
Era un po’ di tempo che avevo in testa di scrivere della differenza tra ispirazione e aspirazione, e poco importa se questo post apparirà più come il mio tentativo di giustificare razionalmente perché odio Gwyneth Paltrow e adoro Sarah Jessica Parker.
La verità è che la questione è filosofica e importante, e per chi si occupa di comunicazione credo abbia risvolti anche morali. Lasciatemi spiegare.
Alla base, ispirazione e aspirazione semplicemente riflettono il modo in cui “respiriamo” le sollecitazioni creative:
- quando raccogliamo ispirazione è come se inspirassimo idee, suggestioni, storie, facendole nostre e usandole come nutrimento per la nostra vita interiore
- quando aspiriamo a un modello di fatto stiamo espirando nel mondo l’ispirazione che abbiamo assimilato, creando, agendo un cambiamento, crescendo in qualche modo
Questa bella metafora è illustrata in modo positivo in un breve post di Leo Babauta. Ma nella realtà delle strategie di comunicazione le due motivazioni vengono di solito associate a diversi obiettivi:
- quando si offrono spunti di ispirazione a lettori, clienti e appassionati lo si fa di solito con l’obiettivo primario di essere utili, di fornire a chi ci ascolta elementi da accogliere liberamente e su cui creare, esercitare la propria individualità, scoprire i propri gusti. Si ispirano i lettori a scoprire nuovi mondi, i clienti a interpretare l’acquisto in modo nuovo, gli appassionati a co-creare un mondo.
- quando si costruisce un modello aspirazionale l’obiettivo invece è generare desiderio, di norma capitalizzando sulla costruzione di una mancanza. Ai lettori viene mostrato cosa dovrebbero voler diventare, ai clienti cosa manca nella loro vita, agli appassionati in che modo non sono come il modello a cui tendono.
Un bell’esempio di questa differenza sono proprio gli imperi commerciali che ruotano intorno alle due attrici americane Sarah Jessica Parker e Gwyneth Paltrow.
Sarah Jessica Parker e l’ispirazione
Il successo della serie tv Sex and The City è stata la prima occasione di grande visibilità per un’attrice che fino a quel momento si era limitata a ruoli da comprimaria o da caratterista, e che in breve tempo è diventata invece un’icona di stile per milioni di donne in tutto il mondo.
Prima ancora di mettersi a “vendere” Sarah Jessica Parker era già insomma una fonte di ispirazione, seppure solo tramite un personaggio. E che il suo fosse già allora un modello ispirazionale invece che aspirazionale lo segnala il fatto che le sue ammiratrici amavano dire “Carrie sono io”, non “vorrei essere come Carrie”.
Il personaggio di Carrie Bradshaw (ossessionata dalle scarpe, ma anche abile scrittrice e avida lettrice) ha offerto ad almeno due generazioni di donne non un modello a cui tendere e col quale uniformarsi ma uno specchio in cui ri-scoprirsi e sentirsi validate per le avventure e le sperimentazioni (personali e creative). Uno sprone per fare cose nuove e sentirsi meglio nella propria pelle, non per cambiare.
Non è un caso, credo, che le due principali avventure commerciali di Sarah Jessica Parker siano diventate una linea di scarpe coloratissime e a prezzi quasi normali (partono da circa $180) e la collaborazione con Penguin Random House per creare una collana di libri, SJP for Hogarth.
Goop e l’aspirazione
La leggenda vuole che nel 2008 Gwyneth Paltrow abbia inviato la sua prima newsletter Goop dalla cucina della sua casa in zona Belsize Park a Londra. Me la sono andata a rileggere, perché sì, appena era girata la voce mi ero andata a iscrivere, ansiosa di leggere i consigli da insider dell’attrice che amo meno al mondo (nessuno è perfetto).
Il modello di Goop inizialmente era infatti del tutto ispirazionale, dal momento che si fondava sul desiderio di condividere con il grande pubblico informazioni e consigli da “vita privilegiata” ma alla portata di tutti. Nei primi mesi si trattava davvero di informazioni e consigli che volendo chiunque avrebbe potuto seguire anche senza essere bella, ricca e magra, ovvero senza rivoluzionare la propria esistenza.
Ma nel momento in cui la piccola newsletter ha cominciato ad avere ambizioni di crescita e di business, il modello di Goop è cambiato completamente. Ora è consistentemente costruito sul far sentire chi lo segue “non abbastanza” fino a che non ha acquistato uno dei prodotti/servizi commercializzati o promossi dal marchio. Di più, Goop prospera sulle frustrazioni delle donne con la propria carriera, le proprie relazioni, il proprio corpo, in modo sempre più pericoloso, come ha sottolineato un articolo apparso ad agosto sulle testate del gruppo CBC.
Non costruisci un impero da 250 milioni di dollari se non ti sposti dallo schema “guarda che meravigliose potenzialità racchiudi” allo schema “senza questo prodotto/servizio le tue potenzialità rimarranno inespresse”, ovvero dalla logica “puoi essere/fare ciò che vuoi” alla logica “da sola non sei abbastanza”.
Perché è così importante avere consapevolezza della differenza tra questi due modelli comunicativi?
Prima di tutto credo nell’enorme potere della comunicazione, e con grandi poteri bla-bla-bla. Sul serio, quando si lavora per promuovere un prodotto, un servizio o un messaggio si può senz’altro decidere di costruire sulla “distruzione” della personalità e dell’individualità del cliente, capitalizzare sulle sue insicurezze, tenerlo nell’ignoranza con fake news e generarli dipendenza. Ma questo genere di approccio è inequivocabilmente moralmente infame.
Come moralmente infame è vendere continuamente servizi inutili agli stessi clienti, facendo loro credere che ne abbiano costantemente bisogno. Ne sappiamo qualcosa anche in Italia dove impazzano “guru” di self-help, marketing e organizzazione che ripropongono ogni anno gli stessi contenuti agli stessi clienti con giusto una passata di airbrush.
Ma oltre che infame è rischioso. I business e le imprese che puntano esclusivamente sul modello aspirazionale tendono ad avere vita breve. Prima o poi il pubblico si stanca di sentirsi bastonare, di desiderare cose che non può avere, di fare debiti per procurarsele, di vedersi rivendere sempre le stesse cose anche quando non ne ha bisogno.

Immagine di copertina di Jason Leung/Unsplash.