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Scegliere influencer, questioni di brand association e fiducia

Settembre 24, 2021 da Barbara

Quale che sia la tua opinione sull’influencer marketing, spero che converrai con me che ingaggiare unǝ influencer sia particolarmente interessante per un’azienda nei settori lifestyle. Cosmesi, abbigliamento, interni, persino food, sono settori in cui i prodotti si prestano facilmente a essere promossi da persone che hanno fatto del proprio stile di vita un contenuto di marketing.

Tuttavia, quando si tratta di scegliere con quale influencer lavorare, sorgono questioni non marginali di brand association e reputazione.

Ovvero, diventa fondamentale valutare la relazione che c’è tra la marca dell’azienda e la marca delǝ influencer e in che modo questa relazione possa ripercuotersi sulla reputazione di entrambe, anche a lungo termine.

La relazione di cui parlo è quella che in gergo si chiama brand association. Ovvero, due marche che collaborano verranno automaticamente associate tra loro nella mente delǝ potenziale cliente, che trarrà conclusioni da questa associazione.

Partiamo dai valori

Se un’azienda ha un set chiaro di valori che ha comunicato chiaramente al mercato è fondamentale che scelga unǝ influencer che condivide quei valori, altrimenti la clientela nel migliore dei casi sarà confusa, nel peggiore perderà fiducia nei confronti dell’azienda. Se sei un’azienda attenta che promuove cosmesi vegana e anti-crudeltà e scegli un’influencer che si fa vedere spesso e volentieri mentre mangia hamburger e indossa capi in pelle, hai un problema.

Ma lo stesso vale capovolgendo i ruoli. Se un influencer appassionato di ecosostenibilità accetta un ingaggio con un’azienda che oltre a una piccola utilitaria elettrica produce soprattutto grandi SUV a diesel, difficilmente la cosa passerà inosservata (e gradita) a chi lo segue.

Di più, se non hai mai esplicitato i valori della tua azienda e assoldi unǝ influencer per promuoverla, automaticamente il pubblico penserà che tu convidivida i valori che esplicita lǝ inluencer. Non hai preso posizione sulla parità di genere? Se scegli unǝ influencer che ripete spesso che il posto delle donne è a casa con i figli, tutti penseranno anche tu la pensi così.

Scegliere influencer che rappresentino uno stile di vita allineato con i valori della tua marca e che li condividano esplicitamente dovrebbe essere ovvio e la base di qualsiasi campagna.

Ma anche la visione è importante

Non solo, dovresti anche assicurarti che le vostre visioni siano allineate. Hai presente lo scopo della tua marca? Intendo quella visione per il futuro che dovrebbe essere molto di più del più recente “trucchetto” commerciale. Cioè che dovrebbe riflettere la genuina visione che la tua azienda ha per il proprio futuro e per ciò che vuole realizzare.

Per esempio, diciamo che sei per la scalabilità del tuo modello e ti immagini un futuro con il tuo negozio in ogni città del mondo. Ottimo, ora fai in modo che anche chi ti promuove la pensi allo stesso modo.

Lo stesso problema di credibilità che può sorgere se tu e lǝ influencer che scegli avete valori diversi, sorgerà infatti anche se il suo scopo è diametralmente opposto a quello della tua azienda. Per esempio se ha deciso di promuovere col proprio lavoro i piccoli negozi indipendenti e le attività meno ripetibili.

La marca dietro i numeri

Il modo più semplice per assicurarti di scegliere influencer che rappresentino uno stile di vita allineato con la tua marca e che siano coerenti nel rappresentarlo è ovviamente sceglierli non concentrandoti sui numeri.

Chiariamoci, i numeri non sono di per sé positivi o negativi, ma sono significativi solo se misurano contenuti significativi. Prima di decidere se lavorare con unǝ influencer chiedilǝ un media kit e assicurati che includa informazioni riguardanti i suoi valori e la sua visione. Se non lo fa, chiedili esplicitamente.

Non solo, verifica che il media kit includa una ‘fotografia’ quanto più precisa e dettagliata del pubblico di riferimento delǝ influencer, corredata, questa sì, da numeri che la descrivano qualitativamente e quantitativamente.

Unǝ influencer è unǝ partner di progetto che concepisce e produce contenuti adatti al proprio pubblico, quindi ha senso ingaggiarlǝ solo se questo coincide anche col pubblico della tua azienda o con quello che vuoi raggiungere. A parità di valori e visione, quanto più è alta questa coincidenza tanto più efficace sarà la collaborazione.

L’influenza si fonda sulla fiducia

È una verità mai ripetuta abbastanza che il “prodotto” venduto da unǝ influencer non siano i numeri del suo following ma la fiducia.

Ingaggiando unǝ influencer tu “compri” la fiducia che il suo pubblico ha nei confronti delle sue scelte di acquisto e dei suoi comportamenti. Più questa è forte, più alto sarà il tasso di conversione della sua campagna. Indipendentemente dal numero di follower che compare sul suo profilo Instagram.

È questo il motivo per cui può essere conveniente anche investire in nano o micro influencer (rispettivamente chi ha dai 1000 ai 10000 follower, e dai 10 ai 50 mila follower). Ed è per questo motivo che un investimento di influencer marketing è alla portata anche delle aziende che non si possono permettere Chiara Ferragni.

Ma la fiducia è una valuta importante anche nella relazione tra azienda e influencer. Coltivala firmando contratti di collaborazione chiari negli obiettivi e nelle metriche di misurazione di questi obiettivi, da definire con la collaborazione di chi si occupa del tuo marketing e da concordare con lǝ influencer.

La fiducia scrive le campagne migliori

Nel momento in cui decidi di affidare l’immagine e la promozione dei tuoi prodotti a unǝ influencer lo fai scommettendo che saprà convincere chi lǝ segue ad acquistarli.

Per questo non conviene MAI (sì, l’ho scritto tutto in maiuscolo) imporre script in una campagna di influencer marketing. Non solo rischi di usare un linguaggio non adatto al pubblico che hai “comprato”, ma corri anche il rischio di compromettere la credibilità delǝ influencer. Ne ho parlato anche nel mio profilo su Caroline Hirons qui sul blog.

Non ti dico quante campagne sono fallite miseramente con conseguenze negative durature perché un’azienda ha ingaggiato due influencer che condividevano pubblici simili e ha imposto loro uno script identico, che quindi il pubblico si è ritrovato duplicato sul feed. Col risultato di irritare il pubblico e fargli sospettare che il messaggio promozionale delle influencer non fosse poi così convinto.

Ma allora, mi chiederai, come faccio a essere sicurǝ che passeranno il messaggio che voglio? Semplice, usa un brief. Scritto bene, di nuovo da chi si occupa del tuo marketing, dettagliando quali sono le caratteristiche fondamentali del tuo prodotto, qual è il suo valore intrinseco e unico, quale azione vuoi che faccia il pubblico, e così via.

Poi lascia che lǝ influencer che hai ingaggiato interpreti quel brief nel modo migliore che conosce per parlare al proprio pubblico, con il proprio tono di voce, le proprie parole.

I numeri per avere successo

Infine, misura tutto. Sì, perché fidarsi non vuole dire investire alla cieca. Al contrario, una campagna di influencer marketing sensata ed efficace passa per una pianificazione attenta degli investimenti, dosando gli interventi su diversз influencer che lavorano sullo stesso pubblico (o su quote verticali), magari in fasi successive o con uscite complementari.

Vuoi evitare la saturazione del messaggio sullo stesso gruppo di persone e allo stesso tempo costruire una stratificazione di influenza.

Infine, vuoi misurare quell’influenza calcolando nel modo più preciso possibile quante vendite risulteranno dalla campagna che hai indetto. Il modo migliore per farlo è usando codici sconto tracciabili e link di referral. Entrambi questi strumenti ti permettono di tracciare con precisione il traffico derivato dalla campagna di influenza e poi come questo traffico si traduca in acquisti o richiesta di informazioni, o ricerca di prodotti.

E per le vendite fisiche? Anche qui il confronto tra i dati storici e le tendenze di comportamento con i dati nel periodo ti permetteranno di avere una buona approssimazione dell’impatto della campagna.

Per ultimo, ma non meno importante, imposta un monitoraggio della reputazione della tua marca, in modo da intercettare fin da subito eventuali fluttuazioni legate all’associazione con lǝ influencer sceltǝ.

Con queste consapevolezze e attente misurazioni saprai cogliere le migliori opportunità offerte da una campagna di influencer marketing!

Copertina di Jeff Sheldon/Unsplash

Archiviato in:cose di strategia Contrassegnato con: influencer marketing, marchio, reputazione

Sopravvivere a settembre con organizzazione e consapevolezza

Settembre 20, 2021 da Barbara

Come ho scritto l’altro giorno su LinkedIn, “Settembre in Italia è quel mese in cui succede tutto e tuttз si aspettano un pezzetino delle tue giornate”. La situazione si ripete ogni anno ma ti assicuro che è possibile sopravvivere a settembre senza perdere opportunità di lavoro o rinunciare al tempo libero.

Chiaramente, siccome sono io che scrivo, la ricetta per riuscirci è una serena consapevolezza dei propri limiti e delle proprie priorità e un’organizzazione rigorosa per difendere le seconde entro i primi.

Per esempio, questo post era previsto nel mio piano editoriale per il 27 agosto. Quando mi sono resa conto di quanti aggiustamenti richiedeva il rientro l’ho messo in pausa e riprogrammato per fare spazio ad attività più importanti.

Ecco la prima lezione sull’organizzazione richiesta da settembre. Non ha senso fare piani troppo rigidi perché questo mese genera un vortice di entropia che trascende i limiti di calendario!

Ci sono diversi motivi per cui succede:

  • in tutta Italia agosto è considerato un mese di vacanze. La conseguenza è che a settembre tuttз arrivano coi sensi di colpa e di urgenza per essersi presз una pausa, e con l’arroganza di trasferire quei sensi di colpa su di te. Sicuramente anche tu non hai fatto niente per un mese quindi adesso devi correre. Ora, subito, per loro. Insomma, settembre diventa 30 giorni in cui fare rientrare il lavoro di 61;
  • sul mese poi aleggia un caratteristico mood dolce-amaro. Un misto di ansia da prestazione per i buoni propositi (andare in palestra, vedere più mostre ecc) e felicità al pensiero di rivedere persone che magari senti di aver trascurato nel precedente anno ‘scolastico’. Col risultato che tendi a tramutare il meme ‘ne riparliamo a settembre’ in un’agenda di impegni sociali estenuante e francamente impraticabile;
  • infine, se hai figlз c’è tutta la parte di admin richiesta dalla ripartenza dell’anno scolastico (incluse scelte sportive, iscrizioni, riunioni, acquisti e aggiustamenti), in orari che sulla carta si vorrebbero compatibili con l’orario di lavoro deз genitorз ma che spesso costringono a prendere permessi e limitare la disponibilità per le riunioni.

Aggiungiamo che questo è il mese del cambio delle temperature, anche nel nuovo corso dell’emergenza climatica, con corollario di energie in calo e piccoli malanni (anche in condizioni pre-Covid) e ciao, la tempesta perfetta è qui.

Come è possibile difendersi?

La parola d’ordine è consapevolezza

Settembre è orribile ogni anno, non ha senso farsi illusioni che la situazione migliori.

Il mio modo per fare tesoro di questa consapevolezza è metterla a terra sull’agenda. La prima cosa che faccio quando ricevo l’agenda di un nuovo anno è proprio inserire scritte giganti nei mesi di settembre e dicembre per ricordarmi che sono mesi che partono come già pieni di impegni.

Questi 30 giorni non sono effettivamente tutti disponibili. Con questa consapevolezza non programmo mai lanci di nuovi prodotti e/o servizi in questo periodo e limito gli eventi sociali personali a uno a settimana.

Inoltre pianifico l’autunno complessivamente e a partire dall’inizio di agosto. Questo mi permettere di anticipare una serie di impegni e attività preparatorie, e posticipare da subito altri impegni a partire da ottobre.

Per esempio: questo blogpost programmato a inizio anno aveva un argomento non essenziale (quindi se fosse saltato non ci sarebbero state conseguenze per il mio piano strategico). Per questo a inizio agosto l’ho messo in pausa. Non solo, il corso in aula sugli obiettivi per Sistema Training non parte a settembre ma a ottobre.

‘Consapevolezza’ vuol dire anche conoscerti

Settembre è quel che è, ma tu, come sei fattǝ? Come ci arrivi, che esigenze hai, che desideri, impegni, situazioni?

Conoscere tutti questi aspetti può aiutarti a prevenire e curare insieme, magari decidendo che le ferie le fai proprio a settembre, tutto il mese. Con buona pace deз clienti italianз, a cui ovviamente spiegherai per tempo la cosa organizzando il lavoro di conseguenza.

Ma anche conoscere le esigenze del tuo corpo è importante. Se sai che hai un calo di energie proprio in questo periodo potrai organizzarti col tuo medico curante già a luglio per farti prescrivere integratori. Potresti avere bisogno di passare più tempo all’aria aperta per controbilanciare le full immersion al lavoro, organizzati passeggiate nel fine settimana.

… e avere chiare le tue priorità

Se la tua vita e il tuo benessere richiedono che tu dorma otto ore per notte con regolarità è inutile mettere in cantiere giornate lavorative di 14 ore. Così come ci sono attività e incarichi lavorativi (e sì, persino clienti) che sono più importanti per te. È a questi che dovresti dare la precedenza.

Per farlo a volte aiuta persino scriverli su un post-it appeso davanti al tuo schermo o all’interno dell’agenda. Insomma tenerli dove puoi vederli quando le urgenze di qualcun altrǝ cercano di farsi spazio nelle tue giornate. In quei momenti può risultare difficile dire di “no” o ergere paletti. Se sai cosa stai proteggendo diventa più facile.

No, non darai la tua disponibilità per il progetto pro-bono presso l’associazione di cui fa parte il cugino di secondo grado, perché hai la tua newsletter da scrivere. O anche solo no, non incontrerai per un caffè una persona che ti vuole presentare una proposta a freddo, ma te la farai mandare per email.

Organizzati per tempo

Come faccio io, già a gennaio quando uso il pennarello per colorare la visualizzazione mensile di settembre. Ma più semplicemente cominciando già all’inizio dell’estate a non prendere impegni per le prime settimane di rientro. Allenati a scadenziare con cura i ‘richiami’ alla clientela e a chi collabora con te. Non più il solito “ne riparliamo a settembre”, ma a seconda delle reali necessità del progetto “ne riparliamo a ottobre” o persino “a novembre”.

Poi metti l’impegno sull’agenda. Che sia cartacea come la mia, o digitale, o anche solo un’app calendario, non cambia. Scriviti l’appunto nel momento esatto in cui hai deciso di richiamare. Meglio ancora, scrivi oggi l’email e programma fin d’ora l’invio per il momento giusto (Gmail ha reso la funzione attiva per tuttз da qualche tempo).

Se hai l’abitudine di organizzarti il mese in anticipo questi impegni già segnati ti aiuteranno anche in futuro a prevedere il carico di lavoro in modo omogeneo. E se non hai questa abitudine… creala 😉 Non ti dico di comprarti la mia agenda con il video-corso in cui insegno come dosare l’organizzazione del mese e della settimana, perché è settembre e hai abbastanza da fare.

Ma magari segnatelo per ottobre 😉

Difendi il tuo ritmo

Se fai lo stesso lavoro da diversi anni (in proprio o in un’azienda) e sei una persona efficiente, con ogni probabilità le tue giornate scorrono secondo routine oliate. Magari neanche ne sei consapevole. Eppure appena ti siedi alla scrivania apri la posta elettronica, alle 10 vai a prendere il caffè, alle 14 leggi le newsletter di aggiornamento. E così via.

Anche inconsapevolmente, ma più spesso imparando ad ascoltare le tue esigenze e organizzarti, hai disegnato le tue giornate per la massima efficienza. È proprio questo ritmo che ti permette di passare indenne settembre quindi difendilo. Se nuovз collaboratorз cercano di farti cambiare abitudini non accettare il cambiamento passivamente. Pretendi di sapere le motivazioni alla base di questo diverso sistema e prenditi il tempo per integrarlo con il tuo.

Non lasciare campo libero alle persone per metterti appuntamenti e/o impegni in orari per te inadatti. Usa uno strumento come la condivisione del tuo calendario di Google o Calendly per dare ampie disponibilità ma nei limiti della tua organizzazione.

Rinegozia tutto il possibile

Se nonostante tutti questi accorgimenti è il 20 di settembre e non tiri più fiato sappi che quasi qualsiasi scadenza si può rinegoziare. Basta farlo con ampio anticipo, offrendo garanzie sulla qualità e il completamento del progetto, e con cortesia.

Parti dalle attività e dagli appuntamenti meno urgenti e offri da subito una nuova data. Non fermarti a un appuntamento. Se ne puoi rinegoziare cinque, fallo per tutti. Prima di tutto non è detto che tutte le persone coinvolte accettino, ma anche fosse è settembre e ogni margine di libertà sarà il benvenuto!

Copertina di Thomas Dils/Unsplash

Archiviato in:cose di organizzazione Contrassegnato con: agenda, organizzazione tempo, pianificazione

“Ho un negozio fisico, mi serve l’e-commerce?”

Febbraio 25, 2021 da Barbara

Se io e collegh* marketer potessimo avere un euro per ogni volta che abbiamo sentito questa domanda solo negli ultimi dodici mesi, potremmo ritirarci a vita. Se nell’era pre-Covid il dubbio veniva a un numero tristemente basso di commercianti, da marzo 2020 il dilemma è diventato universale.

Sull’utilità oggettiva di avere un canale di vendita virtuale alternativo al negozio fisico è stato detto e scritto moltissimo. Allo stadio attuale la strategia più consigliata è quella multicanale. Cioè che permette alla clientela di interagire con aziende e negozi (e comprare) dal punto di contatto che preferisce, che sia online o fisico. Una recente guida di Apogeo (tradotta e integrata per l’Italia da Gianluca Diegoli) spiega come metterla in atto e perché.

Un e-commerce è utile ma non fa per tutte le realtà

Io stessa devo spesso trattenermi, quando mi viene fatta la domanda del titolo, dal rispondere: “Sì, e sei già in ritardo”. D’altra parte non serve neppure un/a web designer, come ha già dimostrato benissimo Enrica.

Però poi mi metto nei panni del piccolo negozio indipendente, con un/a titolare che ricopre tutte le altre mansioni. Insomma, un’attività con poca liquidità e risorse (di tempo e forza lavoro) limitate.

È a una di queste titolari che l’anno scorso ho inviato una mail che conteneva le indicazioni che ora condivido qui sul mio blog, su come arrivare alla risposta adatta a ogni situazione.

La tecnologia non è l’elemento più importante

Nella quasi totalità dei casi, tra i piccoli commercianti con cui parlo, la prima domanda intorno al sito internet riguarda la tecnologia.

“Dove è meglio che compri il dominio?” (Un fornitore vale l’altro). “Quale sistema dovrei scegliere, WordPress o Squarespace?” (Dipende, ma sempre meglio scegliere un sistema aperto e testato che non ti vincoli a un fornitore per qualsiasi modifica). “Qual è il/la web designer migliore che conosci?” (Dipende, ma per la grafica a chi ti affiderai? – attonito silenzio)

Il primo passo della mia consulenza a queste persone è spiegare che il sito web e/o e-commerce è uno strumento, non un fine. Quindi le riflessioni strategiche precedono e sono strettamente propedeutiche a quelle tecniche.

Non ha alcun senso esaminare portfoli, studiare CMS e /o raccogliere preventivi prima di avere risposto a una serie di domande strategiche ben precise sulle funzioni che dovrebbe assolvere lo strumento.

Le domande strategiche per definire i tuoi bisogni tecnologici

Prima di passare alla fase di considerazione delle offerte di servizio per il tuo sito dovresti sederti ed esaminare la possibilità di aprire un e-commerce con lo stesso approccio che hai usato quando hai deciso se e come aprire un negozio fisico. Idealmente dovresti proprio farci un mini business plan, ma è già sufficiente se rispondi alle domande di seguito.

Quali obiettivi vuoi raggiungere?

In sostanza, cosa vuoi ottenere dalla creazione di un canale online per il tuo negozio? Potresti voler allargare il tuo bacino di utenza e raggiungere persone che possono visitarti solo raramente. Magari sei esclusivista per un artigiano che non vende direttamente i suoi prodotti e pensi ci sia mercato per proporli fuori dalla tua Provincia, Regione e persino all’estero.

Oppure potresti voler offrire un servizio migliore alla clientela che già hai, offrendo loro un nuovo punto di contatto, che possano usare quando sono impossibilit* a visitarti di persona.

O ancora, potresti voler aumentare il volume delle vendite facendo campagne di pubblicità online che raggiungano chiunque sia interessat* ai prodotti che vendi.

Per riassumere, devi prima di tutto decidere che funzione dovrà assolvere il tuo e-commerce, se ce n’è una. E quantificarla.

Quali prodotti ci vuoi vendere?

Da un punto di vista strategico è utile anche chiederti che cosa vorrai vendere tramite il tuo e-commerce. Potresti volere dedicarlo a una serie di prodotti ingombranti che conservi a magazzino o che vendi tramite drop shipping, ma che non tieni in negozio.

Oppure potresti voler vendere online esclusivamente una selezione ristretta dei tuoi prodotti, magari i best seller o i long seller, offrendo così alla tua clientela la possibilità di rifornirsi dei propri prodotti preferiti anche senza muoversi da casa.

Un’altra opzione sarebbe quella di lasciare in vendita online esclusivamente una selezione outlet di articoli fine serie e/o giù di stagione che non vuoi tenere in negozio e che liquidi a prezzi bassissimi.

Chiaramente la decisione di cosa vendere online è strettamente legata a quella sui tuoi obiettivi.

Quante risorse hai da dedicare a un e-commerce?

Questa domanda riguarda sia l’investimento economico iniziale (di progettazione ed esecuzione) sia quello di mantenimento (per manutenzione e aggiornamenti).

Quanta parte delle tue entrate può essere accantonata e reinvestita nella gestione della vendita online? Hai un budget da parte a cui puoi già attingere?

Poi pensa alle risorse immateriali. Quanto tempo della tua giornata/settimana puoi togliere al negozio fisico e alla tua vita per gestire la vendita online?

Nel rispondere a quest’ultima domanda ricorda che la vendita online comincia dalla fase pre-vendita (quindi rispondere a domande via Whatsapp, inviare foto, fornire spiegazioni, ecc) e finisce a volte anche mesi dopo l’acquisto, con l’assistenza post-vendita.

In mezzo ci sono packaging (la tua clientela vorrà che sia sostenibile e riciclabile o lussuoso e unico?), spedizioni, notifiche, e così via. Se la prospettiva di occupartene ti spaventa sappi che ci sono tante persone che gestiscono tutto “da sol*”. Ma resta il fatto che in questa fase devi quantificare l’impegno e decidere se puoi permettertelo e se vuoi fartene carico. O se puoi permetterti di delegare in parte.

Che tempi hai?

Quando vorresti essere online? Cerca di darti un orizzonte temporale realistico, soprattutto che tenga conto del lavoro per la produzione di contenuti (testi, foto) che poi andranno a popolare il tuo e-commerce.

Considera quali funzioni e aree del tuo e-commerce sarebbero prioritarie.

Le domande da fare i fornitori

Una volta risposto a tutte le domande qui sopra avrai chiaro se davvero un e-commerce è la soluzione indicata per te e se è compatibile con la tua situazione.

Non solo, se la risposta è SÌ avrai già un elenco chiaro di parametri da sottoporre a eventuali fornitori da intervistare. Diffida di chi ignorerà queste informazioni perché un sito “standard” che prescinde da quei dati è quasi del tutto inutile.

Diffida inoltre di chi non ti sottoporrà un lungo questionario prima di generare il preventivo. Un questionario dovrebbe includere informazioni di marketing (come appunto i tuoi obiettivi), idee sul “look and feel” che cerchi, esempi di siti/negozi di competitor che ti piacciono o no (e perché), i dettagli della tua immagine coordinata (logo, font, colori da usare, ecc), cosa ti distingue dalla concorrenza, e così via. Tutti particolari che incideranno sulla struttura e la creazione del sito.

Quando incontri potenziali fornitori poi chiedi sempre se hanno gli strumenti per impostare una strategia SEO per il tuo sito, in caso contrario trovati qualcuno che ne sia capace (io consiglio sempre Tatiana).

“e se spendo tutti questi soldi e poi il sito non vende?”

A oltre un anno dalla fine della pandemia ci sono ancora tantissimi negozi locali che potrebbero beneficiare in maniera sostanziale della vendita attraverso un sito Internet che non se ne sono dotati per diversi motivi.

C’è la mancanza di tempo, la mancanza di fondi, e infine il dubbio atroce di sprecare risorse inutilmente.

Qui porta pazienza ma devo fare una critica a tante web agency. Se il dubbio atroce è così comune è perché ognuno di noi ha sentito storie “dell’orrore” di collegh* che si sono rivolt* a web agency all’apparenza super professionali salvo poi trovarsi con un servizio inadatto. Molte agenzie infatti nel tempo si sono abituate a vendere siti come se fossero prodotti chiavi in mano, un po’ per mancanza di competenze, un po’ per volontà di industrializzare un sistema che di fatto ha ben poco dell’industriale, in pochi casi per malafede.

Lascia che te lo ripeta un’ultima volta. Un sito internet è uno strumento al servizio della tua strategia di marketing. Senza una strategia (che detta anche come usarlo) lo strumento è inutile.

Copertina di Michael Jasmund/Unsplash

Archiviato in:cose di strategia Contrassegnato con: ecommerce, negozi fisici

Convegni online, cosa non deve mancare

Febbraio 12, 2021 da Barbara

babepi | conferenze virtuali

Questo blog post è una riscrittura fedele di un mio post storico, applicato agli eventi online. Se non hai ancora letto l’originale, questo è un ottimo momento per recuperare, visto che cercherò per quanto possibile di evitare ripetizioni.

Come in quel caso, anche in questo post ho cercato di assembleare un vademecum di spunti pratici e di buon senso, da applicare da subito per organizzare convegni e grandi eventi online che si traducano in un’esperienza soddisfacente e fin piacevole per chi partecipa.

Anche questa volta, l’ordine con cui affronterò i diversi aspetti non è da considerarsi gerarchico, ma semplicemente riflette il percorso di accesso dei partecipanti, mescolando l’esperienza di pubblico e relatori.

Compenso per le/i relatrici/tori

Partiamo ancora da qui, perché da quel che vedo in giro il principale rischio connesso alla virtualizzazione degli eventi (come del lavoro) è proprio la svalorizzazione dei contenuti proposti.

A scanso di equivoci, rimane valido quanto già detto: preparare e presentare un intervento a qualsiasi evento è un lavoro. E come a ogni lavoro, anche a questo deve corrispondere una forma di retribuzione.

Non fraintendermi, è evidente che innumerevoli fattori concorrono a rendere sempre più difficile retribuire chi parla a eventi virtuali:

  • in condizioni di budget ristretti è più difficile trovare sponsor per gli eventi (se hai un’azienda, sono assolutamente certa che da marzo 2020 a oggi in almeno una tua riunione si è parlato di reindirizzare il budget eventi sul budget della pubblicità online);
  • l’offerta di contenuti online gratuita è talmente ampia ora che quasi tutti virtualizzano eventi e formazione, che il pubblico è sempre meno disposto a versare quote per il biglietto di un evento virtuale, quindi i fondi scarseggiano;
  • eppure servono ancora tanti soldi per organizzare bene un evento online (vedi alle voci logistica);
  • non ci sono più spese vive che chi parla deve sostenere, niente spese di viaggio, di vitto e alloggio da rimborsare, l’ultimo baluardo psicologico su cui fare leva con chi organizza eventi.

Quindi, che fare? Tanto per cominciare parliamone.

Non c’è nulla di peggio che cominciare a dare per scontato che chi interviene lo faccia gratis.

Chi organizza eventi non abbia paura ad ammettere di non avere budget, lo dica chiaramente, e poi pensi bene a cosa può offrire in cambio. Senza ripetermi nei dettagli, è ancora accettabile compensare in:

  • informazioni. I dati del pubblico, se acquisiti in modo legalmente corretto e completo, possono essere per chi parla una risorsa a cui attingere per le proprie iniziative di marketing;
  • visibilità reale. Quella dimostrata da un media kit che specifichi a quale pubblico si comunicherà l’evento, e da un piano di investimenti pubblicitari trasparente.

Basta farlo con cura e onestà e non dare per scontato che chiunque accetti le condizioni che proponi.

Logistica

Per un evento virtuale la logistica è esclusivamente digitale e si articola in due forme: le mail e gli strumenti di videoconferenza.

Per quello che riguarda le email punta all’efficienza:

  • invia solo quelle strettamente necessarie, senza abusare del mezzo per vendere servizi/prodotti collaterali;
  • scrivile bene, senza errori, e con un linguaggio adeguato al target dell’evento per accorciare da subito le distanze e far sentire chi partecipa già accolt*. La customer experience di chi parteciperà comincia molto prima dell’inizio del tuo evento, assicurati quindi che sia priva di intoppi e di dubbi;
  • verifica che ogni email riporti le informazioni salienti per partecipare all’evento in modo che saltino agli occhi, ricordati che non è detto che chi partecipa usi l’ultima mail che hai inviato per accedere;
  • non dimenticare le email da inviare a chi parlerà all’evento, che devono contenere tutte le informazioni fondamentali (di nuovo, scritte in modo chiarissimo) per poter partecipare alla videoconferenza, e essere inviate per tempo.

Gli strumenti di collegamento, in buona sostanza la piattaforma usata per la videoconferenza, dovrà essere ben organizzata e facile da usare per chiunque.

Purtroppo nessuno si aspetta completa accessibilità (già era difficile averla agli eventi in presenza) ma questo non deve giustificare puntare al ribasso. Se ne hai la possibilità investi in un servizio di sottotitoli e rendi disponibili i materiali fondamentali in formati diversi.

Al minimo fai che sia immediatamente chiaro come:

  • accendere e spegnere il microfono se è previsto il contributo del pubblico;
  • fare domande a chi parla;
  • scaricare eventuali materiali.

Soprattutto assicurati di investire in una piattaforma solida e ben costruita.

Non dimenticare le prove.

Affinché l’esperienza sia il più fluida possibile assicurati di fare provare lo strumento a tutte le persone che dovranno parlare/presentare, testando tutte le funzioni che dovranno usare almeno qualche giorno prima.

Prepara in anticipo tutti gli script necessari per poterli provare e per avere già a disposizione qualsiasi testo tu debba caricare durante l’evento.

Un consiglio: preparati anche le istruzioni per aiutare il pubblico a risolvere problemi di visualizzazione/ascolto. Sì, anche se le istruzioni sono fornite già anche dalla piattaforma.

Segnale forte

Sembra scontato, eppure con un palco remoto garantire un buon segnale è difficilmente sotto il controllo di chi organizza l’evento. Le opzioni sono solo due:

  1. raccogliere tutt* i/le relatori/relatrici in un’unica location di cui si può garantire la connettività (ovviamente con tutto quello che comporta in termini di norme di sicurezza anti-Covid e spese di viaggio ecc), alla fine è tranquillamente possibile nel rispetto delle restrizioni in vigore;
  2. organizzare test di connettività con ciascun* per verificare la potenza di banda.

Quale che sia la tua scelta vale la pena ricordare che il pubblico darà la colpa a te per qualsiasi malfunzionamento, anche se non ci puoi fare nulla 😅

Welcome pack agli iscritti

Ha ancora senso che ci sia? La risposta è un sonoro sì! Solo che per un evento virtuale la semplificazione della UX e la chiarezza si devono moltiplicare.

Per esempio, non solo il programma della giornata deve essere chiaro, completo e aggiornato e arrivare dritto nell’inbox di ogni partecipante, ma l’ideale sarebbe che ogni intervento o evento interno fosse inseribile separatamente nel calendario elettronico del/la partecipante.

Se è vero che siamo quasi tutt* a casa, non è detto che vogliamo passare l’intera durata dell’evento di fronte allo schermo del computer. Anzi, uno dei vantaggi degli eventi virtuali è proprio di poter ascoltare solo gli interventi che ci interessano, facendo stare altre attività nelle pause.

E se nel pacco di benvenuto tu avresti inserito gadget e/o buoni sconto? Virtualizza tutto quello che puoi ma cerca di riservare una piccola quota di budget per mandare qualcosa di fisico a chi ha comprato un biglietto. Come testimonia il Freelancecamp, basta ‘poco’ per fare la differenza.

Puntualità e pause

Anche se non ci sono treni da prendere, spazi da liberare o catering da ingaggiare è fondamentale che tu assicuri la puntualità degli interventi e il giusto ritmo tra impegno e relax.

Questo significa progettare un calendario in cui ogni 50 minuti circa ci sia uno stacco e in cui ci sia spazio per una pausa pranzo. Ricorda che è molto più difficile mantenere attiva l’attenzione di fronte allo schermo e senza il supporto della comunicazione paraverbale. In videoconferenza ci stanchiamo tutti di più e anche se chi parla si alterna non puoi aspettarti che dall’altra parte dello schermo il pubblico resti collegato per ore di fila.

Evita però l’impatto dello schermo nero, prepara in anticipo dei caroselli di immagini e un accompagnamento musicale (dei quali devi avere i diritti, ovviamente 😈) che tengano intrattenuto il pubblico anche quando il palco non è attivo.

Rappresentatività

Questa voce non era presente nel post originale, ma di fronte all’emergenza globale rispetto alla sparizione delle voci femminili e delle minoranze, ho capito che dovevo parlarne. La pandemia ha spazzato via dai luoghi di lavoro una quantità impressionante di donne, spinte dall’immortale patriarcato a farsi carico del lavoro di cura non più sostenuto dai servizi pubblici chiusi per lockdown.

E neanche gli eventi virtuali sembrano avere spazio per le donne, che magari fanno dirette sui propri profili Instagram ma non trovano spazio nei palinsesti ufficiali (forse Clubhouse cambierà questo stato di cose? Io lo spero, ma ci conto il giusto). Chiariamoci: questa cosa deve cambiare.

Se organizzi un evento devi porti il problema di offrire un palco rappresentativo non della tua bolla, ma delle persone competenti sul tema, in tutte le loro sfaccettature. Questo significa, a meno che il tema non sia “l’esperienza di avere un pene”, fare in modo di avere donne e uomini presenti in numeri simili.

Scrivi agli esperti che conosci per sollecitare nomi di colleghe che condividono il loro campo; se inviti un’azienda assicurati di esplicitare nell’invito che ti aspetti vengano proposti nomi femminili oltre che maschili. Se l’azienda non ha rappresentanza femminile a livello di management valuta se sostituirla con un’altra azienda ospite. Promuovi una convocazione inclusiva, con un linguaggio che espliciti il tuo impegno ad assemblare un palco che rifletta ALMENO una dignitosa alternanza di genere.

Siamo nel 2021, puoi avere un evento roboante con segnale perfetto, ma se sul palco vedo solo uomini hai fallito. A meno che ovviamente non stiamo parlando dell’esperienza di avere un pene.

Foto di copertina di Darth Liu via Unsplash.

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Come trovare tempo per marketing personale e auto-formazione

Gennaio 8, 2021 da Barbara

Ci siamo, il 2021 è arrivato e sono discretamente certa che quest’anno anche tu hai formulato qualche proposito/piano/progetto/obiettivo per i prossimi mesi. Di più, scommetto che tra ciò che vuoi fare nei prossimi dodici mesi c’è sfruttare meglio il tuo tempo per imparare qualcosa o tenerti aggiornat*. È normale, la cultura della formazione continua ormai è pervasiva nella nostra società, e con ottimi motivi, quindi non cercherò di farti cambiare idea.

Ma ti aiuterò a cercare il tempo da dedicare a queste attività, all’interno della tua organizzazione.

Il tema mi è caro, perché è un nodo ricorrente nei percorsi e nelle consulenze di Lifestyle Design. Le attività di marketing personale e di auto-formazione che ciascuna di noi vuole o sente la necessità di portare avanti sono tra le prime a venire trascurate. O peggio, a contaminare il tempo personale a discapito di salute e riposo.

Per questo mi sono detta che il primo post dell’anno doveva essere dedicato proprio a questo tema. Per aiutarti a completare la pianificazione che hai fatto con dei paletti che rendano i tuoi obiettivi per il 2021 davvero realistici. E che sia chiaro, il post ha senso sia se lavori da dipendente in un’azienda sia se sei un* liber* professionista.

Partiamo da quest’ultimo caso.

Organizzare attività di marketing e auto-formazione da freelancer/autonom*

La stragrande maggioranza di chi si mette in proprio, a volte anche con un team di collaboratori e collaboratrici alle proprie dipendenze, ancora tende a farlo con lo spirito “da tecnico”, come lo definiva Michael Gerber. Ovvero, pensando esclusivamente al contenuto specialistico del lavoro. Sono una copywriter? La mia giornata sarà spesa a lavorare scrivendo per le mie committenze. Ho un’agenzia di comunicazione? Le nostre settimane saranno assorbite da brief, riunioni, sessioni di lavoro e operatività.

Se va bene, nella fase progettuale, le piccole aziende si assicurano di avere qualcuno responsabile per la contabilità e lo svolgimento delle pratiche amministrative, idealmente delegando a una realtà esterna, e dedicano almeno un paio di settimane all’anno all’operatività della propria strategia di marketing. Se va bene.

Ma è davvero rarissimo che nel pianificare le attività dell’impresa si formalizzino tempi e modalità per la formazione. Più spesso si lascia a ciascun componente del team l’onere e la libertà di scegliere come tenersi aggiornat*, col consiglio non sempre velato di occuparsene “fuori dall’orario di lavoro”. D’altra parte è un arricchimento personale, no? (NO!)

La pratica di trascurare le attività di marketing e formazione nelle piccole attività o di scegliere di occuparsene nel tempo “non lavorativo” è ancora più comune tra freelancer. Leggere e studiare vengono meglio a mente libera dallo stress delle consegne e delle telefonate, quando si può farlo senza essere disturbat* perché non si è reperibili. E lo stesso vale per le attività di marketing personale… alla fine non portano fatturato, no? Quindi è meglio occuparsene senza intaccare le ore che possiamo fatturare ai/alle clienti.

Lascia che ti riveli un segreto non segreto della gestione aziendale: tutto quello che hai appena letto è sbagliato.

Formazione e marketing sono attività lavorative a tutti gli effetti

Le competenze acquisite e migliorate concorrono concretamente all’aumento di fatturato di qualsiasi impresa, e non c’è modo di procurarsi lavoro senza occuparsi consapevolmente di curarne la promozione e la presentazione. Insomma, non esiste attività professionale senza lo sviluppo delle competenze necessarie a svolgerla e senza la sua promozione.

Per questo qualsiasi attività imprenditoriale dovrebbe organizzare le risorse a disposizione (tempo, denaro, esseri umani) in modo da dare il giusto spazio a formazione e marketing. Idealmente, dal 20% al 30% del tempo-risorsa aziendale dovrebbe essere assorbito da queste due finalità.

In una piccola impresa questo significa prevedere una dotazione oraria per la formazione o per l’auto-formazione, offrendo al personale almeno un elenco di competenze e aree consigliate per l’aggiornamento ma idealmente anche un budget compensativo per corsi, libri, eventi di aggiornamento.

Significa anche coinvolgere qualsiasi dipendente in attività di marketing alla sua portata:

  • raccolta e/o creazione di contenuti per il sito, la newsletter e i canali social dell’azienda;
  • condivisione di notizie relative all’azienda sui propri canali professionali (blog e profilo LinkedIn);
  • partecipazione a eventi di networking a nome (e spese) dell’azienda, ecc.

Per chi è freelancer significa operare con consapevolezza e disciplina

Da un lato infatti chi lavora da sé è ancora più espost* al rischio di considerare ‘lavoro’ esclusivamente lo svolgimento tecnico degli incarichi per conto dei clienti. Aprire una partita IVA non richiede la redazione di un business plan (ma dovrebbe) né alcuna organizzazione gerarchica del lavoro. Alla fine sono da sol* e faccio tutto io, perché dovrei mettermi a elencare i miei ruoli?! Proprio per organizzare il lavoro senza perderti per strada elementi fondamentali come la formazione e il marketing!

Un esercizio del libro di Michael Gerber E-Myth a cui facevo riferimento più sù è stato una delle prime sveglie che mi hanno portato a interrogarmi sull’organizzazione del mio lavoro autonomo tanti anni fa. Gerber consiglia infatti di redigere un organigramma della propria attività, qualsiasi siano le sue dimensioni (trovi una versione semplificata dell’esercizio anche qui), e assicurarsi che ogni funzione sia coperta. Ogni funzione. Se ci sono da fare delle pulizie, anche quella. Quindi, per dire, se di lavoro sei un* stylist, lavare, riordinare, imballare e spedire prop usati per un servizio fotografico è parte del tuo lavoro e come tale deve avere un tempo e un valore definito.

Di questi tempi in cui quasi tutti passiamo ore sui social a parlare e (cercare di) dimostrare quanto siamo brav* e perché le persone dovrebbero scegliere noi, credo di non dover spendere altre parole a convincerti che il marketing è un’attività di cui devi occuparti nell’ambito della tua attività lavorativa.

Ma sospetto che per la formazione tu abbia bisogno di essere persuas*.

Perché le ore della settimana ti sembrano probabilmente già troppo poche per occuparti del lavoro per i/le clienti, tenere la contabilità e promuovere il tuo lavoro. Figurati se c’è spazio per leggere un libro, o tenerti al passo con tutte le newsletter di aggiornamento! Per non parlare dei corsi di formazione.

In realtà, per quanto difficile, si può fare. Ma ci vuole, appunto, consapevolezza del fatto che sia necessario e disciplina nel difendere il tempo per dedicare alla crescita personale. Senza dilungarmi, i miei tre consigli principali sono:

  1. usare un timer e dedicare piccole sacche di tempo alla formazione ogni giorno. Io per esempio leggo un libro di auto-formazione per 30 minuti. L’uso di un timer (di qualsiasi tipo, io uso di solito il cellulare) mi aiuta a concentrarmi fornendomi un obiettivo concreto senza paura di togliere eccessivo spazio al “lavoro vero”;
  2. segnare gli impegni di auto-formazione sull’agenda come se fossero appuntamenti. Quindi in un colore definito (come faccio con le riunioni, le call con clienti, ecc), con uno slot che ne definisce la durata, e soprattutto con la funzione ‘impegnata’ che impedisce a me stessa e altri di prendere altri impegni per quel momento;
  3. essere iper-razionale con le fonti. Niente iscrizione selvaggia a qualsiasi newsletter e lettura immediata quando arrivano (in particolare io uso questo metodo), stilare a inizio anno un elenco di libri da leggere e non farsi prendere dall’ansia del bestseller più recente (se non è più valido tra 6-12 mesi non valeva comunque la pena leggerlo), iscriversi solo a corsi per imparare competenze che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi di business per l’anno o il triennio in corso.

E chi è dipendente? Deve preoccuparsi di organizzare attività di formazione e marketing?

La risposta per me resta sì. E considero le mie argomentazioni abbastanza inoppugnabili, ma giudica tu.

Da un lato ogni dipendente può occuparsi come scrivevo prima di qualche forma di marketing, dall’altro dovrebbe essere responsabile del proprio marketing personale:

  • fare networking con colleghi per mantenere costruttiva la collaborazione, e con i riferimenti in altre industrie per promuovere opportunità di business;
  • condividere le proprie idee e informazioni importanti che ha letto con collegh* e management per avere un approccio proattivo all’operatività dell’azienda;
  • tenere aggiornato il curriculum e il proprio profilo LinkedIn

Non solo.

Tutti i contratti di lavoro nazionali prevedono un monte ore fisso e retribuito nella disponibilità dei dipendenti, da dedicare alla formazione.

La pratica è stata istituita anche per permettere ai datori di lavoro di organizzare una serie di momenti di formazione necessari allo svolgimento in sicurezza del lavoro.

Se spesso le aziende organizzano autonomamente i momenti di formazione, e al/la dipendente non resta che adattarsi a quanto richiesto o imposto, ci sono realtà in cui questo non avviene. L’onere di informarsi su quante ore sono a disposizione e organizzarsi un piano di formazione in quel caso è a carico del/la dipendente.

Se questa è la tua situazione, il mio consiglio è di fare così:

  1. rivolgiti alla persona a cui riporti direttamente con una selezione di corsi/contenuti già raccolta da te sulla base del lavoro che svolgi e del tuo ruolo;
  2. una volta che hai ricevuto conferma da questa persona che le competenze che vuoi acquisire sono compatibili con gli obiettivi dell’ufficio, porta il materiale all’ufficio del personale e richiedi le ore che ti spettano;
  3. se ti è permesso restare in azienda durante le ore dedicate alla formazione, chiedi la disponibilità di una sala riunione o di un’aula, altrimenti recati in una biblioteca pubblica. Meglio non andare a casa, dove potrebbero subentrare distrazioni.

Nel dubbio, se tu dovessi perdere motivazione a trovare spazio lavorativo per marketing e formazione, fai un test.

Chiediti: senza questa attività riuscirei ancora a fare il mio lavoro al massimo delle mie potenzialità e all’altezza di quanto viene pagato? Se la risposta è no, si tratta di un’attività lavorativa e come tale deve rientrare nell’orario di lavoro.

Copertina di Malvestida Magazine/Unsplash.

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Cose a cui dire “no” per fare spazio a “sì” che contano nel 2021

Dicembre 18, 2020 da Barbara

È già dicembre e io mi sento più come se fosse novesemprembre, l’infinita stagione del nostro scontento. Non ho fatto l’albero di Natale (il suo posto è ora occupato da una delle postazioni di lavoro da remoto che abbiamo allestito in aprile), non ho creato decorazioni, non ho impacchettato regali. Soprattutto, sono in ritardo col piano editoriale di questo blog, che avevo già adattato e riadattato per fare spazio a imprevisti ed evenienze.

Ma ho una fiducia cieca nel potere taumaturgico delle routine, quindi mi sono seduta alla scrivania, ho rubato un’ora al piano della giornata e mi sono imposta di scrivere il post pre-vacanze e di fine anno che avevo in programma per oggi.

In origine volevo raccontarti nel dettaglio cosa farò nel mio personale retreat di fine anno, il 28 e il 29 dicembre prossimo. Quando ruberò del tempo alla mia famiglia per chiudermi in una stanza a lavorare sui bilanci del 2020 e la programmazione del 2021. È un’abitudine preziosa e se vuoi consigli su come imitarmi c’è un post su C+B che ne parla.

Poi però mi sono guardata intorno sul web e ho sentito di avere qualcosa di più utile da condividere, ovvero la mia lista di “no” per il 2021.

La lista delle cose che non voglio più vedere nella mia vita è una delle parti che preferisco nei miei esercizi di fine anno per la definizione degli obiettivi, e anche uno degli strumenti più utili, nel tenermi in carreggiata nel corso dell’anno.

Al contrario di quello che puoi pensare non è una lista negativa.

Al contrario presuppone da parte mia uno sforzo attivo per eliminare certi sentimenti, comportamenti, cattive abitudini e così via dalla mia vita.

Nel tempo ho cominciato a infilarci dentro anche ingiustizie sociali. In piccolo, perché come ho avuto modo di dire in una diretta su Instagram lunedì scorso, a 18 anni ho smesso di fare attivismo politico. Ora mi occupo solo di piccoli cambiamenti che posso agire nella mia minuscola sfera di influenza, attraverso il rapporto uno a uno e la cura della relazione con le persone che ne fanno parte.

Da adolescente era una scelta di necessità nata dalla prima intuitiva consapevolezza che:

  1. non ho le energie emotive per sostenere una forma tradizionale di attivismo, o meglio, non sono disposta a pagare il prezzo che comporterebbe;
  2. non sono in grado di gestire i compromessi necessari per agire in politica, avendo ben chiara una visione di insieme e allo stesso tempo tutte le sfaccettature di una situazione.

Nel tempo è diventata una decisione programmatica che onora le mie due priorità di vita principali:

  1. coltivare il lusso di essere sé stesse, per me e per le persone con cui entro in contatto (o che entrano in contatto con me);
  2. dedicare il meglio di me prima di tutto alle persone che amo e che mi amano.

In questo quadro, le voci della mia lista “il prossimo anno dico ‘no’ a” hanno cominciato negli ultimi tre anni ad arricchirsi di attivismi in miniatura.

Ecco quindi le due cose a cui dirò no nel 2021 per agire un cambiamento sociale.

Le frasi “Migliora”, “Diventa migliore”, “Fare meglio”

Sto parecchio attenta a non pronunciarle già da un paio d’anni, ma nel 2021 voglio proprio correggere gli altri quando le dicono e fare presente che dietro il concetto di ‘meglio’ applicato alle persone c’è un’implicito giudizio di inadeguatezza. C’è l’idea che ciò che siamo non sia abbastanza e debba essere cambiato per migliorare.

Incoraggio e incorragerò tutti a dire invece “sii la migliore versione di te stessa/o”, “fai quanto più ti è possibile”. Con affetto e indulgenza per i nostri difetti e stanchezze, che sono assolutamente normali e che non fanno di noi delle persone ‘sbagliate’.

Con questo piccolo gesto spero di contribuire a indebolire la grande industria mondiale dell’insicurezza (come la chiamo io), che guadagna milioni dal farci sentire inadeguati per venderci “soluzioni definitive” che hanno il solo effetto di tenerci in perpetuo stato di bisogno e rassicurazione.

Giudicare le persone dalle loro azioni

Al contrario, nel 2021 voglio sempre di più giudicare le azioni delle persone, riconoscendo che non sempre definiscono le persone che le compiono. E che spesso ciascuno di noi sta facendo il meglio che può in quel momento, anche quando sbaglia.

È un insegnamento che mi porto dietro da quasi quarant’anni, da quando mio padre mi citò una frase dal libro “Un ingenuo e sentimentale amante”:

Un uomo si giudica da quello che cerca, non da quello che trova.

John Le Carré

La verità è che tutti facciamo errori, a volte imperdonabili, ma non per questo secondo me dovremmo essere cancellati dalla faccia del pianeta o ridotti alla somma degli errori che compiamo. La nostra identità risiede molto di più, io credo, nei nostri valori, nelle nostre aspirazioni e nei sentimenti. E su quelli mi riservo di continuare a esercitare giudizi severi. Perché non sono certo una persona esente da difetti e uno di questi è proprio che giudico, o comunque traggo conclusioni.

Ma con un approccio diverso, che non condona errori gravi, né esonera ciascuno di noi dalla responsabilità delle conseguenze, spero di limitare la propagazione della cosiddetta “cancel culture” e di dare alle persone l’incoraggiamento che serve a superare gli errori e ricordarsi dei propri ideali.

Dal punto di vista mio personale invece, la lista dei “no” da dire nel 2021 è ancora in costruzione, ma ci sono tre punti fissi che mi porto dietro da tre anni e che ho già confermato anche per il 2021.

Si tratta di azioni spesso involontarie, anzi proprio di tre meccanismi di adattamento con cui tendo a reagire ai miei errori (reali o percepiti) e ai momenti in cui mi sento più esposta e vulnerabile.

Nel tempo ho scoperto che lasciarmi andare a queste strategie istintive, invece che aiutarmi a superare momenti di difficoltà mi blocca e mi impedisce di crescere. Così ora mi sforzo di riconoscerle per tempo e fermarle sul nascere.

Vergognarmi di quello che dico o faccio

Sono sempre stata pesantemente consapevole degli sguardi delle persone su di me, anche quando nessuno in realtà mi nota (ovvero nella stragrande maggioranza dei casi). Quindi ho questa convinzione innata che qualsiasi minimo errore, passo falso, gaffe o goffaggine venga visto e possa essere usato contro di me per dimostrare che non sono sufficientemente intelligente, assertiva ecc.

Razionalmente so che non solo raramente la gente si accorge degli errori che faccio, ma che soprattutto gliene frega davvero poco. Quando esco dalla macchina e ho il cappotto infilato nella cintura di sicurezza che mi ritrascina dentro e quasi cado… non c’è nessun pubblico interessato al punto da pensare “che tonna”. Ma il mio primo istinto è guardarmi intorno furtiva e cercare di apparire naturale mentre mi risistemo.

È una perdita di tempo e un condizionamento fastidiosissimo che ora combatto. Riconoscendolo quando arriva e scartando immediatamente il pensiero. Se l’errore è un po’ più grande e reale ci vuole più tempo a smontare il meccanismo, ma ho notato che se provo a rispondere alle domande “qualcuno ne soffre/soffrirà?” e “posso riparare?”, riesco a capovolgere il mio approccio e sentirmi meglio. E dire “no” a una vergogna francamente inutile.

Confrontarmi con altri

Se sono in difficoltà e ‘incontro’ qualcuno (nella vita o sui social) mi viene spesso istintivo misurare il mio stato reale con l’immagine che intercetto dello stato di quella persona. Succede il 95% delle volte sui social network, ed è per questo che li frequento il meno possibile, compatibilmente col lavoro e tutti gli stimoli positivi che comunque mi forniscono.

Sui social gira da tempo immemore la citazione

Comparison is the thief of joy.

Theodore D. Roosevelt

E infatti immancabilmente confrontarmi con altri mi porta a:

  • sminuire tutti i miei traguardi (troppo miseri, nei campi ‘sbagliati’, arrivati tardi, ecc);
  • perdere la motivazione sui progetti a cui lavoro (c’è sicuramente qualcuno più capace di me);
  • pensare male degli altri (sicuramente l’hanno aiutat*, è tutta fuffa, è Instagram vs reality, ecc).

Insomma: energie negative, insicurezze e immobilismo. Tutto inutile e controproducente se già la situazione è difficile.

Dire a “no” al confronto significa prendermi invece il tempo per essere presente nel momento difficile e chiedermi “quali sono le cose importanti in questo momento?”. Avere per le mani questa lista, metterla in ordine di priorità, è un ottimo spunto per rimettermi in moto con proattività.

Evitare di affrontare temi e momenti difficili

Ebbene sì, come tutti anche io non amo sguazzare nelle cose complicate. Procrastino, evado, cerco di scappare, rimandare o proprio far finta che ciò che non voglio vedere… non esista del tutto. È deleterio e del tutto inutile perché le difficoltà rarissimamente si risolvono da sole.

Per fortuna, una delle prime cose che ho imparato in terapia è che spesso ciò che più ci spaventa è raramente così spiacevole come lo immaginiamo. Anzi, più evito di pensarci più nel retro della mente prende dimensioni e caratteristiche mostruose… ma quando poi lo affronto scopro che non era niente di ché. Quindi non solo ho perso tempo, ma mi sono anche esposta a stress inutile.

La mia psicologa mi ha insegnato a chiedermi “qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere se affrontassi questa situazione?”. La risposta è raramente così grave che non sia meglio occuparmi subito della situazione e mettermela alle spalle, così difendermi dall’evasione mi aiuta a concludere molto di più nella vita.

Ci hai fatto caso? Ogni “no” sulla mia lista è davvero un modo per sentirmi meglio, dedicare più tempo a ciò che amo, risparmiare energie e alleviare lo stress. Spero che ti sia d’ispirazione per la tua lista di “no” per il 2021.

E buon anno. Comunque vada 💙

Foto di copertina di Giulia May/Unsplash.

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Instapost del 20 novembre

Novembre 20, 2020 da Barbara

È arrivata l’agenda 2021, quest’anno ridisegnata in formato più piccolo perché ci andava così (a me e Emanuela Bertini).
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Vado molto fiera di questo strumento, perché è così ben strutturato da piegarsi a qualsiasi evenienza. La prova: nel 2020 l’ho usata più di quanto non abbia mai usato un’agenda 🤩⁣
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A riprova che anche in questo assurdo momento non bisogna aver paura di pianificare, anzi, piani fatti bene possono aiutarci a navigare il periodo 💙

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Definisci il tuo scopo e decidi cosa vuoi fare da grande

Ottobre 23, 2020 da Barbara

Fare piani per il futuro in un momento di incertezza globale è complesso, ma mai come in questo momento storico è fondamentale che ti interroghi sui tuoi obiettivi di lungo termine, per navigare gli imprevisti con la mano sicura sul timone della direzione in cui vuoi andare. Le grandi aziende lo chiamano ‘scopo’, un termine che fino a poco tempo fa sembrava applicabile solo alla sfera personale delle persone. 

Per me si traduce più facilmente in “quello che voglio fare da grande” e in questo post ti racconto come e perché è utile definirlo, a qualsiasi età.

Cosa ha “quello che voglio fare da grande” a che fare con lo scopo? Cerco di spiegartelo partendo dal senso che per me ha questa espressione.

Quando hai più di quarant’anni e parli di quello che “vuoi fare da grande” le reazioni delle persone sono di norma di due tipi: un sorriso, pensando che tu stia usando la frase con autoironia, oppure velato disprezzo, traendo conclusioni sulla tua maturità e sul tuo successo personale.

Nessuna di queste interpretazioni considera l’ipotesi che  “da grande” possa non essere un punto di arrivo, ma una potenzialità che si esaurisce davvero solo con la morte. Questa è esattamente la valenza che ha la frase per me.

A sostegno della mia interpretazione ci sono diversi argomenti:

  • i tempi in cui viviamo, soggetti a un’accelerazione pazzesca dal secondo dopoguerra ad oggi, vedono le condizioni di vita in continua evoluzione e richiedono aggiustamenti e adattamenti altrettanto continui;
  • le mutate aspettative di vita portano ciascun* di noi a immaginare un’esistenza almeno parzialmente attiva anche oltre i sessanta/settantant’anni, dandoci più tempo per portare a maturazione un percorso e spazio per esplorarne altri;
  • la crisi del sistema pensionistico difficilmente ci permetterà (anche se lo volessimo) di ritirarci a sessanta/stettant’anni 😉

In sostanza, le generazioni dalla X in poi difficilmente possono permettersi di scegliere una carriera a venti/trent’anni e tenersela fino al momento della pensione (di Stato o auto-finanziata che sia). 

Quello che capita più spesso è che nel corso della tua vita lavorativa tu passi da un settore all’altro, da una professione all’altra, continuando a formarti, aggiornarti, guardarti intorno alla ricerca di una soluzione che meglio ti permetta di sentirti realizzat* e di guadagnarti da vivere allo stesso tempo.

Insomma, se sei nat* dopo la seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso, quello che vuoi “fare da grande” non è un mestiere finito, ma al massimo una tendenza.

In un contesto di dinamismo come questo, il rischio più grande non è scegliere la professione sbagliata, ma spostarti quasi a caso da una professione all’altra rispondendo esclusivamente agli input esterni.

Così facendo le tue decisioni sarebbero guidate non dalla tua identità, dai tuoi valori, dalle tue aspirazioni, ma esclusivamente dagli eventi. Quindi da un insieme di fattori quasi completamente scollegati tra loro, privi di una logica di unità. Soprattutto che non contribuiscono al raggiungimento dei tuoi obiettivi.

È per questo che vale sempre la pena interrogarti sullo scopo che vuoi raggiungere con la tua esperienza lavorativa. 

Sia a titolo personale, ma non solo.

Mi spiego, è evidente che il tuo scopo abbia a che fare con la tua sfera personale, la tua identità, i tuoi valori e le tue aspirazioni come dicevo qui sopra. A questo poi si aggiunge l’impatto che vorresti che queste decisioni avessero sulla tua vita, quanto ti renderanno felice o realizzat* e così via.

Ma la riflessione è più ampia e se lavori da dipendente riguarda anche l’impatto che vuoi lasciare sull’organizzazione (o le organizzazioni) con cui lavori, sui tuoi colleghi e le tue colleghe, su fornitori e clienti. Se sei un* liber* professionista o titolare di un’azienda, riguarderà poi le tue scelte di business e l’impatto della tua attività su chi collabora con te e sulle persone che aiuti, oltre che sull’ecosistema di cui fa parte la tua impresa.

Insomma, decidere quel che vuoi “fare da grande” comporta rispondere a una serie di domande che possono apparire enormi.

In realtà, se le affronti con apertura e serenità il processo si rivela molto più semplice del previsto, per questo ho pensato di dedicare all’argomento un post.

Già qualche settimana fa ho cercato di convincerti che si potesse pianificare il futuro anche in un momento di incertezza, anzi fosse ancora più importante farlo proprio in questi casi. Qui ti invito a fare un esercizio di progettazione a lungo termine per il tuo lavoro, a partire da un elenco di domande, da affrontare nell’ordine in cui te le propongo:

Come ti immagini il punto di arrivo?

Quando faccio questa domanda alle persone con cui lavoro la formulo in modo se vuoi un po’ macabro: se guarderai indietro dal tuo letto di morte, cosa vorrai aver realizzato? Trovo che aiuti tutt* a visualizzare in modo immediato il futuro che vorrebbero. Provaci anche tu: chiudi gli occhi e visualizza il tuo punto di arrivo, con te al centro.

Quali saranno le conseguenze sulle persone che ami, sulle persone con cui lavori, sulla tua clientela?

Lascia perdere l’impatto che la tua scelta avrà su di te, ci hai già pensato implicitamente rispondendo alla prima domanda. Ora è il momento di concentrarti sugli altri, partendo dalle persone di cui ti importa in più.

Che impatto avrà la tua realtà del futuro sull’ambiente in cui vivi e sulla società di cui fai parte?

Immagina il cambiamento che potrai provocare intorno a te, nel tuo piccolo. Insieme alla risposta alla domanda precedente, questa descrive la tua legacy, l’eredità che lascerai al mondo.

Ora lavora a ritroso dalla tua visione del futuro remoto: quali sono le azioni che devi fare, dalle più lontane alle più vicine, che ti permetteranno di costruire quel futuro?

Non pensare al dettaglio, ragiona piuttosto per fasi di ampio respiro. Anche senza mappare ogni singola azione dei prossimi quarant’anni puoi comunque identificare dei traguardi intermedi verso cui puntare nel medio-breve termine.

Non dimenticare le influenze esterne, quali fattori incideranno maggiormente sulla riuscita della tua costruzione?

Pensa agli ostacoli che dovrai superare, alle tue difficoltà di partenza, a eventuali imprevisti che potrebbero interporsi tra te e il tuo obiettivo finale.

Ora hai la tua risposta, ed è molto più semplice di quanto non sembrasse all’inizio.

Il tuo scopo è ottenere le risposte alle prime tre domande, mettendo in pratica le azioni ricavate rispondendo alla quarta domanda e tenendo sotto controllo le influenze esterne che hai scoperto con la quinda domanda.

Quello che “farai da grande” prenderà nel tempo diverse forme, ma sarà quel ruolo o quella professione che ti permetterà di portare avanti le azioni necessarie a realizzare il tuo scopo.

Visto? Così è molto più semplice, no? Rende anche più sopportabile tutte le battute di arresto, e le pause che potrai o dovrai prenderti lungo il cammino, perché ti insegna a vederle come delle tappe di un percorso che controlli invece che come delle spinte fuori strada.

È un processo di auto-analisi che puoi ripetere quante volte vuoi.

Per me per esempio, è parte integrante del mio percorso di definizione degli obiettivi, che ripeto ogni anno, rivalutando le mie scelte sulla base delle condizioni aggiornate in cui mi trovo.

Ma ti confesso che più tempo passa e più anche le revisioni tendono a iscriversi nel solco della tendenza che ho tracciato anni fa. Ormai sono arrivata al punto che guardando indietro, pur avendo ricoperto diversi ruoli, riesco a vedere la traccia del mio scopo già nella mia adolescenza.

Se non hai mai dedicato tempo a questo processo, ti consiglio di farlo adesso. Non credo davvero ci sia momento migliore 😊

Immagine di copertina di Nick Fewings/Unsplash.

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