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obiettivi

30 giorni per occuparmi di babepi mentre lavoro in agenzia

Agosto 30, 2019 da Barbara

babepi 30 day challenge

Il primo post del 2019 doveva essere questo, ma diverso. Mi ero ripromessa di raccontare come ho imparato (soprattutto dalla lettura di Leo Babauta) a scomporre grandi idee e obiettivi ambiziosi in piccoli tasselli praticabili e realistici. In particolare, come spesso 30 giorni di micro-attività quotidiane ci permettono di raggiungere traguardi che in partenza sembravano inarrivabili.

Poi all’inizio dell’anno all’elenco dei miei clienti si è aggiunta un’agenzia, che prima mi ha affidato un incarico su un cliente, e poi mi ha chiesto di unirmi alla squadra per un anno. Ho esaminato la proposta per tre lunghi giorni. Se da un lato i vantaggi di ricominciare a lavorare in un team complesso e stabile per me erano evidenti e preziosi (avere una struttura con competenze chiare mi permette di concentrarmi su quello che so fare meglio, un’agenzia mi offre l’opportunità di lavorare su progetti più elaborati, con prospettive diverse, ecc), dall’altro la mia grande preoccupazione era conservare spazio e tempo per babepi e per i miei progetti personali di lavoro.

La doppia vita del freelancer in agenzia

La condizione della libera professionista che collabora per la maggior parte del tempo lavorativo con un’unica entità ma continua ad avere una propria attività è molto frequente, e del perché possa essere una strada interessante e stimolante ha scritto anche Chiara Battaglioni su C+B.

Perché diciamolo, se volessimo chiudere partita IVA e farci assumere lo faremmo, in fondo tra i vantaggi di avere una certa anzianità c’è il fatto di essere nella posizione di negoziare. Ma a volte può valere la pena sfruttare questo potere di negoziazione per tenere viva un’attività che ci regala gioia e nella quale ancora vediamo prospettiva. Che è quello che ho fatto io, seguendo anche i consigli di Giuliana Laurita ascoltati l’anno scorso. Ho negoziato l’ingresso in agenzia con tempi che mi permettessero di portare a termine i lavori aperti, ma anche tenendomi giorni e flessibilità per progetti miei per tutta la durata del contratto.

Avere fatto con cura una pianificazione dei miei obiettivi personali e professionali per l’anno mi ha aiutato a identificare in anticipo quali potevano essere i margini di flessibilità di cui avevo bisogno, e un retreat che avevo già in programma per i primi giorni di aprile mi ha permesso di adattare l’organizzazione professionale che mi ero data per il 2019 alle nuove condizioni.

Tempo per fare e tempo per organizzare

Quello che, nella mia ingenuità, ho lasciato sfuggire all’applicazione quotidiana dei piani che avevo fatto, è stato il tempo che un’attività autonoma comporta per mantenere viva l’organizzazione e la pianificazione, insomma il lavoro on the business, invece che in the business.

Il lavoro in agenzia mi impegna dalle 130 alle 160 ore produttive al mese, il che significa che satura e spesso supera la settimana da 30 ore lavorative che avevo scelto come modello di lavoro quando ho ripreso le attività di babepi a pieno ritmo. A questo tempo effettivo si aggiunge ovviamente quello per i miei progetti personali, per prepararli e coltivarli. In questa matematica neanche tanto complessa, trovare il tempo per curare il dietro le quinte della mia libera professione, scrivere questo blog, finire di tradurre il sito… (e la lista potrebbe continuare) sembra impossibile.

Insomma, è il banco di prova ideale per una sfida da 30 giorni come quelle che ho imparato da Leo Babauta! Il che è perfetto e terribilmente meta, perché mi ha permesso di recuperare la bozza di questo pezzo come primo post della nuova stagione, e allo stesso tempo perché mi ha ricordato un semplice strumento per risolvere quello che per me era diventato un problema.

Un obiettivo concreto

Come si fa a mettere le basi di una grande impresa in soli 30 giorni? Si comincia con un obiettivo ambizioso sì, ma misurabile (in inglese S.M.A.R.T.: Specific, Measurable, Assignable, Realistic, Time-related). Il mio l’ho riassunto così:

ritagliare ogni giorno almeno 30 minuti alle mie attività di lavoro personali, per poter arrivare a inviare la mia prima newsletter mensile il 1 ottobre

Ho scelto questo obiettivo perché mi offre una deadline che è di per sé un premio. Alla fine prevedo di inviare una newsletter molto dinamica, corta e poco commerciale, giusto per attivare un dialogo con un potenziale pubblico che neanche so se esiste. Quindi in buona sostanza se ci riuscirò ne trarrò immediatamente benefici (tipo: scoprire se c’è un potenziale pubblico!).

Piccoli passi per grandi risultati

Ma un conto è formalizzare un obiettivo e un conto è capire cosa bisogna fare ogni giorno per arrivarci senza perdersi d’animo e soprattutto senza perdere di vista la fine. Il primo passo è ovviamente identificare tutte le tappe intermedie che ci possono portare dal punto zero al risultato. La fase successiva è identificare ulteriori tappe intermedie fino ad avere scadenze sufficientemente vicine da non farci perdere motivazione.

In mezzo a questa tabella di marcia di deadline intermedie ci deve poi essere spazio per il cambiamento di approccio necessario per raggiungere l’obiettivo. Perché se per raggiungere un obiettivo, tipo dimagrire 5 kg, per dire, fosse sufficiente puntare a perdere mezzo chilo a settimana… entrerei in una 44! Invece, dietro a ogni grande obiettivo che fino a quel momento non abbiamo raggiunto, c’è di norma un cambiamento di passo richiesto. Nel mio caso, come scrivevo prima, fare uno sforzo concreto per ritagliare spazio per le attività di babepi con una certa regolarità.

Del dettaglio di come funzioni mettere in atto un cambiamento attraverso il meccanismo delle abitudini ho già scritto per C+B. In pratica si tratta di “addomesticare il tuo corpo a compiere un’azione senza quasi pensarci” attraverso la ripetizione regolare di questa azione.

Nel mio caso, ecco un elenco delle attività settimanali che proverò a ripetere nel prossimo mese.:

  • sveglia tassativa alle 6 tutti i giorni feriali, alle 5 il martedì per fare spazio a 1 ora e mezza di scrittura sul blog. Conto di tornare a pubblicare un post ogni due settimane e siccome ho già l’elenco dei post fino a giugno, non dovrebbe essere difficile scriverli in 3 ore;
  • il lunedì mattina prima di uscire di casa dedico 30 minuti alla lettura di libri di aggiornamento;
  • il mercoledì mattina invece dedico lo stesso tempo a aggiornamenti al sito. Ho fatto un elenco su Trello per spuntare le attività;
  • tutti i giorni chiudo la giornata lavorativa con il controllo della mia email babepi e l’aggiornamento della pianificazione per la giornata per correre ai ripari se ci sono cambiamenti, e difendere le ore dedicate a babepi, recuperandole;
  • cerco di pubblicare un post su Instagram ogni giorno feriale, ma mi sono concessa che sia la prima cosa che salta perché ho promesso a me stessa anni fa che non avrei più pubblicato contenuti social solo per esigenze di piano editoriale o strategia. È la mia piccola ribellione;
  • tutti i giorni vado al lavoro in bici e lungo il percorso ascolto podcast rigorosamente ludici. Tipo scripted series (la versione podcast dei vecchi sceneggiati radio) o cose di lifestyle (cosmetici, costume, moda). Così libero la mente da pensieri professionali e sopporto meglio il carico di ore;
  • faccio la pausa pranzo fuori ufficio almeno tre giorni a settimana, almeno una volte alla settimana vado in biblioteca, dove c’è un bel chiostro dove mangiare e poi posso entrare a leggere. È un ottimo modo per resettare la testa a metà giornata e tenere alta la produttività nel pomeriggio;
  • dedico il sabato mattina alla parte admin, con due ore bloccate in agenda, cascasse una pannocchia.

Sembrano millemila cose, ma molte sono semplice applicazione consapevole di azioni che avevo già cominciato a intraprendere. Ho già cominciato questa settimana, con una specie di “riscaldamento”, anche per testare la fattibilità della mia idea. Diciamo che considerato che si trattava della settimana del rientro è andata abbastanza bene, mi sa che nelle Storie di Instagram vi aggiornerò di come andrà in futuro.

E questo è quanto. Sono tornata.

Immagine di copertina di Jordan Whitfield/Unsplash.

Archiviato in:cose di organizzazione Contrassegnato con: motivazione, obiettivi

Il momento migliore per fare planning

Dicembre 21, 2018 da Barbara

diario di babepi | fare planning

“Ma tu che organizzi sempre tutto, quando pensi sia meglio fare il planning professionale?” È una domanda che mi sono sentita fare spesso. In qualche occasione ho dato anche rapide risposte, di quelle semplici e poco complicate che ci piacciono tanto, ma che non sono mai la risposta veramente giusta. Perché la realtà è raramente semplice e spesso parecchio incasinata. Siccome dicembre è per me effettivamente un mese di planning ho deciso di scrivere un post per dare quella risposta che non ho mai tempo di dare e la gente di sentirsi dire.

La verità è che il momento migliore per fare planning non esiste. Potrebbe essere uno qualsiasi e sicuramente varia a seconda della persona, di quello che fa, e del momento della vita in cui si strova.

Per essere maggiormente utile e chiara ho deciso di delineare alcuni scenari.

Pianificazione da calendario italiano di una persona con figli

Quando si hanno bambini in età scolare (cioè fino ai 18 anni circa, di fatto) ci sono di solito tre momenti in cui è conveniente fare bilanci e in cui si ha più possibilità di trovare il tempo e la tranquillità necessari per fare programmi a lungo termine, e questi tre momenti coincidono con le ferie scolastiche: Pasqua, vacanze estive, vacanze Natalizie.

Coincidentalmente trovo che siano tre momenti che si prestino discretamente bene anche al calendario fiscale italiano:

  • a dicembre si chiude la contabilità dell’anno ed è possibile fare bilanci e decidere correzioni e cambi di rotta per l’anno successivo. È il momento ideale per fissare obiettivi di vendita e pietre miliari dell’anno successivo. Il planning di dicembre è di solito ricco di riflessioni, che sono spesso più accurate del solito perché beneficiano di 12 mesi pieni di dati che si prestano a rappresentare un anno tipo di attività. È il momento giusto per sognare in grande in termini di pianificazione e di obiettivi a lungo termine. Anche perché di solito tutto si ferma intorno a noi (professionalmente parlando) e abbiamo modo di passare tempo con chi amiamo e chi ci ama veramente, un ottimo promemoria delle priorità sostanziali;
  • a marzo/aprile viene naturale mettere mano ai macro-obiettivi ambiziosi dell’anno e rimetterli in ordine sulla base dei feedback ottenuti nel primo trimestre. Io per esempio considero aprile un mese di pausa dalle attività giornaliere/settimanali legate ai miei macro-obiettivi, sospendo le mie sequenze di abitudini per dare spazio a verifiche e un po’ di sano “go with the flow” che mi permette spesso di capire quanto le abitudini si siano radicate, siano ancora una lotta o semplicemente non siano davvero adatte a me;
  • ad agosto, di nuovo complice la sospensione lavorativa, funziona benissimo fare un pre-bilancio dell’anno per intervenire correttivamente sugli obiettivi di vendita. Non solo, agosto per me è anche l’occasione per una specie di pre-planning dell’anno successivo, con gli ultimi 3-4 mesi dell’anno dedicati a testare le potenzialità di eventuali cambi di rotta o a lanciare attività specifiche sulla base di quanto mi sono goduta i primi due terzi dell’anno.

Va da sé che se si opera nel commercio, per esempio, o nell’insegnamento, questa calendarizzazione non regge altrettanto bene e va senz’altro adattata ai ritmi diversi. Ma lì si torna a monte: come tutte le cose importanti, il momento per fare planning dipende.

La pianificazione situazionale

Al di là dei mesi di calendario, i momenti migliori per fare planning secondo me sono anche quelli in cui ne sorge l’esigenza per contingenza.

  • quando succede qualcosa di drammatico nella tua vita, in positivo o in negativo, è demenziale pensare di poter proseguire come se nulla fosse con i piani progettati in condizioni drasticamente diverse. Più ancora che demenziale è pericoloso e rischia di farti trovare impreparata alle conseguenze di ciò che è successo. Per questo quando si verifica un evento che stravolge i propri ritmi bisognerebbe fermarsi sempre e rivalutare qualsiasi piano si è fatto, partendo da quelli a breve-medio termine. Il distacco forzato che questa pianificazione richiede è anche un ottimo modo per affrontare il tutto senza farsi prendere eccessivamente da emotività e sconforto;
  • quando il nostro corpo ci lancia segnali di allerta, fisici o psicologici, vale sempre la pena ascoltarsi e fermarsi a rivalutare una pianificazione che magari è stata fatta sulla base di condizioni ideali, ma che così com’è non è effettivamente sostenibile;
  • quando si inizia un nuovo ciclo è utile inaugurare una nuova pianificazione per poter affrontare questo ciclo con obiettivi adeguati;
  • ogni volta che si ha tempo per un reset anche minimo è utile rimettere mano a qualsiasi planning che si è impostato per verificare se e come funziona.

I malintesi della pianificazione

Quale che sia il momento in cui si decide di mettere mano al planning ci sono alcuni malintesi diffusi a cui si dovrebbe cercare di sfuggire:

  1. “le pianificazioni impostate vanno seguite alla lettera” – FALSO! Al contrario un buon planning, a qualsiasi livello, è più uno schema di riferimento, una mappa che permette di mettere in ordine di priorità le attività che dobbiamo o vogliamo compiere. È anche un ottimo metodo per automatizzare tutte le attività indispensabili e ripetitive (amministrative o tecniche) che tendiamo a dare per scontate, e che quindi è facile trascurare o dimenticare di fronte agli imprevisti;
  2. “pianifico tutto per evitare imprevisti” – FALSISSIMO! Gli imprevisti non sono (salvo rari casi) evitabili proprio perché non sono prevedibili. Gli imprevisti sono per definizione ineludibili, avvengono, che lo si voglia o no. Una pianificazione fatta bene ha l’obiettivo di farti trovare pronta quando gli imprevisti arrivano, perché ti ha permesso di svolgere le attività fondamentali e tenere in ordine la tua attività, liberandoti tempo per affrontare gli imprevisti senza paura di perdere di vista il resto;
  3. “il planning è uno strumento di lavoro, nella vita non ne ho bisogno” – Perché? Il tuo lavoro di cosa fa parte? Della vita di qualcun altro?! Pensare che solo le attività strettamente professionali abbiano bisogno di essere organizzate è come minimo ingenuo. Nessuno ti obbliga ad avere un piano quinquennale per tutta la famiglia che descriva come e dove vivrete tra x anni, ma nel momento stesso in cui imposti una pianificazione di attività ed eventi professionali dovresti tenere sotto mano anche una pianificazione personale. Per chi ha esseri umani con cui convivere o che dipendono da sé questo concetto è di solito ovvio. Ma anche se si vive soli, non si ha una relazione stabile né progetti di “mettere su famiglia” (come orrendamente dicono le nonne), i piani che si mettono nero su bianco per il lavoro incidono sulla propria esistenza. Se non ti sei chiesta in anticipo quanto tempo libero vuoi nell’anno, cosa è importante per te, cosa vuoi fare della tua vita personale, come pensi di poter imbastire un piano lavorativo che si fonda sulle energie che ci puoi investire e sulla tua capacità di concentrarti?

Io faccio così

Lead by example (letteralmente “guida con il tuo esempio”) è una di quelle cose che non mi riesce per nulla facile fare. Da eccellente teorica e ricercatrice, sono più del genere “fai come dico non come faccio”, eppure la pianificazione è ancora un’attività che non solo pratico attivamente, ma che mi aiuta anche tantissimo. Negli anni ho oliato i meccanismi, ancora faccio ricerche su nuovi strumenti/sistemi almeno una volta all’anno, ma nel complesso ho creato un sistema che per me funziona perché non solo è praticabile, ma produce piani che trovo semplice seguire.

Io, dunque, faccio così:

  1. parto dai miei obiettivi complessivi, quelli che investono ogni sfera della mia esistenza, dalla salute agli affetti, dal tempo libero al lavoro. Affrontare così la pianificazione mi permette di mettere tutto in prospettiva e assicurarmi che io non prenda decisioni dettate dalla bolla o dal contesto, ma fondate su priorità profonde e personali;
  2. il lavoro preparatorio che faccio sugli obiettivi è fondato sul processo ideato da Lara Casey a completamento dei suoi Powersheets. Come ogni anno è da pochi giorni partita la sua serie di post sull’argomento e se non sapete da che parte cominciare vi consiglio di seguirla perché è utile a prescindere dallo strumento fisico che poi usate. In effetti basta avere carta e penna. Io personalmente non lo seguo alla lettera, ho imparato a prendere le parti che preferisco e sicomme la fede religiosa non è un elemento guida del mio processo mi sono ritagliata una versione laica che funziona al meglio per me. Quest’anno l’ho stampata in un fascicolo che vi mostro nei prossimi giorni nelle Storie di Instagram. Non uso più i Powersheets dopo averli comprati per anni e nonostante siano anche graficamente un prodotto spettacolare, semplicemente perché ho preferito integrare molti degli strumenti (in particolare la Tending List) direttamente nell’agenda che mi disegno da due anni;
  3. una volta identificati i macro-obiettivi dell’anno che verrà (di solito sono dai 5 ai 9) li divido in micro-attività, alcune una tantum mensili, altre regolari settimanali, altre ancora giornaliere, che riguardano le abitudini da costruire per concorrere al raggiungimento degli obiettivi o piccoli task non ripetitivi che costruiscono i macro-obiettivi. Fatto il brainstorming delle micro-attività le metto in ordine di priorità e/o di cronologia procedurale in modo che siano pronte ad essere inserite in agenda;
  4. è in questa fase che esamino con più attenzione gli obiettivi che fanno parte della sfera prettamente professionale e li trasformo in un pianificazione strategica, con obiettivi di fatturato, prodotti/servizi da sviluppare, strategie di lancio e di marketing. Di solito per questa parte uso uno strumento di planning professionale americano, tra diversi che negli anni ho testato. Vario spesso, ma in tutta onestà sono tutti abbastanza simili;
  5. di solito alla fine del mese precedente l’inizio dell’anno (e poi sempre alla fine di ogni mese) inserisco in agenda le attività ottenute dal lavoro su tutti gli obiettivi (personali e professionali). È un’occasione in cui compilare anche una pagina di bilancio mensile che ho disegnato per la mia agenda, in modo da verificare se le attività settimanali/mensili/giornaliere da inserire per il mese successivo sono effettivamente quelle che avevo indicativamente previsto. Nell’anno identifico sempre anche tre mesi (aprile, agosto e dicembre) di refresh in cui non inserisco attività programmate se non alcuni momenti di: revisione obiettivi, decluttering e aggiustamenti alla pianificazione professionale;
  6. questo planning complessivo infine si innesta sul mio schema della settimana ideale che visualizzo con una bacheca Trello (che trovate qui, se volete copiare. Ho tolto le cose più specifiche giusto per renderla più utile). Non è mica che io lo segua alla perfezione, eh. Ma ho programmato l’apertura della desktop app Trello al login su questa finestra e la tengo sullo sfondo qualsiasi cosa stia facendo nell’arco della giornata. È un ottimo modo per rimanere *abbastanza* in riga.

Infine, un ultimo consiglio. La pianificazione per ovvi motivi è un processo molto personale, ma se lavorate insieme a qualcuno, che sia un team o un/a partner occasionale, vale la pena prevedere anche una fase di planning comune. Quest’anno per esempio io ho dedicato due giorni di dicembre a una specie di planning retreat con l’amica/collega con cui condivido quasi il 70% del lavoro. Abbiamo compilato insieme ciascuna il proprio planning e stabilito obiettivi strategici comuni che si integrino con le considerazioni personali di ciascuna, in modo che il lavoro che faremo insieme sia organico e compatibile rispetto ai nostri obiettivi personali.

E questo è tutto dal 2018. Ci rivediamo qui l’anno prossimo. Non vi faccio gli auguri, ma fate tanto casino nel frattempo, mi raccomando!

Immagine di copertina di Tirza van Dijk/Unsplash.

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