità virtù dell’accesso ridotto ai negozi sarebbe trasformare ogni ingresso in un appuntamento con un personal shopper. Alla fine non vi serve molto per realizzarlo:

  • tanto per cominciare fate un brevissimo elenco di domande a chi prenota un appuntamento; chiedete loro cosa sperano di acquistare, che tipo di esigenza devono soddisfare, quale budget hanno a disposizione, che gusti hanno. Se entrano senza appuntamento fate comunque loro queste domande, prendete nota delle risposte, dimostrate loro che vi fa genuinamente piacere aiutarle;
  • organizzate uno spazio del negozio con seduta e punto di appoggio in cui fare trovare la selezione di prodotti che avete scelto sulla base delle risposte della vostra cliente; fatela accomodare e illustrategliele con calma ma fate poi in modo che abbia occasione di esaminarle in autonomia (per esempio tirando la tenda di un camerino) per non farla sentire sotto pressione a completare l’acquisto;
  • portatevi in negozio una borsa frigo con una bottiglia di buone bollicine e alcuni bicchieri monouso per offrire un bicchiere alla vostra cliente, a completamento dell’esperienza.

Questo tipo di idea funziona meglio se avete un ampio assortimento che potrebbe disorientare una cliente, ma si gioca comunque tutto sulla vostra capacità di mettervi nei suoi panni e farle trovare una selezione di cose che davvero vorrebbe e le servirebbero. E nel farla sentire coccolata.

Mai come in questo periodo e nei prossimi mesi, infatti, le clienti cercheranno in voi ciò che è mancato loro: il contatto umano, la cura e il servizio, prima ancora che i vostri prodotti.

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Come sopravvivere quando c’è una pandemia globale

Aprile 3, 2020 da Barbara

Giuro che non volevo scriverlo l’ennesimo post di consigli autoreferenziali su cosa fare “al tempo del Coronavirus”. Poi Kelli Lamb mi ha chiesto di regalarle un post per il suo blog personale, e siccome Kelli è la direttrice della mia rivista online di interni preferita mica potevo dirle di no. E poi, mio malgrado mi son ritrovata a raccontare quel che facciamo in casa anche su Instagram, e da cosa nasce cosa e alla fine mi son detta che tanto valeva scrivere qualcosa anche per il mio di blog.

Questo post non prevede alcun metodo infallibile e unico per uscire sani di mente, magri e ricaricati, dall’esperienza di un prolungato lockdown, né contiene un decalogo di azioni (sono troppo impegnata a sopravvivere per curarmi della SEO e dei titoli click-bait).

Piuttosto è un elenco di modi in cui, volendo, si può sopravvivere.

E comincia proprio da qui.

La parola chiave è sopravvivere.

Il periodo che stiamo affrontando è una minaccia per il nostro benessere:

  1. fisico, siamo all’inizio di una pandemia globale che durerà fino all’immunizzazione del 70% della popolazione tramite vaccino, quindi realisticamente per altri 18 mesi;
  2. economico, la contrazione economica globale repentina sta già mettendo in crisi il sistema globale, e la situazione resterà seria per molti mesi;
  3. psicologico, l’incertezza per il futuro, la paura per l’incolumità nostra e delle persone a cui vogliamo bene, l’assenza prolungata di contatti sociali, sono e saranno i nostri fedeli compagni di viaggio.

Si riassume così: passatemi la vodka.

In questo contesto non ha francamente senso avere ambizioni grandiose sugli obiettivi che potremo raggiungere, perché per quanto impegno possiamo mettere nel provare a realizzarli, questo è il momento per eccellenza in cui la vita mostra il dito medio e fa un po’ quel che le pare.

Quindi, per quel che mi riguarda, ho abbassato le aspettative al minimo cosmico: sopravvivere, respirare, mangiare, dormire, ecc. Con il bonus aggiunto che qualsiasi cosa in più riesca a fare mi sento Beyoncé!

Che sia chiaro, non sto lanciando un manifesto per l’ozio (non che ci sarebbe niente di grave), piuttosto il mio consiglio è essere molto molto generosi con noi stessi, e ancora più attenti a tenere sotto controllo le aspettative. Le nostre, e quelle degli altri.

Lo stesso vale nel lavoro. Se avete clienti o datori di lavoro che si aspettano da voi i salti mortali in questo periodo… difendetevi come potete perché si tratta di richieste senza senso.

Se avete un’impresa vostra, concentrate le vostre poche energie e risorse nel farla sopravvivere. Che in alcuni rari casi può voler dire stravolgere l’organizzazione dell’impresa, ma nella maggior parte dei casi si tratta semplicemente di ridurre all’osso le attività per poterle portare a termine al meglio, lasciando un ricordo significativamente migliore sui vostri clienti di altri concorrenti che magari hanno deciso proprio in questi mesi di costruire da zero un ecommerce e magari non riescono a stare dietro alla logistica…

Le routine salvano la vita.

Non sono glamour, non sono divertenti, richiedono tempo per prendere piede. Ma salvano davvero la vita.

Anche qui il consiglio è applicabile sia per le persone sia per le aziende e i liberi professionisti.

Le routine aiutano le persone a creare un’illusione di certezza e di controllo. Se ogni giorno compiamo sempre le stesse azioni, significa che in parte sappiamo in anticipo cosa succederà un dato giorno e l’impatto paralizzante dell’incertezza sul futuro sarà minore. È vero, non sappiamo quando finirà la pandemia, ma sappiamo che domani ci alzeremo alle 7, faremo il letto, mangeremo la colazione, ci laveremo, indosseremo dei vestiti che abbiamo selezionato la sera prima, caricheremo una lavatrice, e così via.

Più semplice, naturale (nel senso che contenga azioni che facciamo con naturalezza) e piacevole è la routine, più sarà facile abituarcisi. Conquistare una routine ci regala un successo facile ma che ci fa sentire in grado di controllare la nostra vita.

Per un’azienda coltivare le routine vuol dire consolidare le buone prassi (dalla gestione degli ordini ai processi di igienizzazione e sicurezza) e ridurre i costi e le possibilità di errore.

Socializzare poco per socializzare meglio

L’umanità di suo, nei momenti di crisi, checché appaia dai flashmob e dalle raccolte fondi, non ci fa una grande figura. I social network sono popolati di umanità, quindi non sorprende che non siano esattamente il posto migliore dove socializzare in questo periodo.

Personalmente trovo particolarmente difficili da gestire i canali che si affidano alla parola, dove insomma emergono soprattutto le opinioni delle persone. Ho scoperto che non solo non mi aiuta leggerle, ma in linea di massima mi provoca reazioni davvero violente.

I post che mi porterebbero diretta all’alcolismo, se non avessi smesso di frequentare Twitter e Facebook (se non da browser, e se ho motivi lavorativi rilevanti), sono questi:

  • post di insegnanti che si lamentano continuamente di ciò che viene loro richiesto;
  • post che commentano con superiorità ogni notizia che viene dal Governo e ogni reazione a quella notizia. Non va mai bene niente anche se no, nessuno sa quale sarebbe la cosa giusta da fare;
  • post di persone senza bambini che prendono in giro chi sta impazzendo in casa con i figli (appartentemente è perché non li abbiamo saputi educare, non perché non è normale per un bambino rimanere mesi senza l’opportunità di giocare con i coetanei e muoversi);
  • post pieni di retoricah (ma quelli non li sopportavo neanche prima);
  • post di denuncia contro tutti quelli che infrangono le regole del distanziamento sociale. In particolare quelli che cominciano con “anche io vorrei… ma mi trattengo/faccio un sacrificio…”. Che facciano una bella denuncia anonima alla Polizia come tutte le vecchiette che si rispettano;
  • tutti i post “andrà tutto bene”. Prima di tutto perché è una stronzata e crea aspettative irrealiste. Poi perché deresponsabilizza la gente. Per come la vedo io, come andranno le cose, dipende da un sacco di fattori, prima di tutto come ci comportiamo. Non da un roseo lieto fine predeterminato;
  • tutti i post che parlano della fase 2 come “la ripartenza”, “la riapertura”, ecc.

Certo, se scrivere e leggere questo genere di post vi fa sentire bene, lungi da me togliervi questo piccolo piacere. Insomma, fate come vi pare. Ma prestate più attenzione del solito ai segnali di insofferenza per non ritrovarvi a litigare poi con quelli che convivono con voi per colpa di quel che ha scritto qualcuno che neanche conoscete.

Intanto, se non li avete già nella vostra vita, cercatevi qualcuno che vi piace con cui sentirvi ogni tanto, con cui parlare di cose che vi piacciono e dedicate a loro il vostro tempo sociale.

Va bene fare del bene, ma occhio a non farsi del male.

Spendere e spandere per sostenere i business che amiamo e poi ritrovarsi senza soldi per mangiare tra tre mesi non è una volpata.

Lo stesso discorso vale per le risorse emotive che avete a disposizione: spenderle e spanderle telefonando a tutte le persone in difficoltà psicologica che conoscete, per poi ritrovarvi esausisti e depressi attaccati a una bottiglia… non è la cosa giusta da fare.

Ormai l’isteria collettiva “siamo tutti nella stessa barca” si è esaurita, adesso è il momento di fare un preciso punto della situazione risorse, rivederlo spesso, e dosare ogni investimento esterno.

Non è cattiveria, è sopravvivenza.

Immagine di copertina di John Cameron/Unsplash.

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