
Insegnare è prima di tutto una vocazione, ho sempre pensato così. Una vocazione che non ho mai sentito. Per questo sono rimasta un po’ stupita, a oltre quarant’anni, di ritrovarmi a insegnare spesso, volentieri e con profitto.
Sono figlia di un’insegnante, quindi quando ho messo giù il piano di studi all’università ho fatto attenzione a non infilarci esami di geografia o storia che al tempo erano necessari per poi affrontare le abilitazioni. Avevo visto cosa ci volesse per insegnare con successo, ovvero trasmettendo davvero e senza secondi fini delle conoscenze e/o delle competenze utili agli studenti. Quella vocazione, la genuina motivazione a volere il meglio per chi riceve l’insegnamento, pensavo proprio di non averla.
Però poi la prima esperienza di lavoro serio, con contratto è tutto, l’ho avuta quando per un anno sono stata lettrice di italiano all’Università di Coventry, nel Regno Unito. Dopo avere sostenuto un concorso nazionale che richiedeva parecchio studio di didattica e psicopedagogia. Sono passati esattamente vent’anni da quella prima docenza e nel frattempo mi sono ritrovata coinvolta meno mio magrado in diverse esperienze professionali di formazione.
A guardare indietro direi che, a differenza della prima, sono tutte scaturite da questo mix di condizioni:
- un argomento di cui mi sono appassionata
- l’intuizione di una chiave di lettura di questo argomento per me importante e utile
- persone che mi chiedono di condividere questa chiave di lettura
- la convinzione che se più persone avessero le informazioni che ho io il mondo sarebbe un posto migliore
L’ultimo punto è del tutto privo di retorica. Temo di avere un approccio molto egocentrico alla filosofia “voglio un mondo migliore”, ed è che “voglio un mondo migliore per me”. Sorry, not sorry. Però sì, questa convinzione tende ad accompagnarmi ogni volta che parlo a una platea cercando di insegnare qualcosa.
Il fatto è che quando mi appassiono a un argomento divento una specie di macchina da guerra della ricerca bibliografica.
Su carta o su web, cerco di mettere le mani su qualsiasi fonte disponibile, scremo e spulcio fino a trovare i concetti per me importanti, e poi faccio prove o cerco di parlare con persone che provano sul campo. Faccio miei tutti gli elementi che ritengo specifici dell’argomento e in quel farli miei tendo sempre a trovare collegamenti.
È in questa fase che, spesso, nasce l’intuizione di una visione d’insieme dell’argomento, di una chiave di lettura mia personale.
Nulla di straordinario, è sempre stata la cifra stilistica del mio imparare. Prendo ogni singolo pezzetto di informazione e gli trovo posto in uno schema mentale che per me ha un senso. Poi faccio un passo indietro e guardo il quadro d’insieme, spesso vedendo collegamenti o conseguenze insolite, e qui di solito scatta la voglia di parlarne con tutti. Perché mi sembra di avere scoperto chissà cosa e voglio che lo sappiano proprio tutti.
Condividere le mie convinzioni riguardo ad argomenti comuni è probabilmente lo scopo principale con cui ho sempre usato i social network.
Se vogliamo è un po’ per fare proselitismo, quindi il passo all’indottrinamento è breve. È così che nel tempo mi è capitato che persone mi chiedessero di approfondire e spiegare. E così sono nate le mie prime esperienze di formazione con i progetti Dalla Parte Degli Sposi e Il Blog Lab prima, con ciò che ho scritto e insegnato per C+B dopo, e poi nelle numerose situazioni in cui ho organizzato laboratori per conto della testata CasaFacile di Mondadori.
Ogni volta che mi sono trovata dietro a una cattedra a parlare l’ho fatto rispondendo alla domanda “cosa c’è di utile, importante e facile da praticare che manca a queste persone?”.
Prima di tutto perché davvero non sopporto gli sprechi, quindi ritengo che se una persona mi viene ad ascoltare debba come minimo scoprire qualcosa di nuovo e utile. Poi perché credo fermamente nell’autonomia, quindi voglio che chi impara qualcosa da me si senta poi anche forte e sicuro al punto da tornare a casa e provare a mettere in pratica quel che ha imparato, e riuscirci col minimo sforzo, per poter poi non avere più bisogno di me.
Stavo per scrivere che voglio liberare chi mi ascolta dalla dipendenza dagli esperti, ma non è vero, ovviamente. Gli esperti di materie importanti e prioritarie (salute, economia, politica, scienza, ecc.) sono fondamentali e imprescindibili, e affidarsi alla loro conoscenza è ben lontanto dall’essere una forma di dipendenza. Vivaddio non insegno mai cose che stiano nel quadrante uno della matrice di Eisenhower o da cui dipenda la vita delle persone. Ma insegno competenze e strategie che possono avere impatti importanti nella vita di chi mi ascolta ed è bene che io me ne ricordi sempre per scegliere con cura i principi che voglio trasmettere.
Ecco, questo insieme di condizioni è stato sempre alla base dei progetti di formazione che ho coordinato o messo in pratica in questi anni.
E forse, guardandomi indietro, è quello che ne ha dettato il discreto successo. Non nel senso di fama, ma nel senso del portare risultati tangibili e determinanti nella vita delle persone.
Fino all’anno scorso, per molti motivi, consideravo comunque i servizi di formazione una componente marginale del mio lavoro, qualcosa che intraprendevo a richiesta. Poi ad aprile 2018 ho ricevuto un messaggio da una donna che aveva partecipato a uno dei miei corsi, e con la quale in seguito ero rimasta in contatto, offrendole ulteriori consigli per il puro piacere di aiutare una persona in gamba a sbocciare in una professionista di cui mi sarebbe piaciuto avvalermi in futuro (di nuovo, zero spirito di carità da queste parti).
C. mi chiede se può telefonarmi, le dico sì, certo, mi chiama e mi racconta che dopo anni di gavetta in regime di collaborazioni, prove, corsi (sta completando un processo di qualificazione professionale che nel suo settore hanno solo dodici persone al mondo) ha finalmente aperto la partita IVA e guarda a un volume di business di tutto rispetto per l’anno prossimo. E mi dice “in qualche modo lo devo a te, a quello che mi hai insegnato e all’incoraggiamento con cui mi hai spinto a tirar fuori qualcosa dalla mia passione”.
Ecco, è stato in quel momento che ho capito di essere diventata un’insegnante vera.
Tutta ‘sta manfrina per dire che lunedì qua in Emilia Romagna sono ricominciate le scuole e io sto mettendo mano ai programmi per i corsi di Alternanza Scuola Lavoro che organizzo, con Fuoririgo e per conto di CNA, presso le scuole superiori di Modena. Quindi ovviamente la mia mente è piena di riflessioni sul mio ruolo da insegnante.
Immagine di copertina di William Bout/Unsplash.