
Giuro che non volevo scriverlo l’ennesimo post di consigli autoreferenziali su cosa fare “al tempo del Coronavirus”. Poi Kelli Lamb mi ha chiesto di regalarle un post per il suo blog personale, e siccome Kelli è la direttrice della mia rivista online di interni preferita mica potevo dirle di no. E poi, mio malgrado mi son ritrovata a raccontare quel che facciamo in casa anche su Instagram, e da cosa nasce cosa e alla fine mi son detta che tanto valeva scrivere qualcosa anche per il mio di blog.
Questo post non prevede alcun metodo infallibile e unico per uscire sani di mente, magri e ricaricati, dall’esperienza di un prolungato lockdown, né contiene un decalogo di azioni (sono troppo impegnata a sopravvivere per curarmi della SEO e dei titoli click-bait).
Piuttosto è un elenco di modi in cui, volendo, si può sopravvivere.
E comincia proprio da qui.
La parola chiave è sopravvivere.
Il periodo che stiamo affrontando è una minaccia per il nostro benessere:
- fisico, siamo all’inizio di una pandemia globale che durerà fino all’immunizzazione del 70% della popolazione tramite vaccino, quindi realisticamente per altri 18 mesi;
- economico, la contrazione economica globale repentina sta già mettendo in crisi il sistema globale, e la situazione resterà seria per molti mesi;
- psicologico, l’incertezza per il futuro, la paura per l’incolumità nostra e delle persone a cui vogliamo bene, l’assenza prolungata di contatti sociali, sono e saranno i nostri fedeli compagni di viaggio.
Si riassume così: passatemi la vodka.
In questo contesto non ha francamente senso avere ambizioni grandiose sugli obiettivi che potremo raggiungere, perché per quanto impegno possiamo mettere nel provare a realizzarli, questo è il momento per eccellenza in cui la vita mostra il dito medio e fa un po’ quel che le pare.
Quindi, per quel che mi riguarda, ho abbassato le aspettative al minimo cosmico: sopravvivere, respirare, mangiare, dormire, ecc. Con il bonus aggiunto che qualsiasi cosa in più riesca a fare mi sento Beyoncé!
Che sia chiaro, non sto lanciando un manifesto per l’ozio (non che ci sarebbe niente di grave), piuttosto il mio consiglio è essere molto molto generosi con noi stessi, e ancora più attenti a tenere sotto controllo le aspettative. Le nostre, e quelle degli altri.
Lo stesso vale nel lavoro. Se avete clienti o datori di lavoro che si aspettano da voi i salti mortali in questo periodo… difendetevi come potete perché si tratta di richieste senza senso.
Se avete un’impresa vostra, concentrate le vostre poche energie e risorse nel farla sopravvivere. Che in alcuni rari casi può voler dire stravolgere l’organizzazione dell’impresa, ma nella maggior parte dei casi si tratta semplicemente di ridurre all’osso le attività per poterle portare a termine al meglio, lasciando un ricordo significativamente migliore sui vostri clienti di altri concorrenti che magari hanno deciso proprio in questi mesi di costruire da zero un ecommerce e magari non riescono a stare dietro alla logistica…
Le routine salvano la vita.
Non sono glamour, non sono divertenti, richiedono tempo per prendere piede. Ma salvano davvero la vita.
Anche qui il consiglio è applicabile sia per le persone sia per le aziende e i liberi professionisti.
Le routine aiutano le persone a creare un’illusione di certezza e di controllo. Se ogni giorno compiamo sempre le stesse azioni, significa che in parte sappiamo in anticipo cosa succederà un dato giorno e l’impatto paralizzante dell’incertezza sul futuro sarà minore. È vero, non sappiamo quando finirà la pandemia, ma sappiamo che domani ci alzeremo alle 7, faremo il letto, mangeremo la colazione, ci laveremo, indosseremo dei vestiti che abbiamo selezionato la sera prima, caricheremo una lavatrice, e così via.
Più semplice, naturale (nel senso che contenga azioni che facciamo con naturalezza) e piacevole è la routine, più sarà facile abituarcisi. Conquistare una routine ci regala un successo facile ma che ci fa sentire in grado di controllare la nostra vita.
Per un’azienda coltivare le routine vuol dire consolidare le buone prassi (dalla gestione degli ordini ai processi di igienizzazione e sicurezza) e ridurre i costi e le possibilità di errore.
Socializzare poco per socializzare meglio
L’umanità di suo, nei momenti di crisi, checché appaia dai flashmob e dalle raccolte fondi, non ci fa una grande figura. I social network sono popolati di umanità, quindi non sorprende che non siano esattamente il posto migliore dove socializzare in questo periodo.
Personalmente trovo particolarmente difficili da gestire i canali che si affidano alla parola, dove insomma emergono soprattutto le opinioni delle persone. Ho scoperto che non solo non mi aiuta leggerle, ma in linea di massima mi provoca reazioni davvero violente.
I post che mi porterebbero diretta all’alcolismo, se non avessi smesso di frequentare Twitter e Facebook (se non da browser, e se ho motivi lavorativi rilevanti), sono questi:
- post di insegnanti che si lamentano continuamente di ciò che viene loro richiesto;
- post che commentano con superiorità ogni notizia che viene dal Governo e ogni reazione a quella notizia. Non va mai bene niente anche se no, nessuno sa quale sarebbe la cosa giusta da fare;
- post di persone senza bambini che prendono in giro chi sta impazzendo in casa con i figli (appartentemente è perché non li abbiamo saputi educare, non perché non è normale per un bambino rimanere mesi senza l’opportunità di giocare con i coetanei e muoversi);
- post pieni di retoricah (ma quelli non li sopportavo neanche prima);
- post di denuncia contro tutti quelli che infrangono le regole del distanziamento sociale. In particolare quelli che cominciano con “anche io vorrei… ma mi trattengo/faccio un sacrificio…”. Che facciano una bella denuncia anonima alla Polizia come tutte le vecchiette che si rispettano;
- tutti i post “andrà tutto bene”. Prima di tutto perché è una stronzata e crea aspettative irrealiste. Poi perché deresponsabilizza la gente. Per come la vedo io, come andranno le cose, dipende da un sacco di fattori, prima di tutto come ci comportiamo. Non da un roseo lieto fine predeterminato;
- tutti i post che parlano della fase 2 come “la ripartenza”, “la riapertura”, ecc.
Certo, se scrivere e leggere questo genere di post vi fa sentire bene, lungi da me togliervi questo piccolo piacere. Insomma, fate come vi pare. Ma prestate più attenzione del solito ai segnali di insofferenza per non ritrovarvi a litigare poi con quelli che convivono con voi per colpa di quel che ha scritto qualcuno che neanche conoscete.
Intanto, se non li avete già nella vostra vita, cercatevi qualcuno che vi piace con cui sentirvi ogni tanto, con cui parlare di cose che vi piacciono e dedicate a loro il vostro tempo sociale.
Va bene fare del bene, ma occhio a non farsi del male.
Spendere e spandere per sostenere i business che amiamo e poi ritrovarsi senza soldi per mangiare tra tre mesi non è una volpata.
Lo stesso discorso vale per le risorse emotive che avete a disposizione: spenderle e spanderle telefonando a tutte le persone in difficoltà psicologica che conoscete, per poi ritrovarvi esausisti e depressi attaccati a una bottiglia… non è la cosa giusta da fare.
Ormai l’isteria collettiva “siamo tutti nella stessa barca” si è esaurita, adesso è il momento di fare un preciso punto della situazione risorse, rivederlo spesso, e dosare ogni investimento esterno.
Non è cattiveria, è sopravvivenza.
Immagine di copertina di John Cameron/Unsplash.