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babepi

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cose di organizzazione

Il momento migliore per fare planning

Dicembre 21, 2018 da Barbara

diario di babepi | fare planning

“Ma tu che organizzi sempre tutto, quando pensi sia meglio fare il planning professionale?” È una domanda che mi sono sentita fare spesso. In qualche occasione ho dato anche rapide risposte, di quelle semplici e poco complicate che ci piacciono tanto, ma che non sono mai la risposta veramente giusta. Perché la realtà è raramente semplice e spesso parecchio incasinata. Siccome dicembre è per me effettivamente un mese di planning ho deciso di scrivere un post per dare quella risposta che non ho mai tempo di dare e la gente di sentirsi dire.

La verità è che il momento migliore per fare planning non esiste. Potrebbe essere uno qualsiasi e sicuramente varia a seconda della persona, di quello che fa, e del momento della vita in cui si strova.

Per essere maggiormente utile e chiara ho deciso di delineare alcuni scenari.

Pianificazione da calendario italiano di una persona con figli

Quando si hanno bambini in età scolare (cioè fino ai 18 anni circa, di fatto) ci sono di solito tre momenti in cui è conveniente fare bilanci e in cui si ha più possibilità di trovare il tempo e la tranquillità necessari per fare programmi a lungo termine, e questi tre momenti coincidono con le ferie scolastiche: Pasqua, vacanze estive, vacanze Natalizie.

Coincidentalmente trovo che siano tre momenti che si prestino discretamente bene anche al calendario fiscale italiano:

  • a dicembre si chiude la contabilità dell’anno ed è possibile fare bilanci e decidere correzioni e cambi di rotta per l’anno successivo. È il momento ideale per fissare obiettivi di vendita e pietre miliari dell’anno successivo. Il planning di dicembre è di solito ricco di riflessioni, che sono spesso più accurate del solito perché beneficiano di 12 mesi pieni di dati che si prestano a rappresentare un anno tipo di attività. È il momento giusto per sognare in grande in termini di pianificazione e di obiettivi a lungo termine. Anche perché di solito tutto si ferma intorno a noi (professionalmente parlando) e abbiamo modo di passare tempo con chi amiamo e chi ci ama veramente, un ottimo promemoria delle priorità sostanziali;
  • a marzo/aprile viene naturale mettere mano ai macro-obiettivi ambiziosi dell’anno e rimetterli in ordine sulla base dei feedback ottenuti nel primo trimestre. Io per esempio considero aprile un mese di pausa dalle attività giornaliere/settimanali legate ai miei macro-obiettivi, sospendo le mie sequenze di abitudini per dare spazio a verifiche e un po’ di sano “go with the flow” che mi permette spesso di capire quanto le abitudini si siano radicate, siano ancora una lotta o semplicemente non siano davvero adatte a me;
  • ad agosto, di nuovo complice la sospensione lavorativa, funziona benissimo fare un pre-bilancio dell’anno per intervenire correttivamente sugli obiettivi di vendita. Non solo, agosto per me è anche l’occasione per una specie di pre-planning dell’anno successivo, con gli ultimi 3-4 mesi dell’anno dedicati a testare le potenzialità di eventuali cambi di rotta o a lanciare attività specifiche sulla base di quanto mi sono goduta i primi due terzi dell’anno.

Va da sé che se si opera nel commercio, per esempio, o nell’insegnamento, questa calendarizzazione non regge altrettanto bene e va senz’altro adattata ai ritmi diversi. Ma lì si torna a monte: come tutte le cose importanti, il momento per fare planning dipende.

La pianificazione situazionale

Al di là dei mesi di calendario, i momenti migliori per fare planning secondo me sono anche quelli in cui ne sorge l’esigenza per contingenza.

  • quando succede qualcosa di drammatico nella tua vita, in positivo o in negativo, è demenziale pensare di poter proseguire come se nulla fosse con i piani progettati in condizioni drasticamente diverse. Più ancora che demenziale è pericoloso e rischia di farti trovare impreparata alle conseguenze di ciò che è successo. Per questo quando si verifica un evento che stravolge i propri ritmi bisognerebbe fermarsi sempre e rivalutare qualsiasi piano si è fatto, partendo da quelli a breve-medio termine. Il distacco forzato che questa pianificazione richiede è anche un ottimo modo per affrontare il tutto senza farsi prendere eccessivamente da emotività e sconforto;
  • quando il nostro corpo ci lancia segnali di allerta, fisici o psicologici, vale sempre la pena ascoltarsi e fermarsi a rivalutare una pianificazione che magari è stata fatta sulla base di condizioni ideali, ma che così com’è non è effettivamente sostenibile;
  • quando si inizia un nuovo ciclo è utile inaugurare una nuova pianificazione per poter affrontare questo ciclo con obiettivi adeguati;
  • ogni volta che si ha tempo per un reset anche minimo è utile rimettere mano a qualsiasi planning che si è impostato per verificare se e come funziona.

I malintesi della pianificazione

Quale che sia il momento in cui si decide di mettere mano al planning ci sono alcuni malintesi diffusi a cui si dovrebbe cercare di sfuggire:

  1. “le pianificazioni impostate vanno seguite alla lettera” – FALSO! Al contrario un buon planning, a qualsiasi livello, è più uno schema di riferimento, una mappa che permette di mettere in ordine di priorità le attività che dobbiamo o vogliamo compiere. È anche un ottimo metodo per automatizzare tutte le attività indispensabili e ripetitive (amministrative o tecniche) che tendiamo a dare per scontate, e che quindi è facile trascurare o dimenticare di fronte agli imprevisti;
  2. “pianifico tutto per evitare imprevisti” – FALSISSIMO! Gli imprevisti non sono (salvo rari casi) evitabili proprio perché non sono prevedibili. Gli imprevisti sono per definizione ineludibili, avvengono, che lo si voglia o no. Una pianificazione fatta bene ha l’obiettivo di farti trovare pronta quando gli imprevisti arrivano, perché ti ha permesso di svolgere le attività fondamentali e tenere in ordine la tua attività, liberandoti tempo per affrontare gli imprevisti senza paura di perdere di vista il resto;
  3. “il planning è uno strumento di lavoro, nella vita non ne ho bisogno” – Perché? Il tuo lavoro di cosa fa parte? Della vita di qualcun altro?! Pensare che solo le attività strettamente professionali abbiano bisogno di essere organizzate è come minimo ingenuo. Nessuno ti obbliga ad avere un piano quinquennale per tutta la famiglia che descriva come e dove vivrete tra x anni, ma nel momento stesso in cui imposti una pianificazione di attività ed eventi professionali dovresti tenere sotto mano anche una pianificazione personale. Per chi ha esseri umani con cui convivere o che dipendono da sé questo concetto è di solito ovvio. Ma anche se si vive soli, non si ha una relazione stabile né progetti di “mettere su famiglia” (come orrendamente dicono le nonne), i piani che si mettono nero su bianco per il lavoro incidono sulla propria esistenza. Se non ti sei chiesta in anticipo quanto tempo libero vuoi nell’anno, cosa è importante per te, cosa vuoi fare della tua vita personale, come pensi di poter imbastire un piano lavorativo che si fonda sulle energie che ci puoi investire e sulla tua capacità di concentrarti?

Io faccio così

Lead by example (letteralmente “guida con il tuo esempio”) è una di quelle cose che non mi riesce per nulla facile fare. Da eccellente teorica e ricercatrice, sono più del genere “fai come dico non come faccio”, eppure la pianificazione è ancora un’attività che non solo pratico attivamente, ma che mi aiuta anche tantissimo. Negli anni ho oliato i meccanismi, ancora faccio ricerche su nuovi strumenti/sistemi almeno una volta all’anno, ma nel complesso ho creato un sistema che per me funziona perché non solo è praticabile, ma produce piani che trovo semplice seguire.

Io, dunque, faccio così:

  1. parto dai miei obiettivi complessivi, quelli che investono ogni sfera della mia esistenza, dalla salute agli affetti, dal tempo libero al lavoro. Affrontare così la pianificazione mi permette di mettere tutto in prospettiva e assicurarmi che io non prenda decisioni dettate dalla bolla o dal contesto, ma fondate su priorità profonde e personali;
  2. il lavoro preparatorio che faccio sugli obiettivi è fondato sul processo ideato da Lara Casey a completamento dei suoi Powersheets. Come ogni anno è da pochi giorni partita la sua serie di post sull’argomento e se non sapete da che parte cominciare vi consiglio di seguirla perché è utile a prescindere dallo strumento fisico che poi usate. In effetti basta avere carta e penna. Io personalmente non lo seguo alla lettera, ho imparato a prendere le parti che preferisco e sicomme la fede religiosa non è un elemento guida del mio processo mi sono ritagliata una versione laica che funziona al meglio per me. Quest’anno l’ho stampata in un fascicolo che vi mostro nei prossimi giorni nelle Storie di Instagram. Non uso più i Powersheets dopo averli comprati per anni e nonostante siano anche graficamente un prodotto spettacolare, semplicemente perché ho preferito integrare molti degli strumenti (in particolare la Tending List) direttamente nell’agenda che mi disegno da due anni;
  3. una volta identificati i macro-obiettivi dell’anno che verrà (di solito sono dai 5 ai 9) li divido in micro-attività, alcune una tantum mensili, altre regolari settimanali, altre ancora giornaliere, che riguardano le abitudini da costruire per concorrere al raggiungimento degli obiettivi o piccoli task non ripetitivi che costruiscono i macro-obiettivi. Fatto il brainstorming delle micro-attività le metto in ordine di priorità e/o di cronologia procedurale in modo che siano pronte ad essere inserite in agenda;
  4. è in questa fase che esamino con più attenzione gli obiettivi che fanno parte della sfera prettamente professionale e li trasformo in un pianificazione strategica, con obiettivi di fatturato, prodotti/servizi da sviluppare, strategie di lancio e di marketing. Di solito per questa parte uso uno strumento di planning professionale americano, tra diversi che negli anni ho testato. Vario spesso, ma in tutta onestà sono tutti abbastanza simili;
  5. di solito alla fine del mese precedente l’inizio dell’anno (e poi sempre alla fine di ogni mese) inserisco in agenda le attività ottenute dal lavoro su tutti gli obiettivi (personali e professionali). È un’occasione in cui compilare anche una pagina di bilancio mensile che ho disegnato per la mia agenda, in modo da verificare se le attività settimanali/mensili/giornaliere da inserire per il mese successivo sono effettivamente quelle che avevo indicativamente previsto. Nell’anno identifico sempre anche tre mesi (aprile, agosto e dicembre) di refresh in cui non inserisco attività programmate se non alcuni momenti di: revisione obiettivi, decluttering e aggiustamenti alla pianificazione professionale;
  6. questo planning complessivo infine si innesta sul mio schema della settimana ideale che visualizzo con una bacheca Trello (che trovate qui, se volete copiare. Ho tolto le cose più specifiche giusto per renderla più utile). Non è mica che io lo segua alla perfezione, eh. Ma ho programmato l’apertura della desktop app Trello al login su questa finestra e la tengo sullo sfondo qualsiasi cosa stia facendo nell’arco della giornata. È un ottimo modo per rimanere *abbastanza* in riga.

Infine, un ultimo consiglio. La pianificazione per ovvi motivi è un processo molto personale, ma se lavorate insieme a qualcuno, che sia un team o un/a partner occasionale, vale la pena prevedere anche una fase di planning comune. Quest’anno per esempio io ho dedicato due giorni di dicembre a una specie di planning retreat con l’amica/collega con cui condivido quasi il 70% del lavoro. Abbiamo compilato insieme ciascuna il proprio planning e stabilito obiettivi strategici comuni che si integrino con le considerazioni personali di ciascuna, in modo che il lavoro che faremo insieme sia organico e compatibile rispetto ai nostri obiettivi personali.

E questo è tutto dal 2018. Ci rivediamo qui l’anno prossimo. Non vi faccio gli auguri, ma fate tanto casino nel frattempo, mi raccomando!

Immagine di copertina di Tirza van Dijk/Unsplash.

Filed Under: cose di organizzazione Tagged With: agenda, obiettivi, planning

Motivazione senza confronto

Novembre 23, 2018 da Barbara

diario di babepi | motivazione

Questo post è dedicato a tutti. Perché in un momento o l’altro nella vita di chiunque, più spesso tutti i giorni, capita di avere bisogno di trovare stimoli di motivazione non solo dall’interno, ma anche dall’esterno. No man is an island entire of itself et al. Nella mia esperienza il rischio di trasformare questa ricerca di motivazione in una camminata sui carboni ardenti del confronto è breve. Per questo ho messo insieme un piccolo saggio su come fare a trovare in giro gli stimoli giusti per portare a termine qualsiasi cosa senza farsi massacrare dal senso di inadeguatezza.

È per tutti, ma soprattutto per me.

Sono una persona caratterizzata da un’abbondanza di idee e da una scarsità di progetti portati a termine, in proporzione. Ho aggiunto “in proporzione” perché a guardare indietro con onestà devo ammettere di avere effettivamente realizzato molto. È che, rispetto a quanto avrei voluto o immaginato di portare a termine, questo molto risulta ancora poco.

Le cause di questa disparità di peso tra vocazione e realtà sono tante.

Cercando di essere sincera con me stessa le ho elencate qui:

  1. ho una piccola dipendenza da adrenalina, quindi tendo ad apprezzare di più la ‘botta’ ormonale che si accompagna alle illuminazioni improvvise, alle intuizioni, di quanto non apprezzi il prolungato stato di down che si accompagna al duro lavoro di fare a pezzi un’idea nella fase esecutiva del progetto;
  2. soffro di insicurezze varie, dalla sindrome dell’impostore all’ansia da prestazione, da un’impercriticismo più rivolto verso di me che all’esterno alla semplice sensazione di non essere abbastanza brava. Anche per questo per me le fasi esecutive sono una rincorsa di modifiche, aggiustamenti, verifiche e dubbi che fanno perdere slancio anche al progetto più solido;
  3. sono pigra, non ha senso girarci intorno, e tendenzialmente edonista (da qui si torna al punto 1).

Per controbattere la mia tendenza a partorire idee sterili ho adottato questa tecnica:

  • prima di tutto ne regalo a chi credo ne abbia bisogno e gli strumenti per realizzarli. Le regalo per due motivi: prima di tutto non ho il tempo di dedicarmi alla vendita di tutte le idee che mi vengono, poi non ho il tempo di occuparmi di fare da project manager di tutte le idee che mi vengono. Potrei tenermele a futura utilità? Dipende. Alcune magari ha senso, tutte costituirebbero solo clutter mentale e lavorativa;
  • ogni idea che mi viene va su una bacheca Trello che mi fa da incubatore, in cui ho creato uno schema di lista che mi incoraggia a declinare già l’idea in azioni concrete;
  • mi sono messa a studiare il meccanismo di motivazione, per cercare di capire come fare ad alimentarla.

Sul tema della motivazione, in un’epoca in cui tutti hanno almeno un poster o una cartolina motivazionale a portata di mano, ho trovato un bellissimo post dal piglio scientifico che preferisco: Motivation: The Scientific Guide on How to Get and Stay Motivated.

Di questo articolo che vi consiglio di leggere, rubo due concetti:

  1. la definizione di motivazione come non solo l’insieme delle forze mentali che ci spingono ad agire ma anche come quel momento in cui la fatica di fare qualcosa (nel mio caso mettere in pratica un’idea) diventa più facile da affrontare della fatica di non fare niente;
  2. l’idea che la motivazione più forte scaturisca dall’azione diretta piuttosto che dalle riflessioni che facciamo prima di cominciare; ne parlerò di più qui sotto.

Cos’è la motivazione

Lunedì scorso è uscito un mio articolo sul cambiamento su C+B, in cui ho definito la motivazione come il “profondo desiderio [per] una conseguenza positiva e durevole che il cambiamento […] porterà nella tua vita”. Non è stata una definizione improvvisata, ci ho lavorato di fino e di sinonimi per mezz’ora perché emergesse l’importanza di trovare stimoli da dentro invece che da fuori per agire un’evoluzione di sé. Lo stesso discorso però credo che valga anche per la motivazione necessaria per portare a termine un progetto o realizzare un’idea creativa. È infatti un profondo desiderio di vedere il risultato finale che ci sostiene nel duro lavoro.

Non a caso per molti è utile ricorrere alla visualizzazione di questo risultato per gestire i cali di motivazione lungo il percorso. Gli atleti si immaginano mentre solcano il traguardo, i manager visualizzano il momento in cui relazioneranno il fatturato al consiglio d’amministrazione, quando organizzavo matrimoni nella mia testa viaggiava sempre il film della giornata. La visualizzazione è senz’altro un ottimo strumento per sostenere la motivazione e ha spesso il vantaggio aggiunto di farci vedere in anticipo potenziali falle nel progetto o situazioni in cui potrebbero sorgere imprevisti.

Ma per moltissime persone, anche creative, è difficile visualizzare concretamente un risultato senza il supporto di immagini esterne. Ed è qui che l’occhio della motivazione si rivolge all’esterno in cerca di stimoli aggiunti, e si apre il rischio di scivolare nel confronto.

Il confronto è una merda

Perdonate l’interpretazione volgare della citazione di Roosevelt sul confronto come fonte di infelicità. La realtà è che il meccanismo di cercare in altri un elemento di sprone per aiutarci a uscire da un’impasse (questo è, in fin dei conti, la ricerca di stimoli esterni) ci pone da subito in una situazione di inferiorità e insicurezza. È come se il nostro subconscio dicesse: “ciò che sei, ciò che fai, quello che desideri, in questo momento non è abbastanza; guardati intorno, cerca qualcuno che sta riuscendo dove fallisci, guarda come ci riesce e prova a fare lo stesso”.

Il confronto è nella maggior parte dei casi una dichiarazione di rinuncia del valore di sé e uno strumento di conformismo. Fatto online poi, è un momento in cui di fatto rinneghiamo la nostra unicità per cercare sicurezza nel branco, nella speranza che assomigliare alla manifestazione esterna di ciò che percepiamo come successo ci permetta di raggiungere quel successo.

Solo in rarissimi casi è possibile avvicinarsi al confronto da una posizione di parità, forti della sicurezza del proprio valore e genuinamente in cerca semplicemente di un confronto tra pari, del tipo “ti racconto come faccio io e tu mi racconti come fai tu, insieme scopriamo come possiamo anche imparare l’una dall’altra per arricchire il nostro bagaglio di esperienza”. E questi rarissimi casi possono solo avvenire di persona e con persone che si conoscono bene e con le quali c’è rispetto reciproco.

Siccome però, nella quotidianità, è più facile e comodo affidarsi alla ricerca di stimoli online o guardando agli sconosciuti, mi sono costruita una strategia per approfittare delle informazioni disponibili ovunque senza rischiare di scivolare nel confronto.

Cinque avvertenze per affrontare la ricerca di motivazione senza sfociare nel confronto

La chiave principale di questa strategia per me è sempre difendere la propria identità, per questo gran parte delle avvertenze che adotto personalmente tendono a mettere distanza tra me e le mie motivazioni profonde e quelle degli altri.

Rimanere sulla superficie sensoriale

Foto, illustrazioni artistiche, bozzetti, musica e video ci toccano spesso a un livello sensoriale che è allo stesso tempo intimo e irrazionale. Hanno la capacità di scatenare idee e stati d’animo senza generare ragionamenti complessi che potrebbero portarsi dietro la mente analitica (e con lei dubbi, insicurezze, paure). Per questo la prima fase della mia ricerca di motivazione esterna quando sono in fase di stallo su un progetto è cercare stimoli sensoriali spesso da produzioni artistiche.

Guardare alle cose e non alle persone

Se lo stimolo sensoriale non è sufficiente, può essere utile a volte entrare più nel dettaglio e andare a vedere cosa/come fanno altri non tanto a risolvere il problema che ho incontrato ma proprio a sviluppare progetti simili. La mia avvertenza in questo caso è di scorrere link e profili social (ma anche giornali e vetrine) senza cercare di scoprire chi c’è dietro, ma spersonalizzando il prodotto del lavoro, cercando di evitare di scoprire età, stile di vita, passioni personali dell’autore.

È un meccanismo non semplice e alcuni lo ritengono sterile. Che senso ha guardare alla superficie delle azioni se non ne conosci la motivazione? Per me ha senso se sono forte dei meccanismi del mio progetto e se ho la capacità di riconoscere rispondenze tra le azioni che vedo e il mio progetto. Insomma, non “copio” la motivazione, ma stimolo la mia immaginazione a trovare azioni simili a quelle che vedo sulla base delle mie motivazioni intrinseche.

Imparare a riconoscere le emozioni negative, isolarle e netrualizzarle

Ovviamente in pratica è quasi impossibile scindere azioni e persone, soprattutto quando la ricerca avviene online, sui social network. In quel caso cerco di mantenere alta l’allerta sulle emozioni negative. Se osservare i processi di una persona reale online mi blocca invece di spronarmi, mi fa arrabbiare invece che darmi la gioia di procedere, mi provoca frustrazione rispetto alla mia vita… cerco di fare un passo indietro.

Questo spesso significa smettere di guardare del tutto le attività di una persona, ma anche cercare aiuto esterno per trovare rinforzo positivo e dedicarmi un momento di indulgenza e positività (andare a guardare i risultati di un mio progetto concluso ben fatto o leggere un messaggio di complimenti aiutano sempre).

Cercare fuori contesto

Se il momento è particolarmente critico trovo che valga la pena non rischiare neppure di trovarsi di fronte persone che ci provocano emozioni negative, per questo spesso svolgo le mie ricerche di stimoli e motivazione in situazioni fuori dal contesto in cui vivo e lavoro, e persino del progetto stesso che sto sviluppando.

Passare subito all’azione

Infine, nel mio viaggio alla ricerca di motivazione non vado mai sola, ho sempre con me Evernote Clipper e Trello, per salvarmi le idee che scaturiscono dagli stimoli che trovo in giro e trasformarle subito in azioni concrete inserite nella lista Trello del progetto, con scadenza e dettagli di strumenti e risultati. Concordo pienamente con James Clear che lo stimolo più forte per proseguire in un progetto e completarlo venga proprio dai momenti di azione piuttosto che da quelli di riflessione.

E questo è quanto. Spero che questa guida sia utile a quante più persone possibili e porti alla conclusione di tanti entusiasmanti nuovi progetti!

Foto di copertina di Ambitious Creative Co. – Rick Barrett/Unsplash.

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