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babepi

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cose nonsense

Fare yoga a modo mio

Dicembre 7, 2018 da Barbara

diario di babepi | yoga

Sono circa tre mesi che non faccio yoga e il mio corpo è in pezzi. Mal di schiena, tensioni muscolari, crampi e mal di testa sono il promemoria costante che non sono mai stata così fisicamente bene (anche in pesantissimo sovrappeso) come l’anno scorso in questo periodo, quando facevo yoga tre volte alla settimana. Così adesso ho un bel post-it rosa shocking che recita “YOGA!” nella bacheca improvvisata sopra al computer, per spronarmi a trovare di nuovo posto per questa attività nella mia agenda.

Conosco e ho sempre conosciuto decine di persone che praticano yoga da anni, ma devo il mio inizio a un’inserzione Instagram di DailyOM. Mi piace dirlo perché c’è tanto fastidio in giro a proposito dei metodi pubblicitari di Facebook/Instagram mentre io devo a loro la scoperta di un modo di amare il mio corpo che nessun indottrinamento di amici e parenti era mai riuscito a farmi provare. Ci trovo una metafora interessante in questa serendipità, perché il mio modo anticonvenzionale di arrivare allo yoga si riflette interamente nella mia pratica di yoga, che è del tutto a modo mio.

Tanto per cominciare faccio yoga rigorosamente da sola

Sono incapace di convivere con altri corpi senza sentire costantemente il peso del confronto. Non si tratta solo del confronto fisico, della comparazione tra curve, linee, altezze, pesi, colori e tono muscolare, ma anche del confronto competitivo. Ho smesso da tempo di fare attività fisica di gruppo proprio perché non riesco a non sentire un richiamo profondo ad essere la più brava e la più performante, concentrandomi ossessivamente sull’esecuzione. Siccome essere la più brava non mi è fisicamente possibile, in gruppo tendo a sfinirmi oltre limiti salubri e a ritrovarmi infinitamente stressata al termine dell’attività fisica.

Per questo non frequento palestre e l’unica attività di gruppo che pratico è il ballo, situazione in cui la musica e l’assenza di regole mi permettono di isolarmi e lasciarmi andare. Viceversa cammino un sacco. Possibilmente in orari in cui la gente lavora e con la giusta playlist nelle orecchie.

Fare yoga da sola, in casa, lontana da specchi e persone, mi permette di calarmi completamente nel mio corpo e ascoltarlo. È una sensazione splendida, perché lontano dalle ansie da prestazione il mio corpo (e non a caso anche io) funziona meravigliosamente e con una fluidità che non mi sarei mai aspettata. Sento i muscoli che si allungano, gli organi che si rilassano nella loro posizione, i nervi che si riconfigurano… e sto, semplicemente, bene.

L’altro motivo per cui faccio yoga da sola è che il modo migliore per coltivare una buona abitudine è rendere facilissimo e poco faticoso praticarla. Il fatto di non dover pagare, prendere appuntamenti, muovermi nel traffico, per fare yoga, garantisce che io lo faccia con maggiore continuità di quanto non farei se dovessi iscrivermi in palestra. Non solo, quando, come in questi periodi, per qualsiasi motivo non riesco a praticarlo, non perdo soldi investiti in abbonamenti o corsi.

Il mio yoga à la carte

Qualche sera fa, a una delle ennemila cene pre-natalizie che caratterizzano dicembre, mi sono ritrovata seduta a fianco di un’insegnante di yoga che ha cercato in ogni modo di convincermi del potere incredibile della pratica yoga in gruppo. Non dubito che ad altri possa fare quell’effetto, e forse il motivo per cui per me il costo psicologico ed emotivo di quell’esperienza è troppo alto è solo che con gli anni ho sviluppato una forma di social anxiety.

Ma uno dei motivi per cui preferisco non confrontarmi con un insegnante e/o un gruppo di praticanti è anche perché non condivido il pur comprensibile zelo dottrinale che circonda lo yoga. Chi lo pratica aderisce spesso a una filosofia precisa e complessa con un abbandono fideistico che solo in parte secondo  me è giustificato dal rigore che dovrebbe accompagnare ogni forma di esercizio fisico.

Invece il mio approccio complessivo allo yoga è decisamente à la carte. Il che significa che prendo della pratica yoga quel che voglio e come voglio:

  • la meditazione non ha mai fatto per me, quindi il mio yoga non prevede né mantra né respirazioni meditative
  • scelgo asana di cui sento il bisogno abbastanza a istinto, tendenzialmente le seguo secondo flussi continui senza riposo tra le diverse posizioni
  • mi concentro molto sulla respirazione (ma non pratico il Pranayama) ma mi limito ad eseguire una respirazione profonda e controllata perché trovo che mi faccia sentire più rilassata e flessibile
  • sudo un sacco. Il che mi fa un po’ strano perché mi ricorda sempre una scena di sesso a tre in una palestra di yoga da alta temperatura che si trova qui. Non metto il link ad Amazon perché la scena è al limite dello stupro.

Non sono qui a incoraggiare chi legge a seguire il mio esempio. Non ritengo sia necessariamente un “modo corretto” di fare yoga. Ma me ne frego, perché funziona per me e mi fa stare bene. Di “fare la cosa giusta” per il principio di aderire a modelli di perfezione ho perso la voglia.

Pochi maestri ma buoni

Una delle obiezioni più insistenti dell’insegnante con cui ho parlato l’altra sera, al mio modo di praticare yoga, è stata “ma non ti fai mai controllare da qualcuno?”. Che potrebbe riassumere bene la domanda che altri mi hanno fatto: “ma come hai imparato? Come fai a sapere se fai la cosa giusta?”.

Partiamo dal presupposto che ho praticato Pilates per anni, quindi ho una discreta abitudine a praticare movimenti lenti facendo grande attenzione alla posizione di ogni parte del mio corpo (Joseph Pilates ha creato la sua disciplina anche sulla base di alcuni elementi dello yoga).

Per il resto, ho cominciato a praticare yoga seguendo le lezioni video del corso di Sadie Nardini per DailyOM 21 Day Beginner Yoga. Di Sadie ho letto pessime cose in giro, e ho scelto di ignorarle per tre motivi:

  1. al termine del corso (che ho spalmato su un mese e mezzo circa) avevo perso una taglia (due nelle gambe) e facevo movimenti che non ricordo di essere stata in grado di fare neanche a 20 anni, quindi per me è stato efficace
  2. le istruzioni di Sadie sono molto precise e costanti per cui è facilissimo seguire i video e praticare allo stesso tempo senza perdere alcun passaggio, inoltre le lezioni si possono praticare con pochissimo spazio e quasi zero attrezzatura (all’inizio io usavo una coperta e due cuscini)
  3. lo stile di incoraggiamento, costante, positivo e completamente flessibile (suggerisce continuamente versioni semplificate e incoraggia a non strafare) di Sadie mi ha portato senza sforzo a forzare i miei limiti, proprio perché mi sentivo libera di non farlo.

Io ho trovato ciò che funziona per me, ma in circolazione ci sono tantissimi corsi e app con video e il livello è in generale molto alto, quindi le opzioni per chi vuole cominciare senza uscire di casa sono tantissime.

Su Instagram si può seguire anche Lydia Sasse, una mia ex cliente con cui sono rimasta amica a distanza, che insegna yoga in Irlanda ma pubblica spesso utili video. Le sue routine di face yoga e di yoga per potenziare il sistema immunitario sono semplici da seguire e molto efficaci.

L’unica cosa che sì, mi sento di consigliare, è questa: cercate bravi maestri ma diffidate dei guru. Quelli che “questo è il modo giusto di fare yoga”. Esistono almeno 5 interpretazioni dello yoga, e non sono un’esperta quindi anche quel numero è forse molto riduttivo. Nessuna di queste interpretazioni, se praticata con attenzione, mi pare risulti in danni fisici e/o psicologici, quindi mi sembra ragionevole affermare che chi ha scelto una sola interpretazione avrà le sue motivazioni ma sicuramente non è infallibile.

Gli strumenti che uso

In ultimo, col tempo ho imparato che una coperta e qualche cuscino non mi permettevano di praticare con la tranquillità che volevo, così ho investito in alcuni strumenti specifici:

  • un telo yoga antiscivolo, acquistato da Decathlon, perché ho capito che alla fine non mi serviva l’imbottitura di un materassino ma che la superficie non si muovesse sotto di me
  • due blocchi di sughero (sempre di Decathlon), perfetti per diversi usi. Peso giusto, facile maneggevolezza, li adoro
  • uno sgabello poggiatesta FeetUp (grazie ancora, inserzioni di Instagram!), per aiutarmi nelle inversioni. Per il momento l’ho usato solo per alcune asana di apertura delle spalle e lo amo molto. Non vedo l’ora di testarlo anche per il suo uso principale.

Adesso non mi resta davvero che ricominciare a ritagliarmi tempo per stare meglio con lo yoga.

Foto di copertina di Ben Blennerhassett/Unsplash.

Filed Under: cose nonsense Tagged With: selfcare, yoga

Io leggo romance

Ottobre 19, 2018 da Barbara

diario di babepi | romanzi rosa

Per una persona italiana, con una laurea in materie umanistiche e un interesse nella scrittura, parlare di questo argomento equivale più o meno a confessare di essere un omicida seriale.

Ma ho smesso di nascondermi e ho deciso di andare orgogliosa del fatto che sì, io leggo romanzi rosa.

Ammetterlo pubblicamente, nero su bianco, non è stato poi così difficile. Credo che questo abbia a che fare con l’allenamento ad ammettere cose considerate umilianti fatto quando lavoravo come organizzatrice di matrimoni. In quel frangente ho scoperto che in Italia essere wedding planner è considerata non solo una professione frivola e poco autorevole, ma anche prerogativa di persone poco intelligenti, almeno a giudicare dalle reazioni delle persone quando comunicavo di svolgere quel lavoro.

Dello snobismo di noi italiani su tanti argomenti che hanno a che fare con la creatività un giorno qualcuno dovrà dire qualcosa.

Non io, che oggi ho solo voglia di raccontare come ho cominciato a leggere romanzi rosa, perché non la ritengo un’attività di cui vergognarsi e anzi come farlo mi abbia aiutato nel lavoro e nella vita personale.

Tutto è cominciato intorno ai tredici anni, se non sbaglio, quando il marchio Harmony (la versione italiana dell’americana Harlequin) ha pubblicato per quasi un anno una collana di romanzi rosa con protagonisti adolescenti. Young Adult ante litteram, se vogliamo, questi romanzi uscivano una volta alla settimana in edicola, si leggevano in circa un paio d’ore e contenevano tutti i topos del genere. Da adolescente imbranata e un po’ asociale li adoravo e ho parecchio sofferto quando l’esperimento editoriale è si è esaurito.

In piena crisi di astinenza, tra i quindici e i sedici anni mi sono ritrovata a scrivere una di queste storie in un quaderno. Ci ho preso gusto ed è diventato un piccolo romanzo che leggevo alle amiche con cui condividevo questa passione. Ad oggi è l’unico lavoro di scrittura creativa che io abbia mai completato.

Vorrei non fosse necessario fare distinguo, ma contemporaneamente alla lettura di questi Harmony dalla copertina rosa confetto leggevo anche qualsiasi altra cosa mi capitasse a tiro. Tantissimi classici, tutto Dumas, gialli di Agatha Christie, Il Signore degli Anelli, un sacco di fantasy, ma anche Elsa Morante, Jane Austen. E potrei continuare.

Per me, allora come oggi, leggere era leggere. Se un libro mi cattura e non mi fa rabbrividire per la pessima scrittura, va più che bene.

Sento la necessità del distinguo in parte per latenti superstiti sensi di colpa, in parte perché la reazione che negli anni ho sentito più spesso, alla mia affermazione che leggo romanzi rosa, è stata “guarda che c’è un sacco di roba scritta molto meglio, se tu provassi a leggere qualcosa di diverso non riusciresti a leggere questa spazzatura”. No. Ho letto tutto Dostoevskij, grazie. Lo amo. Ma amo anche un romanzo rosa ben scritto. Egualmente.

Dopo alcuni anni di astinenza dal genere rosa (riempiti appunto di pile e pile di libri in media di riconosciuto valore letterario) verso i vent’anni sono tornata ad acquistare Harmony, questa volta quelli da adulti. E sì, ovviamente anche quelli che in gergo si chiamano ‘smut’. Rispetto al sesso crudo dei grandi scrittori maschi (Henry Miller, soprattutto) il sesso scritto da donne eterosessuali per donne eterosessuali (per lo più) è un esercizio sociologico interessantissimo. Oltre che una fonte d’ispirazione per una giovane donna alla scoperta del proprio corpo.

Il sesso immaginato e (de)scritto dalle donne non è sempre legato a sentimenti o relazioni tradizionali, ma è spesso connesso a tematiche di autostima, rispetto, ricerca di sé, riti di passaggio, gestione di traumi, emancipazione dalle aspettative sociali.

E proprio per questo è di norma molto più coinvolgente e interessante da leggere.

Questa è la parte che preferisco dei romanzi rosa e il motivo per cui, anche se come ogni opera di genere seguono rigidi modelli e schemi di trama, non mi stanco di leggerli. C’è un effetto catartico enormemente piacevole nel leggere della rivincita personale di una protagonista (che al termine della storia riscopre sé stessa, è amata per quel che è, si ritaglia uno spazio nella società anche al di fuori dalle sue regole). Nella vita non succede quasi mai che queste rivincite vengano portate a termine, come sapeva Jane Austen. Non è un caso che la trama di Pride and Prejudice sia diventato l’archetipo originale del romanzo rosa, anche se involontariamente.

Potrei andare avanti a lungo su questo argomento. Anche perché con l’avvento di internet e delle opzioni di self-publishing offerte soprattutto da Amazon, il genere del romanzo rosa si è definitivamente liberato delle gabbie imposte dalle case editrici. Oggi i sotto-generi (college romance, sport romance, paranormal romance, ecc) hanno preso vita propria e trovato nuovi lettori, che con il loro interesse e desiderio di leggere ispirano i nuovi scrittori di genere a trovare nuove strade e nuovi modi di lavorare all’interno degli schemi del genere.

Internet e il fenomeno del self-publishing sono anche il motivo per la quantità impressionante di romanzi rosa distribuiti ogni settimana. You’ve got to love the market. Le leggi del libero mercato, il meccanismo di domanda e offerta, non funzionano sempre perfettamente, ma nel mercato del romanzo rosa stanno funzionando discretamente.

Con l’aumento esponenziale dell’offerta la selezione sulla qualità è diventata spietata, e la qualità letteraria media dei prodotti si è notevolmente alzata.

E torniamo a me. Da quando ho ripreso a leggere romanzi rosa ho incontrato tanta spazzatura, ma ho anche letto libri scritti seriamente bene, di una scrittura semplice nel senso migliore del termine. Essenziale, dimostrativa invece che descrittiva, con ottimo ritmo, dialoghi realistici e scoppiettanti, personaggi interessanti e insoliti, che crescono nelle pagine della storia. Leggere romanzi rosa di qualità è un’ottima palestra di scrittura per chi scrive per lavoro di questi tempi. Allena l’orecchio al ritmo di una comunicazione che è diventata enormemente più veloce, ma che non per questo deve perdere di significato. Credo sia anche per questo che dopo tanti mesi di difficoltà, da quando ho ripreso a leggere anche questi romanzi la scrittura è tornata ad essere naturale per me.

Leggere insegna a scrivere. Leggere romanzi rosa mi ha restituito creatività e ispirazione.

Poi è un ottimo anti-depressivo! L’effetto catartico che ricordo dai primi Harmony che leggevo è rimasto intatto. Amplificato persino, quando i romanzi che leggo hanno protagoniste intelligenti, ambiziose, magari anche un po’ “strane”. Qualche mese fa ho letto un pezzo sull’Huffington Post dell’autrice di un interessantissimo studio sui romanzi rosa, The Dangerous Books For Girls. Maya Rodale (anche lei scrive romanzi rosa) ha condotto una ricerca tra i lettori di genere negli Stati Uniti nel 2014 e ha scoperto che il 60% degli intervistati si considera femminista, che le qualità cercate in un’eroina sono soprattutto intelligenza, senso dell’umorismo e indipendenza, e il 62% degli intervistati ha affermato di credere che i romanzi rosa siano uno strumento di empowerment femminile.

Leggo romanzi rosa per vedere donne in cui mi posso identificare ottenere un autentico lieto fine (che non inizia o finisce con il lieto fine romantico). Quando le giornate vanno storte è un’ottimo modo per ricordarmi che domani potrà andarmi meglio.

—

Se non avete mai letto romanzi rosa, o non lo fate da un po’, vi lascio qui sotto qualche titolo che ho amato molto negli ultimi mesi.

Per la maggior parte sono titoli in inglese per due motivi semplici: 1. molta della produzione migliore, essendo indipendente o auto-prodotta, non è tradotta 2. purtroppo le traduzioni di genere in italiano sono spesso scritte malino. Non tanto per colpa dei traduttori, quanto per come funziona l’industria editoriale e per le quotazioni scandalosamente basse e le pessime condizioni di lavoro dei traduttori. Per farvi un’idea di cosa intendo leggetevi il romanzo di Silvia Pillin, Non un romanzo erotico.

I link inseriti in questo post sono affiliati, quindi se acquistate uno dei titoli che sto consigliando una percentuale dei profitti arriva a me. Grazie in anticipo se sceglierete di seguire questo canale.

Cinder & Ella – divertente rivisitazione della favola di Cenerentola ambientata nel mondo del fantasy e della fan fiction, genere young adult clean con protagonisti tra adolescenza e primi vent’anni e niente sesso. Della stessa scrittrice ho amato molto anche The Libby Garrett Intervention (in cui un’adolescente grassottella viene salvata da una relazione distruttiva da un gruppo di amici, perché non è detto che quando l’eroe popolare si lascia sedurre dalla ragazza alternativa la storia finisca bene) e If We Were A Movie (una studente di cinema condivide l’appartamento a New York con uno studente di musica, sotto-genere da amici ad amanti).

The Hook Up (in italiano La partita vincente) – la ragazza intelligente e lo sportivo tutto muscoli, in una storia di “solo sesso” che interpreta diversi cliché del genere college romance, capovolgendoli.

Qualsiasi cosa di Penny Reid, da Elements of Chemistry (college romance tra la nerd asociale e il ricco ragazzo più popolare della facoltà) a Dating-Ish (in cui uno scienziato che sta inventando un robot per appuntamenti incontra una giornalista in cerca di un compagno) passando per gli altri romanzi della serie Knitting in the City. Penny al momento è la mia scrittrice preferita di romanzi rosa. L’unica di cui compro qualsiasi cosa pubblichi.

La trilogia Lovely Vicious di Sara Wolf – esempio di successo indipendente acquistato da una grande casa editrice, e di come dialoghi e personaggi ben congegnati possano far digerire trame al limite della credibilità.

The Only Thing Worse Than Me Is You – una rivisitazione di Molto Rumore Per Nulla ambientata in un liceo per ragazzi super intelligenti. Conoscere la trama originale non toglie nulla al piacere di leggere la storia, che anche qui si mescola a un mistero.

Insieme siamo perfetti (traduzione mediocre dell’originale Punk 57 non disponibile su Kindle al momento) – protagonisti adolescenti, storie estreme e un po’ improbabili, tanto sesso, eroina fastidiosa e antipatica… un insieme di ingredienti ‘sbagliati’ che producono un risultato davvero godibile.

Per chi ama il genere storico i romanzi di Lisa Kleypas sono una garanzia. Uno fra tutti Suddenly You (All’improvviso, tu) – la storia di una scrittrice che si regala un’avventura per i trent’anni.

Immagine di copertina di JC Dela Cuesta via Unsplash.

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Da qualche parte bisogna pure ricominciare

Aprile 27, 2018 da Barbara

diario di babepi | inizio


Io lo faccio da qui.

Da un sito montato su in due giorni, dalla suggestione di un bel rosso carico e del mio blu adorato. Da un mese di aprile che è già quasi maggio.

Dalla consapevolezza che mica posso arrivare al Freelancecamp senza un sito!

Immagine di copertina di Dmitri Popov/Unsplash.

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Dal 1997 babepi è il nickname di Barbara Pederzini, cioè io. Dal 2009 lo uso per lavoro, per proporre eventi, contenuti e formazione a piccole e grandi aziende.

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