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cose di organizzazione

Sopravvivere a settembre con organizzazione e consapevolezza

Settembre 20, 2021 da Barbara

Come ho scritto l’altro giorno su LinkedIn, “Settembre in Italia è quel mese in cui succede tutto e tuttз si aspettano un pezzetino delle tue giornate”. La situazione si ripete ogni anno ma ti assicuro che è possibile sopravvivere a settembre senza perdere opportunità di lavoro o rinunciare al tempo libero.

Chiaramente, siccome sono io che scrivo, la ricetta per riuscirci è una serena consapevolezza dei propri limiti e delle proprie priorità e un’organizzazione rigorosa per difendere le seconde entro i primi.

Per esempio, questo post era previsto nel mio piano editoriale per il 27 agosto. Quando mi sono resa conto di quanti aggiustamenti richiedeva il rientro l’ho messo in pausa e riprogrammato per fare spazio ad attività più importanti.

Ecco la prima lezione sull’organizzazione richiesta da settembre. Non ha senso fare piani troppo rigidi perché questo mese genera un vortice di entropia che trascende i limiti di calendario!

Ci sono diversi motivi per cui succede:

  • in tutta Italia agosto è considerato un mese di vacanze. La conseguenza è che a settembre tuttз arrivano coi sensi di colpa e di urgenza per essersi presз una pausa, e con l’arroganza di trasferire quei sensi di colpa su di te. Sicuramente anche tu non hai fatto niente per un mese quindi adesso devi correre. Ora, subito, per loro. Insomma, settembre diventa 30 giorni in cui fare rientrare il lavoro di 61;
  • sul mese poi aleggia un caratteristico mood dolce-amaro. Un misto di ansia da prestazione per i buoni propositi (andare in palestra, vedere più mostre ecc) e felicità al pensiero di rivedere persone che magari senti di aver trascurato nel precedente anno ‘scolastico’. Col risultato che tendi a tramutare il meme ‘ne riparliamo a settembre’ in un’agenda di impegni sociali estenuante e francamente impraticabile;
  • infine, se hai figlз c’è tutta la parte di admin richiesta dalla ripartenza dell’anno scolastico (incluse scelte sportive, iscrizioni, riunioni, acquisti e aggiustamenti), in orari che sulla carta si vorrebbero compatibili con l’orario di lavoro deз genitorз ma che spesso costringono a prendere permessi e limitare la disponibilità per le riunioni.

Aggiungiamo che questo è il mese del cambio delle temperature, anche nel nuovo corso dell’emergenza climatica, con corollario di energie in calo e piccoli malanni (anche in condizioni pre-Covid) e ciao, la tempesta perfetta è qui.

Come è possibile difendersi?

La parola d’ordine è consapevolezza

Settembre è orribile ogni anno, non ha senso farsi illusioni che la situazione migliori.

Il mio modo per fare tesoro di questa consapevolezza è metterla a terra sull’agenda. La prima cosa che faccio quando ricevo l’agenda di un nuovo anno è proprio inserire scritte giganti nei mesi di settembre e dicembre per ricordarmi che sono mesi che partono come già pieni di impegni.

Questi 30 giorni non sono effettivamente tutti disponibili. Con questa consapevolezza non programmo mai lanci di nuovi prodotti e/o servizi in questo periodo e limito gli eventi sociali personali a uno a settimana.

Inoltre pianifico l’autunno complessivamente e a partire dall’inizio di agosto. Questo mi permettere di anticipare una serie di impegni e attività preparatorie, e posticipare da subito altri impegni a partire da ottobre.

Per esempio: questo blogpost programmato a inizio anno aveva un argomento non essenziale (quindi se fosse saltato non ci sarebbero state conseguenze per il mio piano strategico). Per questo a inizio agosto l’ho messo in pausa. Non solo, il corso in aula sugli obiettivi per Sistema Training non parte a settembre ma a ottobre.

‘Consapevolezza’ vuol dire anche conoscerti

Settembre è quel che è, ma tu, come sei fattǝ? Come ci arrivi, che esigenze hai, che desideri, impegni, situazioni?

Conoscere tutti questi aspetti può aiutarti a prevenire e curare insieme, magari decidendo che le ferie le fai proprio a settembre, tutto il mese. Con buona pace deз clienti italianз, a cui ovviamente spiegherai per tempo la cosa organizzando il lavoro di conseguenza.

Ma anche conoscere le esigenze del tuo corpo è importante. Se sai che hai un calo di energie proprio in questo periodo potrai organizzarti col tuo medico curante già a luglio per farti prescrivere integratori. Potresti avere bisogno di passare più tempo all’aria aperta per controbilanciare le full immersion al lavoro, organizzati passeggiate nel fine settimana.

… e avere chiare le tue priorità

Se la tua vita e il tuo benessere richiedono che tu dorma otto ore per notte con regolarità è inutile mettere in cantiere giornate lavorative di 14 ore. Così come ci sono attività e incarichi lavorativi (e sì, persino clienti) che sono più importanti per te. È a questi che dovresti dare la precedenza.

Per farlo a volte aiuta persino scriverli su un post-it appeso davanti al tuo schermo o all’interno dell’agenda. Insomma tenerli dove puoi vederli quando le urgenze di qualcun altrǝ cercano di farsi spazio nelle tue giornate. In quei momenti può risultare difficile dire di “no” o ergere paletti. Se sai cosa stai proteggendo diventa più facile.

No, non darai la tua disponibilità per il progetto pro-bono presso l’associazione di cui fa parte il cugino di secondo grado, perché hai la tua newsletter da scrivere. O anche solo no, non incontrerai per un caffè una persona che ti vuole presentare una proposta a freddo, ma te la farai mandare per email.

Organizzati per tempo

Come faccio io, già a gennaio quando uso il pennarello per colorare la visualizzazione mensile di settembre. Ma più semplicemente cominciando già all’inizio dell’estate a non prendere impegni per le prime settimane di rientro. Allenati a scadenziare con cura i ‘richiami’ alla clientela e a chi collabora con te. Non più il solito “ne riparliamo a settembre”, ma a seconda delle reali necessità del progetto “ne riparliamo a ottobre” o persino “a novembre”.

Poi metti l’impegno sull’agenda. Che sia cartacea come la mia, o digitale, o anche solo un’app calendario, non cambia. Scriviti l’appunto nel momento esatto in cui hai deciso di richiamare. Meglio ancora, scrivi oggi l’email e programma fin d’ora l’invio per il momento giusto (Gmail ha reso la funzione attiva per tuttз da qualche tempo).

Se hai l’abitudine di organizzarti il mese in anticipo questi impegni già segnati ti aiuteranno anche in futuro a prevedere il carico di lavoro in modo omogeneo. E se non hai questa abitudine… creala 😉 Non ti dico di comprarti la mia agenda con il video-corso in cui insegno come dosare l’organizzazione del mese e della settimana, perché è settembre e hai abbastanza da fare.

Ma magari segnatelo per ottobre 😉

Difendi il tuo ritmo

Se fai lo stesso lavoro da diversi anni (in proprio o in un’azienda) e sei una persona efficiente, con ogni probabilità le tue giornate scorrono secondo routine oliate. Magari neanche ne sei consapevole. Eppure appena ti siedi alla scrivania apri la posta elettronica, alle 10 vai a prendere il caffè, alle 14 leggi le newsletter di aggiornamento. E così via.

Anche inconsapevolmente, ma più spesso imparando ad ascoltare le tue esigenze e organizzarti, hai disegnato le tue giornate per la massima efficienza. È proprio questo ritmo che ti permette di passare indenne settembre quindi difendilo. Se nuovз collaboratorз cercano di farti cambiare abitudini non accettare il cambiamento passivamente. Pretendi di sapere le motivazioni alla base di questo diverso sistema e prenditi il tempo per integrarlo con il tuo.

Non lasciare campo libero alle persone per metterti appuntamenti e/o impegni in orari per te inadatti. Usa uno strumento come la condivisione del tuo calendario di Google o Calendly per dare ampie disponibilità ma nei limiti della tua organizzazione.

Rinegozia tutto il possibile

Se nonostante tutti questi accorgimenti è il 20 di settembre e non tiri più fiato sappi che quasi qualsiasi scadenza si può rinegoziare. Basta farlo con ampio anticipo, offrendo garanzie sulla qualità e il completamento del progetto, e con cortesia.

Parti dalle attività e dagli appuntamenti meno urgenti e offri da subito una nuova data. Non fermarti a un appuntamento. Se ne puoi rinegoziare cinque, fallo per tutti. Prima di tutto non è detto che tutte le persone coinvolte accettino, ma anche fosse è settembre e ogni margine di libertà sarà il benvenuto!

Copertina di Thomas Dils/Unsplash

Archiviato in:cose di organizzazione Contrassegnato con: agenda, organizzazione tempo, pianificazione

Come trovare tempo per marketing personale e auto-formazione

Gennaio 8, 2021 da Barbara

Ci siamo, il 2021 è arrivato e sono discretamente certa che quest’anno anche tu hai formulato qualche proposito/piano/progetto/obiettivo per i prossimi mesi. Di più, scommetto che tra ciò che vuoi fare nei prossimi dodici mesi c’è sfruttare meglio il tuo tempo per imparare qualcosa o tenerti aggiornat*. È normale, la cultura della formazione continua ormai è pervasiva nella nostra società, e con ottimi motivi, quindi non cercherò di farti cambiare idea.

Ma ti aiuterò a cercare il tempo da dedicare a queste attività, all’interno della tua organizzazione.

Il tema mi è caro, perché è un nodo ricorrente nei percorsi e nelle consulenze di Lifestyle Design. Le attività di marketing personale e di auto-formazione che ciascuna di noi vuole o sente la necessità di portare avanti sono tra le prime a venire trascurate. O peggio, a contaminare il tempo personale a discapito di salute e riposo.

Per questo mi sono detta che il primo post dell’anno doveva essere dedicato proprio a questo tema. Per aiutarti a completare la pianificazione che hai fatto con dei paletti che rendano i tuoi obiettivi per il 2021 davvero realistici. E che sia chiaro, il post ha senso sia se lavori da dipendente in un’azienda sia se sei un* liber* professionista.

Partiamo da quest’ultimo caso.

Organizzare attività di marketing e auto-formazione da freelancer/autonom*

La stragrande maggioranza di chi si mette in proprio, a volte anche con un team di collaboratori e collaboratrici alle proprie dipendenze, ancora tende a farlo con lo spirito “da tecnico”, come lo definiva Michael Gerber. Ovvero, pensando esclusivamente al contenuto specialistico del lavoro. Sono una copywriter? La mia giornata sarà spesa a lavorare scrivendo per le mie committenze. Ho un’agenzia di comunicazione? Le nostre settimane saranno assorbite da brief, riunioni, sessioni di lavoro e operatività.

Se va bene, nella fase progettuale, le piccole aziende si assicurano di avere qualcuno responsabile per la contabilità e lo svolgimento delle pratiche amministrative, idealmente delegando a una realtà esterna, e dedicano almeno un paio di settimane all’anno all’operatività della propria strategia di marketing. Se va bene.

Ma è davvero rarissimo che nel pianificare le attività dell’impresa si formalizzino tempi e modalità per la formazione. Più spesso si lascia a ciascun componente del team l’onere e la libertà di scegliere come tenersi aggiornat*, col consiglio non sempre velato di occuparsene “fuori dall’orario di lavoro”. D’altra parte è un arricchimento personale, no? (NO!)

La pratica di trascurare le attività di marketing e formazione nelle piccole attività o di scegliere di occuparsene nel tempo “non lavorativo” è ancora più comune tra freelancer. Leggere e studiare vengono meglio a mente libera dallo stress delle consegne e delle telefonate, quando si può farlo senza essere disturbat* perché non si è reperibili. E lo stesso vale per le attività di marketing personale… alla fine non portano fatturato, no? Quindi è meglio occuparsene senza intaccare le ore che possiamo fatturare ai/alle clienti.

Lascia che ti riveli un segreto non segreto della gestione aziendale: tutto quello che hai appena letto è sbagliato.

Formazione e marketing sono attività lavorative a tutti gli effetti

Le competenze acquisite e migliorate concorrono concretamente all’aumento di fatturato di qualsiasi impresa, e non c’è modo di procurarsi lavoro senza occuparsi consapevolmente di curarne la promozione e la presentazione. Insomma, non esiste attività professionale senza lo sviluppo delle competenze necessarie a svolgerla e senza la sua promozione.

Per questo qualsiasi attività imprenditoriale dovrebbe organizzare le risorse a disposizione (tempo, denaro, esseri umani) in modo da dare il giusto spazio a formazione e marketing. Idealmente, dal 20% al 30% del tempo-risorsa aziendale dovrebbe essere assorbito da queste due finalità.

In una piccola impresa questo significa prevedere una dotazione oraria per la formazione o per l’auto-formazione, offrendo al personale almeno un elenco di competenze e aree consigliate per l’aggiornamento ma idealmente anche un budget compensativo per corsi, libri, eventi di aggiornamento.

Significa anche coinvolgere qualsiasi dipendente in attività di marketing alla sua portata:

  • raccolta e/o creazione di contenuti per il sito, la newsletter e i canali social dell’azienda;
  • condivisione di notizie relative all’azienda sui propri canali professionali (blog e profilo LinkedIn);
  • partecipazione a eventi di networking a nome (e spese) dell’azienda, ecc.

Per chi è freelancer significa operare con consapevolezza e disciplina

Da un lato infatti chi lavora da sé è ancora più espost* al rischio di considerare ‘lavoro’ esclusivamente lo svolgimento tecnico degli incarichi per conto dei clienti. Aprire una partita IVA non richiede la redazione di un business plan (ma dovrebbe) né alcuna organizzazione gerarchica del lavoro. Alla fine sono da sol* e faccio tutto io, perché dovrei mettermi a elencare i miei ruoli?! Proprio per organizzare il lavoro senza perderti per strada elementi fondamentali come la formazione e il marketing!

Un esercizio del libro di Michael Gerber E-Myth a cui facevo riferimento più sù è stato una delle prime sveglie che mi hanno portato a interrogarmi sull’organizzazione del mio lavoro autonomo tanti anni fa. Gerber consiglia infatti di redigere un organigramma della propria attività, qualsiasi siano le sue dimensioni (trovi una versione semplificata dell’esercizio anche qui), e assicurarsi che ogni funzione sia coperta. Ogni funzione. Se ci sono da fare delle pulizie, anche quella. Quindi, per dire, se di lavoro sei un* stylist, lavare, riordinare, imballare e spedire prop usati per un servizio fotografico è parte del tuo lavoro e come tale deve avere un tempo e un valore definito.

Di questi tempi in cui quasi tutti passiamo ore sui social a parlare e (cercare di) dimostrare quanto siamo brav* e perché le persone dovrebbero scegliere noi, credo di non dover spendere altre parole a convincerti che il marketing è un’attività di cui devi occuparti nell’ambito della tua attività lavorativa.

Ma sospetto che per la formazione tu abbia bisogno di essere persuas*.

Perché le ore della settimana ti sembrano probabilmente già troppo poche per occuparti del lavoro per i/le clienti, tenere la contabilità e promuovere il tuo lavoro. Figurati se c’è spazio per leggere un libro, o tenerti al passo con tutte le newsletter di aggiornamento! Per non parlare dei corsi di formazione.

In realtà, per quanto difficile, si può fare. Ma ci vuole, appunto, consapevolezza del fatto che sia necessario e disciplina nel difendere il tempo per dedicare alla crescita personale. Senza dilungarmi, i miei tre consigli principali sono:

  1. usare un timer e dedicare piccole sacche di tempo alla formazione ogni giorno. Io per esempio leggo un libro di auto-formazione per 30 minuti. L’uso di un timer (di qualsiasi tipo, io uso di solito il cellulare) mi aiuta a concentrarmi fornendomi un obiettivo concreto senza paura di togliere eccessivo spazio al “lavoro vero”;
  2. segnare gli impegni di auto-formazione sull’agenda come se fossero appuntamenti. Quindi in un colore definito (come faccio con le riunioni, le call con clienti, ecc), con uno slot che ne definisce la durata, e soprattutto con la funzione ‘impegnata’ che impedisce a me stessa e altri di prendere altri impegni per quel momento;
  3. essere iper-razionale con le fonti. Niente iscrizione selvaggia a qualsiasi newsletter e lettura immediata quando arrivano (in particolare io uso questo metodo), stilare a inizio anno un elenco di libri da leggere e non farsi prendere dall’ansia del bestseller più recente (se non è più valido tra 6-12 mesi non valeva comunque la pena leggerlo), iscriversi solo a corsi per imparare competenze che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi di business per l’anno o il triennio in corso.

E chi è dipendente? Deve preoccuparsi di organizzare attività di formazione e marketing?

La risposta per me resta sì. E considero le mie argomentazioni abbastanza inoppugnabili, ma giudica tu.

Da un lato ogni dipendente può occuparsi come scrivevo prima di qualche forma di marketing, dall’altro dovrebbe essere responsabile del proprio marketing personale:

  • fare networking con colleghi per mantenere costruttiva la collaborazione, e con i riferimenti in altre industrie per promuovere opportunità di business;
  • condividere le proprie idee e informazioni importanti che ha letto con collegh* e management per avere un approccio proattivo all’operatività dell’azienda;
  • tenere aggiornato il curriculum e il proprio profilo LinkedIn

Non solo.

Tutti i contratti di lavoro nazionali prevedono un monte ore fisso e retribuito nella disponibilità dei dipendenti, da dedicare alla formazione.

La pratica è stata istituita anche per permettere ai datori di lavoro di organizzare una serie di momenti di formazione necessari allo svolgimento in sicurezza del lavoro.

Se spesso le aziende organizzano autonomamente i momenti di formazione, e al/la dipendente non resta che adattarsi a quanto richiesto o imposto, ci sono realtà in cui questo non avviene. L’onere di informarsi su quante ore sono a disposizione e organizzarsi un piano di formazione in quel caso è a carico del/la dipendente.

Se questa è la tua situazione, il mio consiglio è di fare così:

  1. rivolgiti alla persona a cui riporti direttamente con una selezione di corsi/contenuti già raccolta da te sulla base del lavoro che svolgi e del tuo ruolo;
  2. una volta che hai ricevuto conferma da questa persona che le competenze che vuoi acquisire sono compatibili con gli obiettivi dell’ufficio, porta il materiale all’ufficio del personale e richiedi le ore che ti spettano;
  3. se ti è permesso restare in azienda durante le ore dedicate alla formazione, chiedi la disponibilità di una sala riunione o di un’aula, altrimenti recati in una biblioteca pubblica. Meglio non andare a casa, dove potrebbero subentrare distrazioni.

Nel dubbio, se tu dovessi perdere motivazione a trovare spazio lavorativo per marketing e formazione, fai un test.

Chiediti: senza questa attività riuscirei ancora a fare il mio lavoro al massimo delle mie potenzialità e all’altezza di quanto viene pagato? Se la risposta è no, si tratta di un’attività lavorativa e come tale deve rientrare nell’orario di lavoro.

Copertina di Malvestida Magazine/Unsplash.

Archiviato in:cose di organizzazione Contrassegnato con: formazione, organizzazione tempo

Cose a cui dire “no” per fare spazio a “sì” che contano nel 2021

Dicembre 18, 2020 da Barbara

È già dicembre e io mi sento più come se fosse novesemprembre, l’infinita stagione del nostro scontento. Non ho fatto l’albero di Natale (il suo posto è ora occupato da una delle postazioni di lavoro da remoto che abbiamo allestito in aprile), non ho creato decorazioni, non ho impacchettato regali. Soprattutto, sono in ritardo col piano editoriale di questo blog, che avevo già adattato e riadattato per fare spazio a imprevisti ed evenienze.

Ma ho una fiducia cieca nel potere taumaturgico delle routine, quindi mi sono seduta alla scrivania, ho rubato un’ora al piano della giornata e mi sono imposta di scrivere il post pre-vacanze e di fine anno che avevo in programma per oggi.

In origine volevo raccontarti nel dettaglio cosa farò nel mio personale retreat di fine anno, il 28 e il 29 dicembre prossimo. Quando ruberò del tempo alla mia famiglia per chiudermi in una stanza a lavorare sui bilanci del 2020 e la programmazione del 2021. È un’abitudine preziosa e se vuoi consigli su come imitarmi c’è un post su C+B che ne parla.

Poi però mi sono guardata intorno sul web e ho sentito di avere qualcosa di più utile da condividere, ovvero la mia lista di “no” per il 2021.

La lista delle cose che non voglio più vedere nella mia vita è una delle parti che preferisco nei miei esercizi di fine anno per la definizione degli obiettivi, e anche uno degli strumenti più utili, nel tenermi in carreggiata nel corso dell’anno.

Al contrario di quello che puoi pensare non è una lista negativa.

Al contrario presuppone da parte mia uno sforzo attivo per eliminare certi sentimenti, comportamenti, cattive abitudini e così via dalla mia vita.

Nel tempo ho cominciato a infilarci dentro anche ingiustizie sociali. In piccolo, perché come ho avuto modo di dire in una diretta su Instagram lunedì scorso, a 18 anni ho smesso di fare attivismo politico. Ora mi occupo solo di piccoli cambiamenti che posso agire nella mia minuscola sfera di influenza, attraverso il rapporto uno a uno e la cura della relazione con le persone che ne fanno parte.

Da adolescente era una scelta di necessità nata dalla prima intuitiva consapevolezza che:

  1. non ho le energie emotive per sostenere una forma tradizionale di attivismo, o meglio, non sono disposta a pagare il prezzo che comporterebbe;
  2. non sono in grado di gestire i compromessi necessari per agire in politica, avendo ben chiara una visione di insieme e allo stesso tempo tutte le sfaccettature di una situazione.

Nel tempo è diventata una decisione programmatica che onora le mie due priorità di vita principali:

  1. coltivare il lusso di essere sé stesse, per me e per le persone con cui entro in contatto (o che entrano in contatto con me);
  2. dedicare il meglio di me prima di tutto alle persone che amo e che mi amano.

In questo quadro, le voci della mia lista “il prossimo anno dico ‘no’ a” hanno cominciato negli ultimi tre anni ad arricchirsi di attivismi in miniatura.

Ecco quindi le due cose a cui dirò no nel 2021 per agire un cambiamento sociale.

Le frasi “Migliora”, “Diventa migliore”, “Fare meglio”

Sto parecchio attenta a non pronunciarle già da un paio d’anni, ma nel 2021 voglio proprio correggere gli altri quando le dicono e fare presente che dietro il concetto di ‘meglio’ applicato alle persone c’è un’implicito giudizio di inadeguatezza. C’è l’idea che ciò che siamo non sia abbastanza e debba essere cambiato per migliorare.

Incoraggio e incorragerò tutti a dire invece “sii la migliore versione di te stessa/o”, “fai quanto più ti è possibile”. Con affetto e indulgenza per i nostri difetti e stanchezze, che sono assolutamente normali e che non fanno di noi delle persone ‘sbagliate’.

Con questo piccolo gesto spero di contribuire a indebolire la grande industria mondiale dell’insicurezza (come la chiamo io), che guadagna milioni dal farci sentire inadeguati per venderci “soluzioni definitive” che hanno il solo effetto di tenerci in perpetuo stato di bisogno e rassicurazione.

Giudicare le persone dalle loro azioni

Al contrario, nel 2021 voglio sempre di più giudicare le azioni delle persone, riconoscendo che non sempre definiscono le persone che le compiono. E che spesso ciascuno di noi sta facendo il meglio che può in quel momento, anche quando sbaglia.

È un insegnamento che mi porto dietro da quasi quarant’anni, da quando mio padre mi citò una frase dal libro “Un ingenuo e sentimentale amante”:

Un uomo si giudica da quello che cerca, non da quello che trova.

John Le Carré

La verità è che tutti facciamo errori, a volte imperdonabili, ma non per questo secondo me dovremmo essere cancellati dalla faccia del pianeta o ridotti alla somma degli errori che compiamo. La nostra identità risiede molto di più, io credo, nei nostri valori, nelle nostre aspirazioni e nei sentimenti. E su quelli mi riservo di continuare a esercitare giudizi severi. Perché non sono certo una persona esente da difetti e uno di questi è proprio che giudico, o comunque traggo conclusioni.

Ma con un approccio diverso, che non condona errori gravi, né esonera ciascuno di noi dalla responsabilità delle conseguenze, spero di limitare la propagazione della cosiddetta “cancel culture” e di dare alle persone l’incoraggiamento che serve a superare gli errori e ricordarsi dei propri ideali.

Dal punto di vista mio personale invece, la lista dei “no” da dire nel 2021 è ancora in costruzione, ma ci sono tre punti fissi che mi porto dietro da tre anni e che ho già confermato anche per il 2021.

Si tratta di azioni spesso involontarie, anzi proprio di tre meccanismi di adattamento con cui tendo a reagire ai miei errori (reali o percepiti) e ai momenti in cui mi sento più esposta e vulnerabile.

Nel tempo ho scoperto che lasciarmi andare a queste strategie istintive, invece che aiutarmi a superare momenti di difficoltà mi blocca e mi impedisce di crescere. Così ora mi sforzo di riconoscerle per tempo e fermarle sul nascere.

Vergognarmi di quello che dico o faccio

Sono sempre stata pesantemente consapevole degli sguardi delle persone su di me, anche quando nessuno in realtà mi nota (ovvero nella stragrande maggioranza dei casi). Quindi ho questa convinzione innata che qualsiasi minimo errore, passo falso, gaffe o goffaggine venga visto e possa essere usato contro di me per dimostrare che non sono sufficientemente intelligente, assertiva ecc.

Razionalmente so che non solo raramente la gente si accorge degli errori che faccio, ma che soprattutto gliene frega davvero poco. Quando esco dalla macchina e ho il cappotto infilato nella cintura di sicurezza che mi ritrascina dentro e quasi cado… non c’è nessun pubblico interessato al punto da pensare “che tonna”. Ma il mio primo istinto è guardarmi intorno furtiva e cercare di apparire naturale mentre mi risistemo.

È una perdita di tempo e un condizionamento fastidiosissimo che ora combatto. Riconoscendolo quando arriva e scartando immediatamente il pensiero. Se l’errore è un po’ più grande e reale ci vuole più tempo a smontare il meccanismo, ma ho notato che se provo a rispondere alle domande “qualcuno ne soffre/soffrirà?” e “posso riparare?”, riesco a capovolgere il mio approccio e sentirmi meglio. E dire “no” a una vergogna francamente inutile.

Confrontarmi con altri

Se sono in difficoltà e ‘incontro’ qualcuno (nella vita o sui social) mi viene spesso istintivo misurare il mio stato reale con l’immagine che intercetto dello stato di quella persona. Succede il 95% delle volte sui social network, ed è per questo che li frequento il meno possibile, compatibilmente col lavoro e tutti gli stimoli positivi che comunque mi forniscono.

Sui social gira da tempo immemore la citazione

Comparison is the thief of joy.

Theodore D. Roosevelt

E infatti immancabilmente confrontarmi con altri mi porta a:

  • sminuire tutti i miei traguardi (troppo miseri, nei campi ‘sbagliati’, arrivati tardi, ecc);
  • perdere la motivazione sui progetti a cui lavoro (c’è sicuramente qualcuno più capace di me);
  • pensare male degli altri (sicuramente l’hanno aiutat*, è tutta fuffa, è Instagram vs reality, ecc).

Insomma: energie negative, insicurezze e immobilismo. Tutto inutile e controproducente se già la situazione è difficile.

Dire a “no” al confronto significa prendermi invece il tempo per essere presente nel momento difficile e chiedermi “quali sono le cose importanti in questo momento?”. Avere per le mani questa lista, metterla in ordine di priorità, è un ottimo spunto per rimettermi in moto con proattività.

Evitare di affrontare temi e momenti difficili

Ebbene sì, come tutti anche io non amo sguazzare nelle cose complicate. Procrastino, evado, cerco di scappare, rimandare o proprio far finta che ciò che non voglio vedere… non esista del tutto. È deleterio e del tutto inutile perché le difficoltà rarissimamente si risolvono da sole.

Per fortuna, una delle prime cose che ho imparato in terapia è che spesso ciò che più ci spaventa è raramente così spiacevole come lo immaginiamo. Anzi, più evito di pensarci più nel retro della mente prende dimensioni e caratteristiche mostruose… ma quando poi lo affronto scopro che non era niente di ché. Quindi non solo ho perso tempo, ma mi sono anche esposta a stress inutile.

La mia psicologa mi ha insegnato a chiedermi “qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere se affrontassi questa situazione?”. La risposta è raramente così grave che non sia meglio occuparmi subito della situazione e mettermela alle spalle, così difendermi dall’evasione mi aiuta a concludere molto di più nella vita.

Ci hai fatto caso? Ogni “no” sulla mia lista è davvero un modo per sentirmi meglio, dedicare più tempo a ciò che amo, risparmiare energie e alleviare lo stress. Spero che ti sia d’ispirazione per la tua lista di “no” per il 2021.

E buon anno. Comunque vada 💙

Foto di copertina di Giulia May/Unsplash.

Archiviato in:cose di organizzazione

Fare piani nella totale incertezza

Agosto 21, 2020 da Barbara

Ogni anno ad agosto mi fermo (anche solo qualche giorno) e metto mano alla mia pianificazione personale e lavorativa per bilanci e previsioni dell’anno solare successivo. Quest’anno diverse persone mi hanno guardato strano quando l’ho fatto. Siamo in una pandemia, i numeri dei contagiati stanno tornando a salire in Italia, e come è tipico del COVID-19 lo fanno in maniera esponenziale…

Ha senso pianificare quando siamo nel vivo di una pandemia e non abbiamo idea di come si evolverà nei prossimi 18-24 mesi?

Il mio entusiastico sì di risposta non è una novità, se hai letto il mio post sul planning alla fine del 2018. Credo infatti che un cambiamento drammatico nella nostra vita richieda sempre un profondo reset dei piani in corso, da sostituire con nuovi e più adatti. La chiamo pianificazione situazionale ed è quella che ho messo personalmente in pratica nel 2020.

Perché secondo me è importante pianificare anche nei momenti di incertezza?

Ci sono tre ruoli fondamentali assolti dalla pianificazione, quando sei nel pieno del cambiamento e dell’indeterminatezza:

  1. prima di tutto mettere mano alla pianificazione ha il beneficio di toglierti dall’approccio passivo in cui subisci gli eventi e di metterti almeno al timone delle tue reazioni. Anche psicologicamente, questo cambiamento da passività ad attività ti restituisce un senso di controllo forse non del tutto realistico ma certamente rassicurante. È spesso sufficiente a farti sentire meno “travolt*” e impotente di fronte a quello che succede;
  2. la pianificazione è un allenamento da fare con regolarità, non una di quelle cose bellissime da fare una volta e poi più (scusa DFW). Più ti metti in un approccio di ‘prevenire è meglio che curare’, valutando in anticipo possibili scenari e le alternative possibili, meglio sarai in grado di reagire a nuovi stravolgimenti. Son sempre un po’ stupita di chi propone pianificazioni granitiche una tantum e vende “il metodo definitivo per organizzarsi”. Fidati di me, non c’è metodo che si adatti a qualsiasi situazione e persona, ma c’è un processo costante (e costantemente in evoluzione) che si consolida se lo tieni in allenamento.
  3. Infine, il meccanismo stesso della pianificazione, che ti costringe a guardare le cose in prospettiva e valutare conseguenze e controindicazioni, restituisce un approccio analitico che stempera almeno in parte l’emotività sempre legata a tutti i grandi cambiamenti.

Come fare in pratica a pianificare nei momenti di incertezza?

Siccome non esiste un metodo unico che vada bene per tutti e in ogni momento, vorrei affrontare la questione con delle linee guida, piuttosto che delle risposte granitiche.

  • Il punto da cui partire a pianificare nei momenti di incertezza è una posizione di indulgenza, verso te stess* prima di tutto. Vogliti più bene del solito, quando metti mano a pianificazioni nel bel mezzo della tempesta, concediti tanti errori, la possibilità di andare a vuoto più volte, ma soprattutto il lusso di aspettative ridotte. Si pianifica per semplificarsi la vita, non per aggiungere stress o complicazioni a un momento già difficile;
  • Le aspettative ridimensionate però non dovrebbero riguardare soltanto la tua prestazione, ma anche gli impatti dei piani ben riusciti. Non vuol dire partire da un approccio di negatività o pessimismo, al contrario significa avere consapevolezza che le conseguenze sono ancora più difficili da controllare, in condizioni di incertezza diffusa e cambiamento costante;
  • Per questo una pianificazione in tempi di incertezza richiede un cambio di prospettiva rispetto alla quotidianità. I piani che fai quando sei nel pieno di una crisi non hanno l’ambizione di portarti a destinazione, ma di traghettarti in acque più calme e possibilmente non troppo fuori rotta;
  • Gli obiettivi si fanno piccoli e di breve-medio termine, contingentati e molto ben definiti. Ma sempre perfettamente allineati con i tuoi valori. Per fare un esempio, la pianificazione in tempi di incertezza non è quella che mette in cantiere la costruzione di una casa a mani nude ma quella che progetta il miglioramento della casa in cui vivi o la ricerca di una sostituzione in linea con le tue aspirazioni. Che sia chiaro, non vuol dire che in tempi di incertezza non sia possibile trovare l’occasione di costruirsi una casa. Può succedere, e se succede è sicuramente grazie a un approccio positivo di progettualità e a valle di tanti piccoli altri obiettivi raggiunti. Ma non è l’obiettivo con cui si dovrebbe partire.

Cosa non fare, in tempi di incertezza:

Abbandonare del tutto ogni pianificazione lasciandosi trascinare dagli eventi.

Parliamoci chiaro, se vivere alla giornata è l’unica cosa che riesci a fare va benissimo così. Non ha senso metterti sotto pressione per fare grandi piani se non ne hai la forza o la voglia. Ma anche le giornate possono essere pianificate, alla mattina per arrivare alla sera. In questo orizzonte temporale apparentemente piccolo e ininfluente c’è spazio per micro-obiettivi da affrontare a mente aperta e che ti possono regalare tutti i benefici della pianificazione di cui parlavo più sopra.

Cercare di portare avanti a tutti i costi un piano quando le condizioni sono palesemente cambiate.

È inutile e controproducente. E ti tiene proiettat* nel passato, in una posizione di rifiuto di quello che sta succedendo. La cattiva notizia è che gli eventi se ne infischiano che tu li rifiuti, proseguono comunque per la loro strada. Possiamo rimanere ferm* a dirci che speriamo di non ritrovarci più in un lockdown. È legittimo volerlo evitare. Ma non ha senso fare progetti a lungo termine come se non ci fosse la possibilità di un nuovo lockdown. Immagina di prenotare ora una vacanza a New York per Capodanno, perché è una tradizione di famiglia (ti invidio molto) e non ci vuoi rinunciare… Davvero pensi sia una buona idea?!

Affezionarti troppo a un metodo di programmazione e organizzazione.

Così come con i tuoi preziosissimi piani, anche con i metodi che usi per comporli devi avere un approccio flessibile e di apertura al cambiamento, a maggior ragione in tempi di incertezza. C’è una scena del film Pixar Cars 3 in cui la co-protagonista Cruz Ramirez usa il mantra “sono una nuvoletta paffuta” per ricordarsi di tenere una guida morbida, con le sospensioni rilassate per rispondere al meglio alla pista e alla gara. Ecco, “sono una nuvoletta paffuta” è un mantra perfetto per la pianificazione in tempi di incertezza 😊

Ma nel dettaglio, come si fa?

Posso dirti cosa ho fatto io in primavera e questo mese. Prendi ciò che senti possa adattarsi anche alla tua situazione e alle tue aspirazioni e ignora il resto.

Mi sono fermata e ho rimesso tutto in discussione.

L’abitudine a fermarsi e analizzare i dati (ipotesi iniziali incluse) è il principio più importante che cerco di trasmettere a chi intraprende con me un percorso di lifestyle design.

L’ho fatto a fine marzo-inizio aprile, dopo essermi concessa un mese per assorbire il colpo della pandemia (indulgenza, ricordi?). Ho ripreso in mano i miei piani personali concretizzati in macro-obiettivi e i miei piani professionali (che organizzo per trimestre) e ho rivisto le motivazioni che sottostavano a ogni decisione. Ogni obiettivo/piano non sostenuto da una motivazione ancora valida è andato in pausa.

Ho ridefinito le mie priorità.

Certo i miei valori di massima sono rimasti immutati, ma quando ti travolge una pandemia le priorità si ridimensionano drasticamente. Soprattutto si riducono.

Altra cosa che ripeto a chi fa un percorso di lifestyle design (fino alla nausea, lo ammetto) è il concetto che non ci possono essere infinite priorità. In ogni dato momento idealmente dovrebbero essere al massimo tre. Ma anche fossero di più è fondamentale che siano organizzate in un rigido ordine gerarchico. Non esistono priorità “a pari-merito”. Esiste la priorità numero 1, la numero 2, ecc. La numero 1 vince su tutto.

Bon, in tempi di pandemia le mie priorità sono proprio solo 3:

  1. fare quanto in mio potere per non ammalarmi e affinché non si ammalino i miei cari;
  2. prendermi cura di me;
  3. continuare a crescere nel mio lavoro.

Il resto viene dopo, in ordine di importanza ovviamente. Ma dopo.

Ho fatto il punto della situazione.

È una cosa che faccio con regolarità, per me il lavoro di revisione della pianificazione è costante.

Lo faccio in piccolo ogni domenica e ogni fine-mese. Ogni domenica faccio una breve revisione della settimana precedente, verificando cosa è andato a buon fine e trasferendo le attività ancora in corso sulla settimana successiva, ma soprattutto segnandomi le BIG WIN, ovvero i successi personali (anche piccolissimi).

Ogni fine mese compilo poi una scheda di revisione in cui sottolineo sia i traguardi raggiunti sia ciò che non ha funzionato.

Da marzo ho migliorato molto la regolarità di queste fasi di revisione, mi ci attacco con grande trasporto e invece che fare semplicemente tesoro di quel che noto, uso le informazioni per fare continui aggiustamenti.

Ho creato una pianificazione agile.

Sarò onesta, è fine agosto e non ti so dire cosa farò in ottobre.

Non ho previsto nessun dettaglio. Ho buttato giù una traccia e dei macro-eventi nel resto dell’anno, ma ottobre è ancora libero. Settembre sarà un’incognita non da poco e uno dei lavori che è tentativamente previsto per ottobre potrebbe saltare se la pandemia peggiore sensibilmente.

Ma ho rivisto la mia settimana ideale (altro modello che cambia spesso ed è assurdo immaginare inciso nel marmo) e so cosa farò ogni giorno e che priorità avrò. Il resto lo costruirò una settimana alla volta, nella pianificazione settimanale della domenica.

Il mio invito per te è di provarci anche tu, coi tuoi tempi e le tue energie 😊

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Come sopravvivere quando c’è una pandemia globale

Aprile 3, 2020 da Barbara

Giuro che non volevo scriverlo l’ennesimo post di consigli autoreferenziali su cosa fare “al tempo del Coronavirus”. Poi Kelli Lamb mi ha chiesto di regalarle un post per il suo blog personale, e siccome Kelli è la direttrice della mia rivista online di interni preferita mica potevo dirle di no. E poi, mio malgrado mi son ritrovata a raccontare quel che facciamo in casa anche su Instagram, e da cosa nasce cosa e alla fine mi son detta che tanto valeva scrivere qualcosa anche per il mio di blog.

Questo post non prevede alcun metodo infallibile e unico per uscire sani di mente, magri e ricaricati, dall’esperienza di un prolungato lockdown, né contiene un decalogo di azioni (sono troppo impegnata a sopravvivere per curarmi della SEO e dei titoli click-bait).

Piuttosto è un elenco di modi in cui, volendo, si può sopravvivere.

E comincia proprio da qui.

La parola chiave è sopravvivere.

Il periodo che stiamo affrontando è una minaccia per il nostro benessere:

  1. fisico, siamo all’inizio di una pandemia globale che durerà fino all’immunizzazione del 70% della popolazione tramite vaccino, quindi realisticamente per altri 18 mesi;
  2. economico, la contrazione economica globale repentina sta già mettendo in crisi il sistema globale, e la situazione resterà seria per molti mesi;
  3. psicologico, l’incertezza per il futuro, la paura per l’incolumità nostra e delle persone a cui vogliamo bene, l’assenza prolungata di contatti sociali, sono e saranno i nostri fedeli compagni di viaggio.

Si riassume così: passatemi la vodka.

In questo contesto non ha francamente senso avere ambizioni grandiose sugli obiettivi che potremo raggiungere, perché per quanto impegno possiamo mettere nel provare a realizzarli, questo è il momento per eccellenza in cui la vita mostra il dito medio e fa un po’ quel che le pare.

Quindi, per quel che mi riguarda, ho abbassato le aspettative al minimo cosmico: sopravvivere, respirare, mangiare, dormire, ecc. Con il bonus aggiunto che qualsiasi cosa in più riesca a fare mi sento Beyoncé!

Che sia chiaro, non sto lanciando un manifesto per l’ozio (non che ci sarebbe niente di grave), piuttosto il mio consiglio è essere molto molto generosi con noi stessi, e ancora più attenti a tenere sotto controllo le aspettative. Le nostre, e quelle degli altri.

Lo stesso vale nel lavoro. Se avete clienti o datori di lavoro che si aspettano da voi i salti mortali in questo periodo… difendetevi come potete perché si tratta di richieste senza senso.

Se avete un’impresa vostra, concentrate le vostre poche energie e risorse nel farla sopravvivere. Che in alcuni rari casi può voler dire stravolgere l’organizzazione dell’impresa, ma nella maggior parte dei casi si tratta semplicemente di ridurre all’osso le attività per poterle portare a termine al meglio, lasciando un ricordo significativamente migliore sui vostri clienti di altri concorrenti che magari hanno deciso proprio in questi mesi di costruire da zero un ecommerce e magari non riescono a stare dietro alla logistica…

Le routine salvano la vita.

Non sono glamour, non sono divertenti, richiedono tempo per prendere piede. Ma salvano davvero la vita.

Anche qui il consiglio è applicabile sia per le persone sia per le aziende e i liberi professionisti.

Le routine aiutano le persone a creare un’illusione di certezza e di controllo. Se ogni giorno compiamo sempre le stesse azioni, significa che in parte sappiamo in anticipo cosa succederà un dato giorno e l’impatto paralizzante dell’incertezza sul futuro sarà minore. È vero, non sappiamo quando finirà la pandemia, ma sappiamo che domani ci alzeremo alle 7, faremo il letto, mangeremo la colazione, ci laveremo, indosseremo dei vestiti che abbiamo selezionato la sera prima, caricheremo una lavatrice, e così via.

Più semplice, naturale (nel senso che contenga azioni che facciamo con naturalezza) e piacevole è la routine, più sarà facile abituarcisi. Conquistare una routine ci regala un successo facile ma che ci fa sentire in grado di controllare la nostra vita.

Per un’azienda coltivare le routine vuol dire consolidare le buone prassi (dalla gestione degli ordini ai processi di igienizzazione e sicurezza) e ridurre i costi e le possibilità di errore.

Socializzare poco per socializzare meglio

L’umanità di suo, nei momenti di crisi, checché appaia dai flashmob e dalle raccolte fondi, non ci fa una grande figura. I social network sono popolati di umanità, quindi non sorprende che non siano esattamente il posto migliore dove socializzare in questo periodo.

Personalmente trovo particolarmente difficili da gestire i canali che si affidano alla parola, dove insomma emergono soprattutto le opinioni delle persone. Ho scoperto che non solo non mi aiuta leggerle, ma in linea di massima mi provoca reazioni davvero violente.

I post che mi porterebbero diretta all’alcolismo, se non avessi smesso di frequentare Twitter e Facebook (se non da browser, e se ho motivi lavorativi rilevanti), sono questi:

  • post di insegnanti che si lamentano continuamente di ciò che viene loro richiesto;
  • post che commentano con superiorità ogni notizia che viene dal Governo e ogni reazione a quella notizia. Non va mai bene niente anche se no, nessuno sa quale sarebbe la cosa giusta da fare;
  • post di persone senza bambini che prendono in giro chi sta impazzendo in casa con i figli (appartentemente è perché non li abbiamo saputi educare, non perché non è normale per un bambino rimanere mesi senza l’opportunità di giocare con i coetanei e muoversi);
  • post pieni di retoricah (ma quelli non li sopportavo neanche prima);
  • post di denuncia contro tutti quelli che infrangono le regole del distanziamento sociale. In particolare quelli che cominciano con “anche io vorrei… ma mi trattengo/faccio un sacrificio…”. Che facciano una bella denuncia anonima alla Polizia come tutte le vecchiette che si rispettano;
  • tutti i post “andrà tutto bene”. Prima di tutto perché è una stronzata e crea aspettative irrealiste. Poi perché deresponsabilizza la gente. Per come la vedo io, come andranno le cose, dipende da un sacco di fattori, prima di tutto come ci comportiamo. Non da un roseo lieto fine predeterminato;
  • tutti i post che parlano della fase 2 come “la ripartenza”, “la riapertura”, ecc.

Certo, se scrivere e leggere questo genere di post vi fa sentire bene, lungi da me togliervi questo piccolo piacere. Insomma, fate come vi pare. Ma prestate più attenzione del solito ai segnali di insofferenza per non ritrovarvi a litigare poi con quelli che convivono con voi per colpa di quel che ha scritto qualcuno che neanche conoscete.

Intanto, se non li avete già nella vostra vita, cercatevi qualcuno che vi piace con cui sentirvi ogni tanto, con cui parlare di cose che vi piacciono e dedicate a loro il vostro tempo sociale.

Va bene fare del bene, ma occhio a non farsi del male.

Spendere e spandere per sostenere i business che amiamo e poi ritrovarsi senza soldi per mangiare tra tre mesi non è una volpata.

Lo stesso discorso vale per le risorse emotive che avete a disposizione: spenderle e spanderle telefonando a tutte le persone in difficoltà psicologica che conoscete, per poi ritrovarvi esausisti e depressi attaccati a una bottiglia… non è la cosa giusta da fare.

Ormai l’isteria collettiva “siamo tutti nella stessa barca” si è esaurita, adesso è il momento di fare un preciso punto della situazione risorse, rivederlo spesso, e dosare ogni investimento esterno.

Non è cattiveria, è sopravvivenza.

Immagine di copertina di John Cameron/Unsplash.

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Cosa vuol dire per me progettare uno stile di vita

Marzo 6, 2020 da Barbara

Tanto tempo fa in una galassia lontana lontana, prima di avere un esaurimento, organizzavo matrimoni. Avevo un modello di business straordinariamente personale eppure del tutto insostenibile psicologicamente. Come spesso mi accade non avevo fatto tesoro dei miei stessi consigli, o lo avevo fatto solo in parte.

A distanza di quasi tre anni, pur non avendo risolto tutti i miei errori di allora, posso dire di essere riuscita a disegnarmi uno stile di vita sostenibile e che mi fa stare bene. Non a caso parlo di stile di vita e di disegnarlo, perché ho sempre l’impressione che parlare di organizzazione, tempo, e vita o lavoro sia riduttivo e limitante.

Qui è dove mi prendo lo spazio per spiegare compiutamente di cosa parlo quando parlo di progettare uno stile di vita.

Sono arrivata a pensare in termini di “lifestyle design” nel 2016, per lanciare una serie di servizi personali di strategia e organizzazione (sono di nuovo disponibili, qui). Si trattava di consulenze create intorno alle mie capacità di organizzazione, alle mie conoscenze di strumenti utili a pianificare e dare forma alle strategie, e al mio approccio incondizionatamente dalla parte dei miei clienti.

Per la prima volta avevo deciso di mettere tutto questo al servizio di ogni donna che avesse difficoltà a ritagliarsi una vita che rispecchiasse davvero la propria identità e i propri desideri, senza farsi influenzare dalle aspettative esterne.

Cosa intendo per lifestyle design

A prescindere dalla scelta del 2016 di un termine inglese per amore di brevità, il concetto di “disegnarsi uno stile di vita” mi piace per diversi motivi.

Tanto per cominciare quando si parla di stile di vita il lavoro non è necessariamente centrale.

Trovo che gli approcci che danno per scontato che la vita di una persona sia determinata dalla sua professione, da ciò che fa per lavoro, partano di per sé con un bias culturale che rischia di silenziare le reali aspirazioni della persona.

Per intenderci, il percorso Designing your life di Dave Evans e Bill Burnett, giunto a fama planetaria proprio nel 2016 con un libro dallo stesso titolo, pur parlando di “vita”, è pensato per aiutare le persone a trovare una vocazione professionale che permetta loro di avere una vita “gioiosa” e “piena”.

Ma cosa succede se una persona, legittimamente, preferisce costruire la propria vita intorno a un’altra vocazione, non lavorativa? Cosa succede a chi sceglie un lavoro manuale e ripetitivo solo per avere uno stipendio e poi dedicare il proprio tempo libero ad altro? Un’autista di autobus non ha la possibilità di vivere una vita “gioiosa” e “piena”?

Il concetto che la vita di ciascuno di noi sia fortemente determinata dal lavoro che facciamo è molto culturalmente definito (a dirla tutta, molto Statunitense). Ma io, per esempio, non mi ci identifico affatto. Non ritengo che ciascuno di noi sia definito da ciò che fa, ma da ciò che è. Persino le persone per cui il lavoro è il cardine della propria esistenza (e per loro il metodo Evans e Burnett è sicuramente indicato) secondo me sono in quella condizione perché hanno fatto una scelta consapevole che deriva dalla loro identità.

Ma al contrario da ciò che Evans, Burnett e generazioni di motivatori Statunitensi pensano, il lavoro che scegliamo non può sempre essere determinato dalla nostra vocazione e motivazione. Spesso dipende da altri fattori, come la fortuna e le opportunità, che come sappiamo non sono pari per tutti, dalle scelte che altri fanno per noi, dal nostro genere, dal colore della nostra pelle, dall’accento con cui parliamo la lingua del paese in cui decidiamo di vivere. E potrei andare avanti.

Quello che nessuno può influenzare, se non glielo permettiamo, che non dipende così pesantemente da fortuna, tempismo, e scelte altrui, è la nostra identità. Chi siamo.

Quando parlo di stile di vita io intendo precisamente l’applicazione dell’identità di ciascuno di noi alla sua vita.

E questa scelta, lo scopo (anche non professionale) che abbiamo nella vita, con chi decidiamo di stare, quello che decidiamo di fare del nostro tempo, può compierla liberamente chiunque, a prescindere dalle sue scelte professionali.

Perché non parlare di vita e basta, allora? Perché la vita, come il lavoro, non dipendono soltanto da noi. Non viviamo in un tunnel di plexiglass che corre verso il nostro obiettivo, ma in ecosistemi fluidi in cui le scelte microscopiche di un bambino dall’altra parte del mondo possono avere ripercussioni anche su quello che succede a noi.

Pensare di poter controllare e influenzare complessivamente la propria vita, in ogni sua singola unità di tempo, è arrogante e del tutto irrealistico. Meglio quindi concentrarsi sullo stile che vogliamo che abbia, sulle sue linee guida. Sapere la direzione in cui ci vogliamo muovere, senza voler definire ogni singola tappa, ci permette di rimanere flessibili lungo il percorso e più reattivi agli imprevisti.

Nel 2016 non sapevo nulla del metodo di Evans e Burnett perché del libro ancora non si parlava in Italia, ma la scelta di usare il verbo “design” nel senso di “progettare” e pianificare insieme, per me è stata programmatica.

Il mio “design” non è un metodo, non suggerisco di applicare il design thinking alla costruzione del proprio stile di vita. Prima di tutto perché ritengo che non esista un unico metodo per fare le cose correttamente, proprio come non esiste un metodo adatto a tutti per imparare una certa disciplina.

La mia progettazione è un approccio, piuttosto.

Disegnare per me è tracciare su carta i confini di un’esistenza che ci farà sentire realizzati, per creare uno schema dentro cui muoverci più sicure, libere dal panico da pagina bianca che spesso ci porta a guardare più facilmente al passato che al futuro.

La metafora della scrittura per lo stile di vita ha sempre avuto grande risonanza per me, non a caso ho trovato una frase di Luisa Carrada relativa alla scrittura che spiega benissimo il mio approccio allo stile di vita:

Il segreto per non cadere preda dell’ansia e del blocco della pagina bianca è… non avere davanti una pagina bianca. Riempiamola con il programma di viaggio, che definiremo via via con maggiore precisione. Non limita la nostra libertà, ci sbarazza invece di qualche patema d’animo.

– Luisa Carrada, Scrivere, che bello!

Un approccio per femmine

Come quando parlavo di lifestyle design nel 2016, anche quando lo faccio oggi mi riferisco a una consulenza per donne. Non è una questione di semplice posizionamento, ma è una scelta che si fonda sulla convinzione che le persone che più hanno bisogno di un percorso di “progettazione di stile di vita” siano femmine. Donne dalla nascita o dalla loro scelta di diventare donne, poco importa.

Le aspettative e gli sguardi del mondo sono innegabilmente più pesanti sulle spalle delle femmine della nostra razza, non foss’altro perché la biologia apparentemente fa gravare su di noi l’obbligo della procreazione. Anche per quello il corpo delle donne è terreno di battaglia dalla notte dei tempi.

Per una femmina (mi ostino a dire femmina e non donna perché questo è un discorso di genere, non solo di sesso) progettare uno stile di vita è anche un’azione politica, proprio perché spesso si dà per scontato che non ci sia nulla da progettare. Al massimo da scegliere se vuole una famiglia o no (e anche lì la “scelta” è raramente libera).

Offrire una consulenza di questo tipo solo alle femmine non è un modo per dire che la responsabilità di tenere in equilibrio le scelte di vita resta alle donne, è invece un modo per permettere loro di giocare ad armi pari, di offrire gli strumenti per scegliersi dei percorsi di vita senza farsi influenzare dalle aspettative, le opinioni e le richieste degli altri.

Nell’ultimo anno ho ricominciato a offrire consulenze di lifestyle design, e ora sono di nuovo prenotabili anche sul mio sito. Spero che questo post abbia chiarito cosa si cela dietro questa definizione di comodo. Soprattutto vorrei che avesse chiarito cosa non vuole essere.

Il lifestyle design non è né coaching né terapia né organizzazione personale

Non è coaching, perché non c’è alcun rapporto gerarchico tra una guida (io) e un’allieva.

In un percorso di lifestyle design tutte le analisi, le risposte, le decisioni e le scelte sono in mano alla persona che lo affronta. Il mio ruolo di consulente si esaurisce nel mettere a disposizione strumenti, cercarli quando ancora non sono noti, e offrire domande e ascolto, una cassa di risonanza per le scelte di chi affronta il percorso.

Potresti farlo da sola? Ovviamente sì, non ho inventato niente in termini di strumenti. Ma il mio contributo tutto personale è la capacità di ascoltare senza giudicare, davvero. Perché “vale tutto” per me è un principio guida.

Non è terapia perché non ha alcuna ambizione di risolvere o “curare” patologie, disagi, disturbi psicopatologici, di fare emergere aspetti inconsci.

Un percorso di progettazione è del tutto consapevole e attivo. Attinge sì a riflessioni, emozioni, desideri ma per lavorare sul fuori da noi, sull’impatto che possiamo avere su ciò che ci circonda. Non è un lavoro sul sé, ma sulla manifestazione di quel sé.

Ti serve una psicoterapia? Anche senza conoscerti per me la risposta è sempre sì. Un percorso di psicoterapia, qualsiasi tu ti possa permettere in termini di tempo, denaro, energia, servirebbe a tutti, secondo me.

Non è organizzazione personale perché non presuppone che si parta da un punto di partenza di disorganizzazione, da risolvere con l’applicazione di un metodo chiaro e univoco.

Un percorso di lifestyle design può avere senso anche quando pur essendo persone organizzate dobbiamo rivedere il nostro stile di vita nel suo complesso. E può capitare di dover ripetere un percorso di lifestyle design nel corso della vita, perché siamo cresciute o abbiamo cambiato idea o sono cambiate radicalmente le nostre circostanze.

Ti insegna a organizzarti? In parte sì, ma non è detto. Perché non è detto che sia un elemento che ti serve. È una consulenza e anche per questo si modula sulle reali esigenze di chi la richiede.

Spero di essere stata chiara e completa. Se così non fosse mi raccomando scrivimi e chiedi!

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45 giorni per prepararmi al nuovo anno

Novembre 15, 2019 da Barbara

babepi #45daysyearend challenge

Quanto ci vuole a prepararsi a un nuovo anno per essere pronti a cogliere tutte le opportunità che ha da offrire? 5 minuti affogati in un flûte di plastica? Un paio d’ore per trasferire le date importanti da un’agenda all’altra? Una mezza giornata per mettere giù una bozza di pianificazione? Due giorni di mastermind intensivo? Una settimana di workshop? Per me vale tutto, ma quest’anno per diverse ragioni ho deciso di dedicare 45 giorni a mettere le basi del 2020. Questo post è per chi si vuole unire a me.

Da dove sono partita

Tutto è cominciato quando mi sono resa conto che a gennaio vado ad Atlanta (a fare questa cosa qui) e che dovrei arrivarci con alcune cose messe in ordine sul sito, nel mio branding e nel mio business model.

Ma da qui a gennaio lavorerò tutti i fine-settimana (con una eccezione), più tutti i giorni ai progetti lanciati in agenzia e ai piani di comunicazione 2020 per i clienti.

Un minuto dopo essermi accorta della situazione:

via GIPHY

Come spesso mi accade, è stato proprio in questo momento che mi sono detta: “perché non aiutarmi a portare a termine l’eroica impresa con una challenge di ispirazione?!” Cioè, in buona sostanza, aggiungendo un ulteriore impegno alla lista degli esistenti?

E così, per un misto di pazzia, puntiglio e intuizione, è nata l’idea di usare gli ultimi 45 giorni dell’anno per sistemare tutto quello che devo sistemare, ma facendo una sola, piccolissima cosa ogni giorno. E fotografandola su Instagram. Che ha il duplice beneficio di costringermi a farla dovendo mostrarne le cose, e animare il mio profilo dall’andamento vagamente discontinuo.

Come funzionerà

Dal 17 novembre, per 45 giorni, intraprenderò la mia pubblica impresa di azioni quotidiane per prepararmi a un anno che si annuncia assai strano e forse determinante.

Oggi su Instagram apparirà la grafica che riassume i 45 giorni, che chi vuole potrà usare anche come promemoria di dove seguire me e chiunque abbia deciso di aderire. Nel caso voi facciate parte di quelli che hanno voglia/bisogno di farsi spronare dal gruppo.

Le attività in elenco sono di sette tipi:

  • cose per stare bene di testa/cuore
  • cose da affrontare a piccoli passi
  • cose per semplificarsi la vita
  • cose per (ri)cominciare a creare
  • cose per stare bene di corpo
  • cose per badare ai soldi
  • cose per organizzare il lavoro

Sono le aree in cui ho bisogno di tenermi sveglia io, ma mi sono sforzata di renderle adatte a tutti.

Chiunque può partecipare

Infatti non bisogna avere un’attività, grandi progetti per il futuro o sogni nel cassetto per partecipare. Non serve neanche avere buoni propositi per l’anno nuovo, o essere il tipo di persona che li formula, per dire.

Per dirla tutta si può essere di qualsiasi genere/sesso/età/ecc. e in qualsiasi fase della propria vita, perché questa sfida non ha né un punto di partenza né un punto di arrivo prestabiliti.

La preparazione al nuovo anno secondo me ha senso se:

  1. scuote il nostro metabolismo di realtà, quindi il modo in cui digeriamo ciò che vediamo, viviamo, sentiamo
  2. ci allena ad affrontare l’esistenza con un senso di scopo

Insomma, non si tratta di controllare il futuro attraverso una pianificazione certosina, ma svegliarsi dal torpore del tran tran e recuperare consapevolezza dei propri desideri e della propria influenza.

Se ne sentite il bisogno, unitevi a me.

La challenge è terminata, ma se pensi di avere bisogno di un periodo di reset ora puoi scaricare gratuitamente la serie di suggerimenti e completare i quarantacinque giorni ogni volta che ne senti l’esigenza. Clicca qui per scaricare il quaderno.

C’è un hashtag da usare

Non per vezzo, ma per aiutare chi ne ha bisogno a sentirsi parte di un gruppo che insieme compie un’impresa.

Sono un tipo solitario (faccio da sola anche yoga) ma capisco che altre personalità possano sentire la necessità del “conforto del branco” o di un sistema di accountability. Per voi che siete così l’hashtag sarà un modo per sentirvi vincolat* da un impegno condiviso.

Per me sarà un modo per trovare ispirazione, quando ne sentirò il bisogno e scoprire come punti di vista diversi interpretino attività che di norma svolgo quasi in automatico.

L’hashtag è #45daysyearend. Non è facilissimo né originale, ma era libero e quindi me lo sono preso.

Le istruzioni arrivano per email

Se volete approfondire quello che sta dietro ogni azione giornaliera, niente paura. Ogni domenica a chi lo desidera manderò un messaggio email con un elenco delle attività per i sette giorni successivi e due righe di spiegazione per ciascuna. Dal secondo messaggio ci sarà anche un piccolo riassunto di come sono andati i sette giorni precedenti per me.

Saranno email molto brevi e pratiche, senza offerte di prodotti/servizi o altro, né bisogno di interagire. Saranno stampabili così potrete portarvi dietro gli appunti.

Potrete disiscrivervi dalle email in ogni momento o quando la sfida è finita, o continuare a ricevere mie notizie in futuro, se e quando deciderò di fare altre attività simili. Nell’ultima mail troverete tutte le informazioni per scegliere consapevolmente.

Vale tutto, anzi #valetutto

Non ci sono regole precise. Si può aderire per un giorno, cinque, tutti, nessuno e stare a guardare quel che succede.

L’unica vera regola è: non fatevi prendere da sensi di colpa e/o sensi di inadeguatezza se cominciate e poi abbandonate. Quel lunghissimo elenco là sopra è uno strumento: se serve lo usate, altrimenti scartatelo senza scrupoli.

Ultime cose

Già la sento arrivare la domanda: perché la grafica è in inglese? E anche l’hashtag?

La risposta è semplice: l’inglese è la lingua in cui mi organizzo, in cui faccio progetti, in cui spesso sogno, in cui scrivo più facilmente le idee creative che mi vengono. Ogni giorno su Instagram ci sarà anche la traduzione italiana dell’attività del giorno e ovviamente le email sono tutte in italiano. Ma grafica e hashtag restano in inglese.

Direi che è tutto. Se ci sono altre cose poco chiare, scrivetemi nei commenti o DM su Instagram, cercherò di rispondervi rapidamente.

Ci vediamo domenica!

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30 giorni per occuparmi di babepi mentre lavoro in agenzia

Agosto 30, 2019 da Barbara

babepi 30 day challenge

Il primo post del 2019 doveva essere questo, ma diverso. Mi ero ripromessa di raccontare come ho imparato (soprattutto dalla lettura di Leo Babauta) a scomporre grandi idee e obiettivi ambiziosi in piccoli tasselli praticabili e realistici. In particolare, come spesso 30 giorni di micro-attività quotidiane ci permettono di raggiungere traguardi che in partenza sembravano inarrivabili.

Poi all’inizio dell’anno all’elenco dei miei clienti si è aggiunta un’agenzia, che prima mi ha affidato un incarico su un cliente, e poi mi ha chiesto di unirmi alla squadra per un anno. Ho esaminato la proposta per tre lunghi giorni. Se da un lato i vantaggi di ricominciare a lavorare in un team complesso e stabile per me erano evidenti e preziosi (avere una struttura con competenze chiare mi permette di concentrarmi su quello che so fare meglio, un’agenzia mi offre l’opportunità di lavorare su progetti più elaborati, con prospettive diverse, ecc), dall’altro la mia grande preoccupazione era conservare spazio e tempo per babepi e per i miei progetti personali di lavoro.

La doppia vita del freelancer in agenzia

La condizione della libera professionista che collabora per la maggior parte del tempo lavorativo con un’unica entità ma continua ad avere una propria attività è molto frequente, e del perché possa essere una strada interessante e stimolante ha scritto anche Chiara Battaglioni su C+B.

Perché diciamolo, se volessimo chiudere partita IVA e farci assumere lo faremmo, in fondo tra i vantaggi di avere una certa anzianità c’è il fatto di essere nella posizione di negoziare. Ma a volte può valere la pena sfruttare questo potere di negoziazione per tenere viva un’attività che ci regala gioia e nella quale ancora vediamo prospettiva. Che è quello che ho fatto io, seguendo anche i consigli di Giuliana Laurita ascoltati l’anno scorso. Ho negoziato l’ingresso in agenzia con tempi che mi permettessero di portare a termine i lavori aperti, ma anche tenendomi giorni e flessibilità per progetti miei per tutta la durata del contratto.

Avere fatto con cura una pianificazione dei miei obiettivi personali e professionali per l’anno mi ha aiutato a identificare in anticipo quali potevano essere i margini di flessibilità di cui avevo bisogno, e un retreat che avevo già in programma per i primi giorni di aprile mi ha permesso di adattare l’organizzazione professionale che mi ero data per il 2019 alle nuove condizioni.

Tempo per fare e tempo per organizzare

Quello che, nella mia ingenuità, ho lasciato sfuggire all’applicazione quotidiana dei piani che avevo fatto, è stato il tempo che un’attività autonoma comporta per mantenere viva l’organizzazione e la pianificazione, insomma il lavoro on the business, invece che in the business.

Il lavoro in agenzia mi impegna dalle 130 alle 160 ore produttive al mese, il che significa che satura e spesso supera la settimana da 30 ore lavorative che avevo scelto come modello di lavoro quando ho ripreso le attività di babepi a pieno ritmo. A questo tempo effettivo si aggiunge ovviamente quello per i miei progetti personali, per prepararli e coltivarli. In questa matematica neanche tanto complessa, trovare il tempo per curare il dietro le quinte della mia libera professione, scrivere questo blog, finire di tradurre il sito… (e la lista potrebbe continuare) sembra impossibile.

Insomma, è il banco di prova ideale per una sfida da 30 giorni come quelle che ho imparato da Leo Babauta! Il che è perfetto e terribilmente meta, perché mi ha permesso di recuperare la bozza di questo pezzo come primo post della nuova stagione, e allo stesso tempo perché mi ha ricordato un semplice strumento per risolvere quello che per me era diventato un problema.

Un obiettivo concreto

Come si fa a mettere le basi di una grande impresa in soli 30 giorni? Si comincia con un obiettivo ambizioso sì, ma misurabile (in inglese S.M.A.R.T.: Specific, Measurable, Assignable, Realistic, Time-related). Il mio l’ho riassunto così:

ritagliare ogni giorno almeno 30 minuti alle mie attività di lavoro personali, per poter arrivare a inviare la mia prima newsletter mensile il 1 ottobre

Ho scelto questo obiettivo perché mi offre una deadline che è di per sé un premio. Alla fine prevedo di inviare una newsletter molto dinamica, corta e poco commerciale, giusto per attivare un dialogo con un potenziale pubblico che neanche so se esiste. Quindi in buona sostanza se ci riuscirò ne trarrò immediatamente benefici (tipo: scoprire se c’è un potenziale pubblico!).

Piccoli passi per grandi risultati

Ma un conto è formalizzare un obiettivo e un conto è capire cosa bisogna fare ogni giorno per arrivarci senza perdersi d’animo e soprattutto senza perdere di vista la fine. Il primo passo è ovviamente identificare tutte le tappe intermedie che ci possono portare dal punto zero al risultato. La fase successiva è identificare ulteriori tappe intermedie fino ad avere scadenze sufficientemente vicine da non farci perdere motivazione.

In mezzo a questa tabella di marcia di deadline intermedie ci deve poi essere spazio per il cambiamento di approccio necessario per raggiungere l’obiettivo. Perché se per raggiungere un obiettivo, tipo dimagrire 5 kg, per dire, fosse sufficiente puntare a perdere mezzo chilo a settimana… entrerei in una 44! Invece, dietro a ogni grande obiettivo che fino a quel momento non abbiamo raggiunto, c’è di norma un cambiamento di passo richiesto. Nel mio caso, come scrivevo prima, fare uno sforzo concreto per ritagliare spazio per le attività di babepi con una certa regolarità.

Del dettaglio di come funzioni mettere in atto un cambiamento attraverso il meccanismo delle abitudini ho già scritto per C+B. In pratica si tratta di “addomesticare il tuo corpo a compiere un’azione senza quasi pensarci” attraverso la ripetizione regolare di questa azione.

Nel mio caso, ecco un elenco delle attività settimanali che proverò a ripetere nel prossimo mese.:

  • sveglia tassativa alle 6 tutti i giorni feriali, alle 5 il martedì per fare spazio a 1 ora e mezza di scrittura sul blog. Conto di tornare a pubblicare un post ogni due settimane e siccome ho già l’elenco dei post fino a giugno, non dovrebbe essere difficile scriverli in 3 ore;
  • il lunedì mattina prima di uscire di casa dedico 30 minuti alla lettura di libri di aggiornamento;
  • il mercoledì mattina invece dedico lo stesso tempo a aggiornamenti al sito. Ho fatto un elenco su Trello per spuntare le attività;
  • tutti i giorni chiudo la giornata lavorativa con il controllo della mia email babepi e l’aggiornamento della pianificazione per la giornata per correre ai ripari se ci sono cambiamenti, e difendere le ore dedicate a babepi, recuperandole;
  • cerco di pubblicare un post su Instagram ogni giorno feriale, ma mi sono concessa che sia la prima cosa che salta perché ho promesso a me stessa anni fa che non avrei più pubblicato contenuti social solo per esigenze di piano editoriale o strategia. È la mia piccola ribellione;
  • tutti i giorni vado al lavoro in bici e lungo il percorso ascolto podcast rigorosamente ludici. Tipo scripted series (la versione podcast dei vecchi sceneggiati radio) o cose di lifestyle (cosmetici, costume, moda). Così libero la mente da pensieri professionali e sopporto meglio il carico di ore;
  • faccio la pausa pranzo fuori ufficio almeno tre giorni a settimana, almeno una volte alla settimana vado in biblioteca, dove c’è un bel chiostro dove mangiare e poi posso entrare a leggere. È un ottimo modo per resettare la testa a metà giornata e tenere alta la produttività nel pomeriggio;
  • dedico il sabato mattina alla parte admin, con due ore bloccate in agenda, cascasse una pannocchia.

Sembrano millemila cose, ma molte sono semplice applicazione consapevole di azioni che avevo già cominciato a intraprendere. Ho già cominciato questa settimana, con una specie di “riscaldamento”, anche per testare la fattibilità della mia idea. Diciamo che considerato che si trattava della settimana del rientro è andata abbastanza bene, mi sa che nelle Storie di Instagram vi aggiornerò di come andrà in futuro.

E questo è quanto. Sono tornata.

Immagine di copertina di Jordan Whitfield/Unsplash.

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