
Il 2020 è iniziato da qualche giorno e… cavoli, è stato un anno lunghissimo!
Ho letto questa battuta alcune settimane fa e mi ci sono riconosciuta completamente. Non solo perché ho cominciato a scrivere questo post da un fuso orario diverso dal mio, nel mezzo di un’avventura incredibile e francamente trasformativa, ma perché mai come nel 2020 un anno è partito con così tanti cambiamenti nella mia vita professionale.
Ne scriverò sicuramente nelle prossime settimane, poco alla volta (sì, lo prometto, il diario riprenderà vita), nel frattempo durante le vacanze invernali mi sono riguardata un paio di episodi di Interior Design Masters e ho recuperato gli appunti della prima visione.
Perché ne parlo? Perché alla maniera dei primi reality britannici a tema interni, anche questo mi ha lasciato con tantissime idee e riflessioni.
Un reality show di arredamento e creatività
La prima stagione di Interior Design Masters è arrivata su Netflix International (quindi ovunque salvo che in Regno Unito, dove era ancora visibile sul canale co-produttore BBC) il 18 ottobre 2019, e io me la sono vista interamente in due giorni.
Due giorni godibilissimi, devo dire, per due motivi. Il primo è molto personale, ma il secondo credo abbia una valenza un po’ più universale.
Michelle Ogundhein a giudicare i partecipanti
Credo che la scelta di chiamare Michelle Ogundhein a fare da giudice sia stata determinante per la qualità del programma. Forse sono di parte, visto che seguo e ammiro Ms Ogundehin da oltre dieci anni, da quando è diventata direttore di Elle Decoration UK. Ora non lo è più, ma i suoi editoriali mensili erano un mix ispirato di emozione e istinto per il buon design, e li ho conservati quasi tutti.
A dirla tutta ho anche già pre-ordinato il suo primo libro che promette di essere un distillato di quegli editoriali.
Lo stesso equilibrio tra sensibilità sincera e acume per ciò che funziona commercialmente nel mondo dell’arredo che c’era dentro, è secondo me alla base dei momenti migliori di Interior Design Masters. Ms Ogundehin riesce infatti a impartire ai partecipanti alcune lezioni molto dirette e determinanti, pur mostrando empatia e apprezzamento per la loro passione, i loro sforzi e il loro percorso di crescita.
Guardare il programma diventa così un’opportunità di crescita per chiunque lavori in un settore commerciale e abbia un approccio creativo.
Lezioni di business per creativi
Il secondo motivo per cui Interior Design Masters è un programma interessante infatti, è che la maggior parte dei consigli e delle lezioni impartite ai partecipanti al programma funzionano per qualsiasi professionista creativo che lavori per una committenza.
‘Ascolta il cliente’, ‘ricorda che il progetto deve funzionare per chi lo vive’, ‘la risposta migliore al brief non è necessariamente uno stile che porta l’impronta riconoscibile del designer’, sono solo alcuni degli elementi con cui dobbiamo venire a patti tutti, prima o poi.
E che tantissimi professionisti creativi (designer, architetti, arredatori, stylist) tendono a rifiutare, finendo a volte per realizzare progetti che semplicemente non soddisfano le condizioni del brief. O che non sopravvivono oltre le pagine dei giornali o del primo servizio fotografico.
In Interior Design Masters non si fanno sconti a questi errori, che finiscono per costare la vittoria ad alcuni designer creativamente in gamba. E io questa cosa l’ho adorata.
Quello che invece mi ha lasciato perplessa è come i team abbiano affrontato alcuni problemi creativi…
Problemi creativi e soluzioni meno noiose
Ci sta, che per generare conflitto e interesse nella storia si inseriscano passi falsi ed errori grossolani nella scrittura di un programma. Ma che fastidio quando un programma è fatto bene eppure certi dilemmi creativi vengono risolti in modo noioso e poco efficiente! Il lato positivo è che se ne può scrivere in un post, facendone un esercizio alla ricerca soluzioni più furbe!
Qui di seguito elenco tutti i dilemmi di questo tipo, proponendo l’approccio con cui li avrei affrontati e la soluzione che avrei preferito. Sia chiaro, non pretendo che la mia sia quella ideale, ma trovo che la semplice riflessione possa essere utile a chiunque stia per affrontare un progetto di interni.
Episodio uno – le case da esposizione
Problema: creare interni allestiti con cura e che suscitino nel visitatore il desiderio di possederli e di viverci, senza farlo sentire in soggezione.
Come lo affronterei: nei progetti di questo tipo l’ego deve rimanere alla porta. Non stiamo disegnando una casa per un proprietario che vuole vantarsene con gli amici, stiamo progettando uno spazio che faccia venire voglia a quante più persone possibili di dire: “lo voglio!”. Quindi, fatalmente, questo tipo di design non può che essere un po’ scontato e molto commerciale.
La mia soluzione: eppure, anche rispondendo agli obiettivi commerciali di questo tipo di progetti, è possibile essere creativi. Basta applicare l’ingegno in modo diverso. Invece che inventarsi stanze da museo, ha senso costruire una palette solida e declinabile in modo sottile ma riconoscibile attraverso tutte le stanze. È utile identificare pezzi forti e ben riconoscibili e poi costruirci intorno allestimenti che li esaltino, ma che possano essere intercambiabili. Per esempio: una composizione di divano a due posti e due poltrone da conversazione è un punto focale importante e facilmente replicabile. Scegliendo cuscini foderati di lino, un plaid tricot bianco, punti luce in carta e bambù, un tappeto a stuoia e un tavolino di legno sbiancato se ne può fare un interno naturale e femminile. Ma una combinazione di cuscini/plaid/punti luce/tappeto/tavolino in materiali e colori diversi permetterebbe a chiunque di fare propria quella stanza.
Episodio tre – il negozio di skateboard
Problema: come fare a esporre il maggior numero di prodotti (come richiesto dal proprietario del negozio) senza ottenere un’esposizione disordinata e affollata?
Come lo affronterei: quando un cliente pretende una soluzione palesemente poco pratica e contraria al buon senso la mia prima reazione è sempre cercare di capire il motivo della richiesta. Quali priorità cela, che magari il cliente dà per scontate o non ritiene informazioni importanti? Che ragionamento ha fatto il cliente per giungere alla conclusione che quello che gli serve sia proprio questo? Nel caso specifico il negozio di skateboard era famoso per l’ampiezza del proprio assortimento, e il proprietario era convinto che per soddisfare questa aspettativa tutto l’assortimento dovesse essere a vista.
La mia soluzione: in realtà, per mostrare a clienti e potenziali clienti l’ampiezza del proprio assortimento è possibile e spesso consigliabile ricorrere a un approccio museale. Curare l’allestimento e l’organizzazione lasciando che lo showroom esponga un elemento per ogni prodotto e riponendo lo stock (taglie e varianti colore) in magazzino o in contenitori chiusi. Per esempio, le rotelle di ricambio per le tavole in vendita nel negozio mostrato nel programma potrebbero essere organizzate in cassettiere simili a quelle usate nelle mercerie. Il tipo di rotella riposto in ciascun cassetto potrebbe essere usato per creare la maniglia del cassetto. In questo modo il cliente a colpo d’occhio vedrebbe tutte le rotelle, ma l’esposizione sarebbe creativa e organizzata.
Episodio quattro – i dormitori
Problema: come far funzionare dei contenitori versatili in uno spazio ristretto?
Come lo affronterei: la risposta è sempre nella committenza, secondo me. In questo caso poi la committenza è davvero particolare, perché si parla di studenti che probabilmente vivono fuori casa per la prima volta, che forse non hanno neanche idea di cosa gli serva/piaccia. Le domande “Cosa può essergli utile?” e “Come vivono?” sono cruciali e devono procedere di pari passo.
La mia soluzione: l’idea dei letti su cassoni alti è molto furba… ma solo se i cassoni sono poi super accessoriati con cassetti profondi, ripiani nascosti da ante, carrelli su rotelle che scorrono con facilità con maniglie comode e multifunzione.
Tutti gli episodi
Problema: come dipingere rapidamente complementi e arredi senza fare compromessi sulla resa del lavoro?
Come lo affronterei: valutando e gestendo con cura le priorità.
La mia soluzione: la cosa che mi ha fatto andare ai matti guardando l’intera serie è stato vedere la quantità di pittura fatta a pennello quando la pittura spray sarebbe stata una soluzione molto più rapida ed efficace. Usare un pennello (e il pennello giusto) è la soluzione ideale per in tutti i casi in cui le superfici siano di ampiezza limitata e/o ci siano molti dettagli da dipingere. Ma bisogna avere anche il giusto tempo per lasciare riposare e asciugare il lavoro. Se invece bisogna dipingere in una tinta unica diversi complementi il colore spray è la risposta giusta. Pensaci, Frank, con la pittura spray avresti potuto avere il lampadario che volevi nel soggiorno country, invece di dover piegarti al paralume in rattan di Cassie!
E questo è quanto, per questo primo articolo del 2020.
Cosa significa per il blog nel resto dell’anno? Be’, diciamo che spero di riuscire a pubblicare un nuovo articolo più o meno ogni due settimane. Cercherò di scrivere di diversi argomenti, con un buon equilibrio tra storie utili e storie un po’ più personali intorno a riflessioni di diversa natura. Come questa, che tuttavia spero possa essere utile a qualcuno là fuori.
Cosa non dovete aspettarvi di trovare nel blog:
- retorica;
- un discorso intimo in stile ‘caro lettore’. Non ho idea di chi siate là fuori e mi sa che sarebbe ipocrita far finta di conoscervi un* per un*, quindi mi rivolgerò a voi al plurale.
La verità è che spero mi sorprendiate, se mai ci incontreremo IRL.