
Fare piani per il futuro in un momento di incertezza globale è complesso, ma mai come in questo momento storico è fondamentale che ti interroghi sui tuoi obiettivi di lungo termine, per navigare gli imprevisti con la mano sicura sul timone della direzione in cui vuoi andare. Le grandi aziende lo chiamano ‘scopo’, un termine che fino a poco tempo fa sembrava applicabile solo alla sfera personale delle persone.
Per me si traduce più facilmente in “quello che voglio fare da grande” e in questo post ti racconto come e perché è utile definirlo, a qualsiasi età.
Cosa ha “quello che voglio fare da grande” a che fare con lo scopo? Cerco di spiegartelo partendo dal senso che per me ha questa espressione.
Quando hai più di quarant’anni e parli di quello che “vuoi fare da grande” le reazioni delle persone sono di norma di due tipi: un sorriso, pensando che tu stia usando la frase con autoironia, oppure velato disprezzo, traendo conclusioni sulla tua maturità e sul tuo successo personale.
Nessuna di queste interpretazioni considera l’ipotesi che “da grande” possa non essere un punto di arrivo, ma una potenzialità che si esaurisce davvero solo con la morte. Questa è esattamente la valenza che ha la frase per me.
A sostegno della mia interpretazione ci sono diversi argomenti:
- i tempi in cui viviamo, soggetti a un’accelerazione pazzesca dal secondo dopoguerra ad oggi, vedono le condizioni di vita in continua evoluzione e richiedono aggiustamenti e adattamenti altrettanto continui;
- le mutate aspettative di vita portano ciascun* di noi a immaginare un’esistenza almeno parzialmente attiva anche oltre i sessanta/settantant’anni, dandoci più tempo per portare a maturazione un percorso e spazio per esplorarne altri;
- la crisi del sistema pensionistico difficilmente ci permetterà (anche se lo volessimo) di ritirarci a sessanta/stettant’anni 😉
In sostanza, le generazioni dalla X in poi difficilmente possono permettersi di scegliere una carriera a venti/trent’anni e tenersela fino al momento della pensione (di Stato o auto-finanziata che sia).
Quello che capita più spesso è che nel corso della tua vita lavorativa tu passi da un settore all’altro, da una professione all’altra, continuando a formarti, aggiornarti, guardarti intorno alla ricerca di una soluzione che meglio ti permetta di sentirti realizzat* e di guadagnarti da vivere allo stesso tempo.
Insomma, se sei nat* dopo la seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso, quello che vuoi “fare da grande” non è un mestiere finito, ma al massimo una tendenza.
In un contesto di dinamismo come questo, il rischio più grande non è scegliere la professione sbagliata, ma spostarti quasi a caso da una professione all’altra rispondendo esclusivamente agli input esterni.
Così facendo le tue decisioni sarebbero guidate non dalla tua identità, dai tuoi valori, dalle tue aspirazioni, ma esclusivamente dagli eventi. Quindi da un insieme di fattori quasi completamente scollegati tra loro, privi di una logica di unità. Soprattutto che non contribuiscono al raggiungimento dei tuoi obiettivi.
È per questo che vale sempre la pena interrogarti sullo scopo che vuoi raggiungere con la tua esperienza lavorativa.
Sia a titolo personale, ma non solo.
Mi spiego, è evidente che il tuo scopo abbia a che fare con la tua sfera personale, la tua identità, i tuoi valori e le tue aspirazioni come dicevo qui sopra. A questo poi si aggiunge l’impatto che vorresti che queste decisioni avessero sulla tua vita, quanto ti renderanno felice o realizzat* e così via.
Ma la riflessione è più ampia e se lavori da dipendente riguarda anche l’impatto che vuoi lasciare sull’organizzazione (o le organizzazioni) con cui lavori, sui tuoi colleghi e le tue colleghe, su fornitori e clienti. Se sei un* liber* professionista o titolare di un’azienda, riguarderà poi le tue scelte di business e l’impatto della tua attività su chi collabora con te e sulle persone che aiuti, oltre che sull’ecosistema di cui fa parte la tua impresa.
Insomma, decidere quel che vuoi “fare da grande” comporta rispondere a una serie di domande che possono apparire enormi.
In realtà, se le affronti con apertura e serenità il processo si rivela molto più semplice del previsto, per questo ho pensato di dedicare all’argomento un post.
Già qualche settimana fa ho cercato di convincerti che si potesse pianificare il futuro anche in un momento di incertezza, anzi fosse ancora più importante farlo proprio in questi casi. Qui ti invito a fare un esercizio di progettazione a lungo termine per il tuo lavoro, a partire da un elenco di domande, da affrontare nell’ordine in cui te le propongo:
Come ti immagini il punto di arrivo?
Quando faccio questa domanda alle persone con cui lavoro la formulo in modo se vuoi un po’ macabro: se guarderai indietro dal tuo letto di morte, cosa vorrai aver realizzato? Trovo che aiuti tutt* a visualizzare in modo immediato il futuro che vorrebbero. Provaci anche tu: chiudi gli occhi e visualizza il tuo punto di arrivo, con te al centro.
Quali saranno le conseguenze sulle persone che ami, sulle persone con cui lavori, sulla tua clientela?
Lascia perdere l’impatto che la tua scelta avrà su di te, ci hai già pensato implicitamente rispondendo alla prima domanda. Ora è il momento di concentrarti sugli altri, partendo dalle persone di cui ti importa in più.
Che impatto avrà la tua realtà del futuro sull’ambiente in cui vivi e sulla società di cui fai parte?
Immagina il cambiamento che potrai provocare intorno a te, nel tuo piccolo. Insieme alla risposta alla domanda precedente, questa descrive la tua legacy, l’eredità che lascerai al mondo.
Ora lavora a ritroso dalla tua visione del futuro remoto: quali sono le azioni che devi fare, dalle più lontane alle più vicine, che ti permetteranno di costruire quel futuro?
Non pensare al dettaglio, ragiona piuttosto per fasi di ampio respiro. Anche senza mappare ogni singola azione dei prossimi quarant’anni puoi comunque identificare dei traguardi intermedi verso cui puntare nel medio-breve termine.
Non dimenticare le influenze esterne, quali fattori incideranno maggiormente sulla riuscita della tua costruzione?
Pensa agli ostacoli che dovrai superare, alle tue difficoltà di partenza, a eventuali imprevisti che potrebbero interporsi tra te e il tuo obiettivo finale.
Ora hai la tua risposta, ed è molto più semplice di quanto non sembrasse all’inizio.
Il tuo scopo è ottenere le risposte alle prime tre domande, mettendo in pratica le azioni ricavate rispondendo alla quarta domanda e tenendo sotto controllo le influenze esterne che hai scoperto con la quinda domanda.
Quello che “farai da grande” prenderà nel tempo diverse forme, ma sarà quel ruolo o quella professione che ti permetterà di portare avanti le azioni necessarie a realizzare il tuo scopo.
Visto? Così è molto più semplice, no? Rende anche più sopportabile tutte le battute di arresto, e le pause che potrai o dovrai prenderti lungo il cammino, perché ti insegna a vederle come delle tappe di un percorso che controlli invece che come delle spinte fuori strada.
È un processo di auto-analisi che puoi ripetere quante volte vuoi.
Per me per esempio, è parte integrante del mio percorso di definizione degli obiettivi, che ripeto ogni anno, rivalutando le mie scelte sulla base delle condizioni aggiornate in cui mi trovo.
Ma ti confesso che più tempo passa e più anche le revisioni tendono a iscriversi nel solco della tendenza che ho tracciato anni fa. Ormai sono arrivata al punto che guardando indietro, pur avendo ricoperto diversi ruoli, riesco a vedere la traccia del mio scopo già nella mia adolescenza.
Se non hai mai dedicato tempo a questo processo, ti consiglio di farlo adesso. Non credo davvero ci sia momento migliore 😊

Immagine di copertina di Nick Fewings/Unsplash.