• Passa al contenuto principale
  • Passa al piè di pagina

babepi

styling• strategy • teaching

  • Barbara
    • FAQ
  • Cosa faccio
    • Stile
    • Strategia
    • Formazione
    • Lifestyle Design
    • 1 ora di me
  • Il mio blog
  • Dove trovarmi
    • Newsletter
    • Privacy policy
    • Termini e condizioni
  • English

pianificazione

Sopravvivere a settembre con organizzazione e consapevolezza

Settembre 20, 2021 da Barbara

Come ho scritto l’altro giorno su LinkedIn, “Settembre in Italia è quel mese in cui succede tutto e tuttз si aspettano un pezzetino delle tue giornate”. La situazione si ripete ogni anno ma ti assicuro che è possibile sopravvivere a settembre senza perdere opportunità di lavoro o rinunciare al tempo libero.

Chiaramente, siccome sono io che scrivo, la ricetta per riuscirci è una serena consapevolezza dei propri limiti e delle proprie priorità e un’organizzazione rigorosa per difendere le seconde entro i primi.

Per esempio, questo post era previsto nel mio piano editoriale per il 27 agosto. Quando mi sono resa conto di quanti aggiustamenti richiedeva il rientro l’ho messo in pausa e riprogrammato per fare spazio ad attività più importanti.

Ecco la prima lezione sull’organizzazione richiesta da settembre. Non ha senso fare piani troppo rigidi perché questo mese genera un vortice di entropia che trascende i limiti di calendario!

Ci sono diversi motivi per cui succede:

  • in tutta Italia agosto è considerato un mese di vacanze. La conseguenza è che a settembre tuttз arrivano coi sensi di colpa e di urgenza per essersi presз una pausa, e con l’arroganza di trasferire quei sensi di colpa su di te. Sicuramente anche tu non hai fatto niente per un mese quindi adesso devi correre. Ora, subito, per loro. Insomma, settembre diventa 30 giorni in cui fare rientrare il lavoro di 61;
  • sul mese poi aleggia un caratteristico mood dolce-amaro. Un misto di ansia da prestazione per i buoni propositi (andare in palestra, vedere più mostre ecc) e felicità al pensiero di rivedere persone che magari senti di aver trascurato nel precedente anno ‘scolastico’. Col risultato che tendi a tramutare il meme ‘ne riparliamo a settembre’ in un’agenda di impegni sociali estenuante e francamente impraticabile;
  • infine, se hai figlз c’è tutta la parte di admin richiesta dalla ripartenza dell’anno scolastico (incluse scelte sportive, iscrizioni, riunioni, acquisti e aggiustamenti), in orari che sulla carta si vorrebbero compatibili con l’orario di lavoro deз genitorз ma che spesso costringono a prendere permessi e limitare la disponibilità per le riunioni.

Aggiungiamo che questo è il mese del cambio delle temperature, anche nel nuovo corso dell’emergenza climatica, con corollario di energie in calo e piccoli malanni (anche in condizioni pre-Covid) e ciao, la tempesta perfetta è qui.

Come è possibile difendersi?

La parola d’ordine è consapevolezza

Settembre è orribile ogni anno, non ha senso farsi illusioni che la situazione migliori.

Il mio modo per fare tesoro di questa consapevolezza è metterla a terra sull’agenda. La prima cosa che faccio quando ricevo l’agenda di un nuovo anno è proprio inserire scritte giganti nei mesi di settembre e dicembre per ricordarmi che sono mesi che partono come già pieni di impegni.

Questi 30 giorni non sono effettivamente tutti disponibili. Con questa consapevolezza non programmo mai lanci di nuovi prodotti e/o servizi in questo periodo e limito gli eventi sociali personali a uno a settimana.

Inoltre pianifico l’autunno complessivamente e a partire dall’inizio di agosto. Questo mi permettere di anticipare una serie di impegni e attività preparatorie, e posticipare da subito altri impegni a partire da ottobre.

Per esempio: questo blogpost programmato a inizio anno aveva un argomento non essenziale (quindi se fosse saltato non ci sarebbero state conseguenze per il mio piano strategico). Per questo a inizio agosto l’ho messo in pausa. Non solo, il corso in aula sugli obiettivi per Sistema Training non parte a settembre ma a ottobre.

‘Consapevolezza’ vuol dire anche conoscerti

Settembre è quel che è, ma tu, come sei fattǝ? Come ci arrivi, che esigenze hai, che desideri, impegni, situazioni?

Conoscere tutti questi aspetti può aiutarti a prevenire e curare insieme, magari decidendo che le ferie le fai proprio a settembre, tutto il mese. Con buona pace deз clienti italianз, a cui ovviamente spiegherai per tempo la cosa organizzando il lavoro di conseguenza.

Ma anche conoscere le esigenze del tuo corpo è importante. Se sai che hai un calo di energie proprio in questo periodo potrai organizzarti col tuo medico curante già a luglio per farti prescrivere integratori. Potresti avere bisogno di passare più tempo all’aria aperta per controbilanciare le full immersion al lavoro, organizzati passeggiate nel fine settimana.

… e avere chiare le tue priorità

Se la tua vita e il tuo benessere richiedono che tu dorma otto ore per notte con regolarità è inutile mettere in cantiere giornate lavorative di 14 ore. Così come ci sono attività e incarichi lavorativi (e sì, persino clienti) che sono più importanti per te. È a questi che dovresti dare la precedenza.

Per farlo a volte aiuta persino scriverli su un post-it appeso davanti al tuo schermo o all’interno dell’agenda. Insomma tenerli dove puoi vederli quando le urgenze di qualcun altrǝ cercano di farsi spazio nelle tue giornate. In quei momenti può risultare difficile dire di “no” o ergere paletti. Se sai cosa stai proteggendo diventa più facile.

No, non darai la tua disponibilità per il progetto pro-bono presso l’associazione di cui fa parte il cugino di secondo grado, perché hai la tua newsletter da scrivere. O anche solo no, non incontrerai per un caffè una persona che ti vuole presentare una proposta a freddo, ma te la farai mandare per email.

Organizzati per tempo

Come faccio io, già a gennaio quando uso il pennarello per colorare la visualizzazione mensile di settembre. Ma più semplicemente cominciando già all’inizio dell’estate a non prendere impegni per le prime settimane di rientro. Allenati a scadenziare con cura i ‘richiami’ alla clientela e a chi collabora con te. Non più il solito “ne riparliamo a settembre”, ma a seconda delle reali necessità del progetto “ne riparliamo a ottobre” o persino “a novembre”.

Poi metti l’impegno sull’agenda. Che sia cartacea come la mia, o digitale, o anche solo un’app calendario, non cambia. Scriviti l’appunto nel momento esatto in cui hai deciso di richiamare. Meglio ancora, scrivi oggi l’email e programma fin d’ora l’invio per il momento giusto (Gmail ha reso la funzione attiva per tuttз da qualche tempo).

Se hai l’abitudine di organizzarti il mese in anticipo questi impegni già segnati ti aiuteranno anche in futuro a prevedere il carico di lavoro in modo omogeneo. E se non hai questa abitudine… creala 😉 Non ti dico di comprarti la mia agenda con il video-corso in cui insegno come dosare l’organizzazione del mese e della settimana, perché è settembre e hai abbastanza da fare.

Ma magari segnatelo per ottobre 😉

Difendi il tuo ritmo

Se fai lo stesso lavoro da diversi anni (in proprio o in un’azienda) e sei una persona efficiente, con ogni probabilità le tue giornate scorrono secondo routine oliate. Magari neanche ne sei consapevole. Eppure appena ti siedi alla scrivania apri la posta elettronica, alle 10 vai a prendere il caffè, alle 14 leggi le newsletter di aggiornamento. E così via.

Anche inconsapevolmente, ma più spesso imparando ad ascoltare le tue esigenze e organizzarti, hai disegnato le tue giornate per la massima efficienza. È proprio questo ritmo che ti permette di passare indenne settembre quindi difendilo. Se nuovз collaboratorз cercano di farti cambiare abitudini non accettare il cambiamento passivamente. Pretendi di sapere le motivazioni alla base di questo diverso sistema e prenditi il tempo per integrarlo con il tuo.

Non lasciare campo libero alle persone per metterti appuntamenti e/o impegni in orari per te inadatti. Usa uno strumento come la condivisione del tuo calendario di Google o Calendly per dare ampie disponibilità ma nei limiti della tua organizzazione.

Rinegozia tutto il possibile

Se nonostante tutti questi accorgimenti è il 20 di settembre e non tiri più fiato sappi che quasi qualsiasi scadenza si può rinegoziare. Basta farlo con ampio anticipo, offrendo garanzie sulla qualità e il completamento del progetto, e con cortesia.

Parti dalle attività e dagli appuntamenti meno urgenti e offri da subito una nuova data. Non fermarti a un appuntamento. Se ne puoi rinegoziare cinque, fallo per tutti. Prima di tutto non è detto che tutte le persone coinvolte accettino, ma anche fosse è settembre e ogni margine di libertà sarà il benvenuto!

Copertina di Thomas Dils/Unsplash

Archiviato in:cose di organizzazione Contrassegnato con: agenda, organizzazione tempo, pianificazione

Come sopravvivere quando c’è una pandemia globale

Aprile 3, 2020 da Barbara

Giuro che non volevo scriverlo l’ennesimo post di consigli autoreferenziali su cosa fare “al tempo del Coronavirus”. Poi Kelli Lamb mi ha chiesto di regalarle un post per il suo blog personale, e siccome Kelli è la direttrice della mia rivista online di interni preferita mica potevo dirle di no. E poi, mio malgrado mi son ritrovata a raccontare quel che facciamo in casa anche su Instagram, e da cosa nasce cosa e alla fine mi son detta che tanto valeva scrivere qualcosa anche per il mio di blog.

Questo post non prevede alcun metodo infallibile e unico per uscire sani di mente, magri e ricaricati, dall’esperienza di un prolungato lockdown, né contiene un decalogo di azioni (sono troppo impegnata a sopravvivere per curarmi della SEO e dei titoli click-bait).

Piuttosto è un elenco di modi in cui, volendo, si può sopravvivere.

E comincia proprio da qui.

La parola chiave è sopravvivere.

Il periodo che stiamo affrontando è una minaccia per il nostro benessere:

  1. fisico, siamo all’inizio di una pandemia globale che durerà fino all’immunizzazione del 70% della popolazione tramite vaccino, quindi realisticamente per altri 18 mesi;
  2. economico, la contrazione economica globale repentina sta già mettendo in crisi il sistema globale, e la situazione resterà seria per molti mesi;
  3. psicologico, l’incertezza per il futuro, la paura per l’incolumità nostra e delle persone a cui vogliamo bene, l’assenza prolungata di contatti sociali, sono e saranno i nostri fedeli compagni di viaggio.

Si riassume così: passatemi la vodka.

In questo contesto non ha francamente senso avere ambizioni grandiose sugli obiettivi che potremo raggiungere, perché per quanto impegno possiamo mettere nel provare a realizzarli, questo è il momento per eccellenza in cui la vita mostra il dito medio e fa un po’ quel che le pare.

Quindi, per quel che mi riguarda, ho abbassato le aspettative al minimo cosmico: sopravvivere, respirare, mangiare, dormire, ecc. Con il bonus aggiunto che qualsiasi cosa in più riesca a fare mi sento Beyoncé!

Che sia chiaro, non sto lanciando un manifesto per l’ozio (non che ci sarebbe niente di grave), piuttosto il mio consiglio è essere molto molto generosi con noi stessi, e ancora più attenti a tenere sotto controllo le aspettative. Le nostre, e quelle degli altri.

Lo stesso vale nel lavoro. Se avete clienti o datori di lavoro che si aspettano da voi i salti mortali in questo periodo… difendetevi come potete perché si tratta di richieste senza senso.

Se avete un’impresa vostra, concentrate le vostre poche energie e risorse nel farla sopravvivere. Che in alcuni rari casi può voler dire stravolgere l’organizzazione dell’impresa, ma nella maggior parte dei casi si tratta semplicemente di ridurre all’osso le attività per poterle portare a termine al meglio, lasciando un ricordo significativamente migliore sui vostri clienti di altri concorrenti che magari hanno deciso proprio in questi mesi di costruire da zero un ecommerce e magari non riescono a stare dietro alla logistica…

Le routine salvano la vita.

Non sono glamour, non sono divertenti, richiedono tempo per prendere piede. Ma salvano davvero la vita.

Anche qui il consiglio è applicabile sia per le persone sia per le aziende e i liberi professionisti.

Le routine aiutano le persone a creare un’illusione di certezza e di controllo. Se ogni giorno compiamo sempre le stesse azioni, significa che in parte sappiamo in anticipo cosa succederà un dato giorno e l’impatto paralizzante dell’incertezza sul futuro sarà minore. È vero, non sappiamo quando finirà la pandemia, ma sappiamo che domani ci alzeremo alle 7, faremo il letto, mangeremo la colazione, ci laveremo, indosseremo dei vestiti che abbiamo selezionato la sera prima, caricheremo una lavatrice, e così via.

Più semplice, naturale (nel senso che contenga azioni che facciamo con naturalezza) e piacevole è la routine, più sarà facile abituarcisi. Conquistare una routine ci regala un successo facile ma che ci fa sentire in grado di controllare la nostra vita.

Per un’azienda coltivare le routine vuol dire consolidare le buone prassi (dalla gestione degli ordini ai processi di igienizzazione e sicurezza) e ridurre i costi e le possibilità di errore.

Socializzare poco per socializzare meglio

L’umanità di suo, nei momenti di crisi, checché appaia dai flashmob e dalle raccolte fondi, non ci fa una grande figura. I social network sono popolati di umanità, quindi non sorprende che non siano esattamente il posto migliore dove socializzare in questo periodo.

Personalmente trovo particolarmente difficili da gestire i canali che si affidano alla parola, dove insomma emergono soprattutto le opinioni delle persone. Ho scoperto che non solo non mi aiuta leggerle, ma in linea di massima mi provoca reazioni davvero violente.

I post che mi porterebbero diretta all’alcolismo, se non avessi smesso di frequentare Twitter e Facebook (se non da browser, e se ho motivi lavorativi rilevanti), sono questi:

  • post di insegnanti che si lamentano continuamente di ciò che viene loro richiesto;
  • post che commentano con superiorità ogni notizia che viene dal Governo e ogni reazione a quella notizia. Non va mai bene niente anche se no, nessuno sa quale sarebbe la cosa giusta da fare;
  • post di persone senza bambini che prendono in giro chi sta impazzendo in casa con i figli (appartentemente è perché non li abbiamo saputi educare, non perché non è normale per un bambino rimanere mesi senza l’opportunità di giocare con i coetanei e muoversi);
  • post pieni di retoricah (ma quelli non li sopportavo neanche prima);
  • post di denuncia contro tutti quelli che infrangono le regole del distanziamento sociale. In particolare quelli che cominciano con “anche io vorrei… ma mi trattengo/faccio un sacrificio…”. Che facciano una bella denuncia anonima alla Polizia come tutte le vecchiette che si rispettano;
  • tutti i post “andrà tutto bene”. Prima di tutto perché è una stronzata e crea aspettative irrealiste. Poi perché deresponsabilizza la gente. Per come la vedo io, come andranno le cose, dipende da un sacco di fattori, prima di tutto come ci comportiamo. Non da un roseo lieto fine predeterminato;
  • tutti i post che parlano della fase 2 come “la ripartenza”, “la riapertura”, ecc.

Certo, se scrivere e leggere questo genere di post vi fa sentire bene, lungi da me togliervi questo piccolo piacere. Insomma, fate come vi pare. Ma prestate più attenzione del solito ai segnali di insofferenza per non ritrovarvi a litigare poi con quelli che convivono con voi per colpa di quel che ha scritto qualcuno che neanche conoscete.

Intanto, se non li avete già nella vostra vita, cercatevi qualcuno che vi piace con cui sentirvi ogni tanto, con cui parlare di cose che vi piacciono e dedicate a loro il vostro tempo sociale.

Va bene fare del bene, ma occhio a non farsi del male.

Spendere e spandere per sostenere i business che amiamo e poi ritrovarsi senza soldi per mangiare tra tre mesi non è una volpata.

Lo stesso discorso vale per le risorse emotive che avete a disposizione: spenderle e spanderle telefonando a tutte le persone in difficoltà psicologica che conoscete, per poi ritrovarvi esausisti e depressi attaccati a una bottiglia… non è la cosa giusta da fare.

Ormai l’isteria collettiva “siamo tutti nella stessa barca” si è esaurita, adesso è il momento di fare un preciso punto della situazione risorse, rivederlo spesso, e dosare ogni investimento esterno.

Non è cattiveria, è sopravvivenza.

Immagine di copertina di John Cameron/Unsplash.

Archiviato in:cose di organizzazione Contrassegnato con: lavorare da casa, pianificazione

Cosa vuol dire per me progettare uno stile di vita

Marzo 6, 2020 da Barbara

Tanto tempo fa in una galassia lontana lontana, prima di avere un esaurimento, organizzavo matrimoni. Avevo un modello di business straordinariamente personale eppure del tutto insostenibile psicologicamente. Come spesso mi accade non avevo fatto tesoro dei miei stessi consigli, o lo avevo fatto solo in parte.

A distanza di quasi tre anni, pur non avendo risolto tutti i miei errori di allora, posso dire di essere riuscita a disegnarmi uno stile di vita sostenibile e che mi fa stare bene. Non a caso parlo di stile di vita e di disegnarlo, perché ho sempre l’impressione che parlare di organizzazione, tempo, e vita o lavoro sia riduttivo e limitante.

Qui è dove mi prendo lo spazio per spiegare compiutamente di cosa parlo quando parlo di progettare uno stile di vita.

Sono arrivata a pensare in termini di “lifestyle design” nel 2016, per lanciare una serie di servizi personali di strategia e organizzazione (sono di nuovo disponibili, qui). Si trattava di consulenze create intorno alle mie capacità di organizzazione, alle mie conoscenze di strumenti utili a pianificare e dare forma alle strategie, e al mio approccio incondizionatamente dalla parte dei miei clienti.

Per la prima volta avevo deciso di mettere tutto questo al servizio di ogni donna che avesse difficoltà a ritagliarsi una vita che rispecchiasse davvero la propria identità e i propri desideri, senza farsi influenzare dalle aspettative esterne.

Cosa intendo per lifestyle design

A prescindere dalla scelta del 2016 di un termine inglese per amore di brevità, il concetto di “disegnarsi uno stile di vita” mi piace per diversi motivi.

Tanto per cominciare quando si parla di stile di vita il lavoro non è necessariamente centrale.

Trovo che gli approcci che danno per scontato che la vita di una persona sia determinata dalla sua professione, da ciò che fa per lavoro, partano di per sé con un bias culturale che rischia di silenziare le reali aspirazioni della persona.

Per intenderci, il percorso Designing your life di Dave Evans e Bill Burnett, giunto a fama planetaria proprio nel 2016 con un libro dallo stesso titolo, pur parlando di “vita”, è pensato per aiutare le persone a trovare una vocazione professionale che permetta loro di avere una vita “gioiosa” e “piena”.

Ma cosa succede se una persona, legittimamente, preferisce costruire la propria vita intorno a un’altra vocazione, non lavorativa? Cosa succede a chi sceglie un lavoro manuale e ripetitivo solo per avere uno stipendio e poi dedicare il proprio tempo libero ad altro? Un’autista di autobus non ha la possibilità di vivere una vita “gioiosa” e “piena”?

Il concetto che la vita di ciascuno di noi sia fortemente determinata dal lavoro che facciamo è molto culturalmente definito (a dirla tutta, molto Statunitense). Ma io, per esempio, non mi ci identifico affatto. Non ritengo che ciascuno di noi sia definito da ciò che fa, ma da ciò che è. Persino le persone per cui il lavoro è il cardine della propria esistenza (e per loro il metodo Evans e Burnett è sicuramente indicato) secondo me sono in quella condizione perché hanno fatto una scelta consapevole che deriva dalla loro identità.

Ma al contrario da ciò che Evans, Burnett e generazioni di motivatori Statunitensi pensano, il lavoro che scegliamo non può sempre essere determinato dalla nostra vocazione e motivazione. Spesso dipende da altri fattori, come la fortuna e le opportunità, che come sappiamo non sono pari per tutti, dalle scelte che altri fanno per noi, dal nostro genere, dal colore della nostra pelle, dall’accento con cui parliamo la lingua del paese in cui decidiamo di vivere. E potrei andare avanti.

Quello che nessuno può influenzare, se non glielo permettiamo, che non dipende così pesantemente da fortuna, tempismo, e scelte altrui, è la nostra identità. Chi siamo.

Quando parlo di stile di vita io intendo precisamente l’applicazione dell’identità di ciascuno di noi alla sua vita.

E questa scelta, lo scopo (anche non professionale) che abbiamo nella vita, con chi decidiamo di stare, quello che decidiamo di fare del nostro tempo, può compierla liberamente chiunque, a prescindere dalle sue scelte professionali.

Perché non parlare di vita e basta, allora? Perché la vita, come il lavoro, non dipendono soltanto da noi. Non viviamo in un tunnel di plexiglass che corre verso il nostro obiettivo, ma in ecosistemi fluidi in cui le scelte microscopiche di un bambino dall’altra parte del mondo possono avere ripercussioni anche su quello che succede a noi.

Pensare di poter controllare e influenzare complessivamente la propria vita, in ogni sua singola unità di tempo, è arrogante e del tutto irrealistico. Meglio quindi concentrarsi sullo stile che vogliamo che abbia, sulle sue linee guida. Sapere la direzione in cui ci vogliamo muovere, senza voler definire ogni singola tappa, ci permette di rimanere flessibili lungo il percorso e più reattivi agli imprevisti.

Nel 2016 non sapevo nulla del metodo di Evans e Burnett perché del libro ancora non si parlava in Italia, ma la scelta di usare il verbo “design” nel senso di “progettare” e pianificare insieme, per me è stata programmatica.

Il mio “design” non è un metodo, non suggerisco di applicare il design thinking alla costruzione del proprio stile di vita. Prima di tutto perché ritengo che non esista un unico metodo per fare le cose correttamente, proprio come non esiste un metodo adatto a tutti per imparare una certa disciplina.

La mia progettazione è un approccio, piuttosto.

Disegnare per me è tracciare su carta i confini di un’esistenza che ci farà sentire realizzati, per creare uno schema dentro cui muoverci più sicure, libere dal panico da pagina bianca che spesso ci porta a guardare più facilmente al passato che al futuro.

La metafora della scrittura per lo stile di vita ha sempre avuto grande risonanza per me, non a caso ho trovato una frase di Luisa Carrada relativa alla scrittura che spiega benissimo il mio approccio allo stile di vita:

Il segreto per non cadere preda dell’ansia e del blocco della pagina bianca è… non avere davanti una pagina bianca. Riempiamola con il programma di viaggio, che definiremo via via con maggiore precisione. Non limita la nostra libertà, ci sbarazza invece di qualche patema d’animo.

– Luisa Carrada, Scrivere, che bello!

Un approccio per femmine

Come quando parlavo di lifestyle design nel 2016, anche quando lo faccio oggi mi riferisco a una consulenza per donne. Non è una questione di semplice posizionamento, ma è una scelta che si fonda sulla convinzione che le persone che più hanno bisogno di un percorso di “progettazione di stile di vita” siano femmine. Donne dalla nascita o dalla loro scelta di diventare donne, poco importa.

Le aspettative e gli sguardi del mondo sono innegabilmente più pesanti sulle spalle delle femmine della nostra razza, non foss’altro perché la biologia apparentemente fa gravare su di noi l’obbligo della procreazione. Anche per quello il corpo delle donne è terreno di battaglia dalla notte dei tempi.

Per una femmina (mi ostino a dire femmina e non donna perché questo è un discorso di genere, non solo di sesso) progettare uno stile di vita è anche un’azione politica, proprio perché spesso si dà per scontato che non ci sia nulla da progettare. Al massimo da scegliere se vuole una famiglia o no (e anche lì la “scelta” è raramente libera).

Offrire una consulenza di questo tipo solo alle femmine non è un modo per dire che la responsabilità di tenere in equilibrio le scelte di vita resta alle donne, è invece un modo per permettere loro di giocare ad armi pari, di offrire gli strumenti per scegliersi dei percorsi di vita senza farsi influenzare dalle aspettative, le opinioni e le richieste degli altri.

Nell’ultimo anno ho ricominciato a offrire consulenze di lifestyle design, e ora sono di nuovo prenotabili anche sul mio sito. Spero che questo post abbia chiarito cosa si cela dietro questa definizione di comodo. Soprattutto vorrei che avesse chiarito cosa non vuole essere.

Il lifestyle design non è né coaching né terapia né organizzazione personale

Non è coaching, perché non c’è alcun rapporto gerarchico tra una guida (io) e un’allieva.

In un percorso di lifestyle design tutte le analisi, le risposte, le decisioni e le scelte sono in mano alla persona che lo affronta. Il mio ruolo di consulente si esaurisce nel mettere a disposizione strumenti, cercarli quando ancora non sono noti, e offrire domande e ascolto, una cassa di risonanza per le scelte di chi affronta il percorso.

Potresti farlo da sola? Ovviamente sì, non ho inventato niente in termini di strumenti. Ma il mio contributo tutto personale è la capacità di ascoltare senza giudicare, davvero. Perché “vale tutto” per me è un principio guida.

Non è terapia perché non ha alcuna ambizione di risolvere o “curare” patologie, disagi, disturbi psicopatologici, di fare emergere aspetti inconsci.

Un percorso di progettazione è del tutto consapevole e attivo. Attinge sì a riflessioni, emozioni, desideri ma per lavorare sul fuori da noi, sull’impatto che possiamo avere su ciò che ci circonda. Non è un lavoro sul sé, ma sulla manifestazione di quel sé.

Ti serve una psicoterapia? Anche senza conoscerti per me la risposta è sempre sì. Un percorso di psicoterapia, qualsiasi tu ti possa permettere in termini di tempo, denaro, energia, servirebbe a tutti, secondo me.

Non è organizzazione personale perché non presuppone che si parta da un punto di partenza di disorganizzazione, da risolvere con l’applicazione di un metodo chiaro e univoco.

Un percorso di lifestyle design può avere senso anche quando pur essendo persone organizzate dobbiamo rivedere il nostro stile di vita nel suo complesso. E può capitare di dover ripetere un percorso di lifestyle design nel corso della vita, perché siamo cresciute o abbiamo cambiato idea o sono cambiate radicalmente le nostre circostanze.

Ti insegna a organizzarti? In parte sì, ma non è detto. Perché non è detto che sia un elemento che ti serve. È una consulenza e anche per questo si modula sulle reali esigenze di chi la richiede.

Spero di essere stata chiara e completa. Se così non fosse mi raccomando scrivimi e chiedi!

Archiviato in:cose di organizzazione Contrassegnato con: cura di sé, motivazione, pianificazione, trovare uno scopo

45 giorni per prepararmi al nuovo anno

Novembre 15, 2019 da Barbara

babepi #45daysyearend challenge

Quanto ci vuole a prepararsi a un nuovo anno per essere pronti a cogliere tutte le opportunità che ha da offrire? 5 minuti affogati in un flûte di plastica? Un paio d’ore per trasferire le date importanti da un’agenda all’altra? Una mezza giornata per mettere giù una bozza di pianificazione? Due giorni di mastermind intensivo? Una settimana di workshop? Per me vale tutto, ma quest’anno per diverse ragioni ho deciso di dedicare 45 giorni a mettere le basi del 2020. Questo post è per chi si vuole unire a me.

Da dove sono partita

Tutto è cominciato quando mi sono resa conto che a gennaio vado ad Atlanta (a fare questa cosa qui) e che dovrei arrivarci con alcune cose messe in ordine sul sito, nel mio branding e nel mio business model.

Ma da qui a gennaio lavorerò tutti i fine-settimana (con una eccezione), più tutti i giorni ai progetti lanciati in agenzia e ai piani di comunicazione 2020 per i clienti.

Un minuto dopo essermi accorta della situazione:

via GIPHY

Come spesso mi accade, è stato proprio in questo momento che mi sono detta: “perché non aiutarmi a portare a termine l’eroica impresa con una challenge di ispirazione?!” Cioè, in buona sostanza, aggiungendo un ulteriore impegno alla lista degli esistenti?

E così, per un misto di pazzia, puntiglio e intuizione, è nata l’idea di usare gli ultimi 45 giorni dell’anno per sistemare tutto quello che devo sistemare, ma facendo una sola, piccolissima cosa ogni giorno. E fotografandola su Instagram. Che ha il duplice beneficio di costringermi a farla dovendo mostrarne le cose, e animare il mio profilo dall’andamento vagamente discontinuo.

Come funzionerà

Dal 17 novembre, per 45 giorni, intraprenderò la mia pubblica impresa di azioni quotidiane per prepararmi a un anno che si annuncia assai strano e forse determinante.

Oggi su Instagram apparirà la grafica che riassume i 45 giorni, che chi vuole potrà usare anche come promemoria di dove seguire me e chiunque abbia deciso di aderire. Nel caso voi facciate parte di quelli che hanno voglia/bisogno di farsi spronare dal gruppo.

Le attività in elenco sono di sette tipi:

  • cose per stare bene di testa/cuore
  • cose da affrontare a piccoli passi
  • cose per semplificarsi la vita
  • cose per (ri)cominciare a creare
  • cose per stare bene di corpo
  • cose per badare ai soldi
  • cose per organizzare il lavoro

Sono le aree in cui ho bisogno di tenermi sveglia io, ma mi sono sforzata di renderle adatte a tutti.

Chiunque può partecipare

Infatti non bisogna avere un’attività, grandi progetti per il futuro o sogni nel cassetto per partecipare. Non serve neanche avere buoni propositi per l’anno nuovo, o essere il tipo di persona che li formula, per dire.

Per dirla tutta si può essere di qualsiasi genere/sesso/età/ecc. e in qualsiasi fase della propria vita, perché questa sfida non ha né un punto di partenza né un punto di arrivo prestabiliti.

La preparazione al nuovo anno secondo me ha senso se:

  1. scuote il nostro metabolismo di realtà, quindi il modo in cui digeriamo ciò che vediamo, viviamo, sentiamo
  2. ci allena ad affrontare l’esistenza con un senso di scopo

Insomma, non si tratta di controllare il futuro attraverso una pianificazione certosina, ma svegliarsi dal torpore del tran tran e recuperare consapevolezza dei propri desideri e della propria influenza.

Se ne sentite il bisogno, unitevi a me.

La challenge è terminata, ma se pensi di avere bisogno di un periodo di reset ora puoi scaricare gratuitamente la serie di suggerimenti e completare i quarantacinque giorni ogni volta che ne senti l’esigenza. Clicca qui per scaricare il quaderno.

C’è un hashtag da usare

Non per vezzo, ma per aiutare chi ne ha bisogno a sentirsi parte di un gruppo che insieme compie un’impresa.

Sono un tipo solitario (faccio da sola anche yoga) ma capisco che altre personalità possano sentire la necessità del “conforto del branco” o di un sistema di accountability. Per voi che siete così l’hashtag sarà un modo per sentirvi vincolat* da un impegno condiviso.

Per me sarà un modo per trovare ispirazione, quando ne sentirò il bisogno e scoprire come punti di vista diversi interpretino attività che di norma svolgo quasi in automatico.

L’hashtag è #45daysyearend. Non è facilissimo né originale, ma era libero e quindi me lo sono preso.

Le istruzioni arrivano per email

Se volete approfondire quello che sta dietro ogni azione giornaliera, niente paura. Ogni domenica a chi lo desidera manderò un messaggio email con un elenco delle attività per i sette giorni successivi e due righe di spiegazione per ciascuna. Dal secondo messaggio ci sarà anche un piccolo riassunto di come sono andati i sette giorni precedenti per me.

Saranno email molto brevi e pratiche, senza offerte di prodotti/servizi o altro, né bisogno di interagire. Saranno stampabili così potrete portarvi dietro gli appunti.

Potrete disiscrivervi dalle email in ogni momento o quando la sfida è finita, o continuare a ricevere mie notizie in futuro, se e quando deciderò di fare altre attività simili. Nell’ultima mail troverete tutte le informazioni per scegliere consapevolmente.

Vale tutto, anzi #valetutto

Non ci sono regole precise. Si può aderire per un giorno, cinque, tutti, nessuno e stare a guardare quel che succede.

L’unica vera regola è: non fatevi prendere da sensi di colpa e/o sensi di inadeguatezza se cominciate e poi abbandonate. Quel lunghissimo elenco là sopra è uno strumento: se serve lo usate, altrimenti scartatelo senza scrupoli.

Ultime cose

Già la sento arrivare la domanda: perché la grafica è in inglese? E anche l’hashtag?

La risposta è semplice: l’inglese è la lingua in cui mi organizzo, in cui faccio progetti, in cui spesso sogno, in cui scrivo più facilmente le idee creative che mi vengono. Ogni giorno su Instagram ci sarà anche la traduzione italiana dell’attività del giorno e ovviamente le email sono tutte in italiano. Ma grafica e hashtag restano in inglese.

Direi che è tutto. Se ci sono altre cose poco chiare, scrivetemi nei commenti o DM su Instagram, cercherò di rispondervi rapidamente.

Ci vediamo domenica!

Archiviato in:cose di organizzazione Contrassegnato con: finding purpose, motivation, pianificazione, trovare uno scopo

Il momento migliore per fare planning

Dicembre 21, 2018 da Barbara

diario di babepi | fare planning

“Ma tu che organizzi sempre tutto, quando pensi sia meglio fare il planning professionale?” È una domanda che mi sono sentita fare spesso. In qualche occasione ho dato anche rapide risposte, di quelle semplici e poco complicate che ci piacciono tanto, ma che non sono mai la risposta veramente giusta. Perché la realtà è raramente semplice e spesso parecchio incasinata. Siccome dicembre è per me effettivamente un mese di planning ho deciso di scrivere un post per dare quella risposta che non ho mai tempo di dare e la gente di sentirsi dire.

La verità è che il momento migliore per fare planning non esiste. Potrebbe essere uno qualsiasi e sicuramente varia a seconda della persona, di quello che fa, e del momento della vita in cui si strova.

Per essere maggiormente utile e chiara ho deciso di delineare alcuni scenari.

Pianificazione da calendario italiano di una persona con figli

Quando si hanno bambini in età scolare (cioè fino ai 18 anni circa, di fatto) ci sono di solito tre momenti in cui è conveniente fare bilanci e in cui si ha più possibilità di trovare il tempo e la tranquillità necessari per fare programmi a lungo termine, e questi tre momenti coincidono con le ferie scolastiche: Pasqua, vacanze estive, vacanze Natalizie.

Coincidentalmente trovo che siano tre momenti che si prestino discretamente bene anche al calendario fiscale italiano:

  • a dicembre si chiude la contabilità dell’anno ed è possibile fare bilanci e decidere correzioni e cambi di rotta per l’anno successivo. È il momento ideale per fissare obiettivi di vendita e pietre miliari dell’anno successivo. Il planning di dicembre è di solito ricco di riflessioni, che sono spesso più accurate del solito perché beneficiano di 12 mesi pieni di dati che si prestano a rappresentare un anno tipo di attività. È il momento giusto per sognare in grande in termini di pianificazione e di obiettivi a lungo termine. Anche perché di solito tutto si ferma intorno a noi (professionalmente parlando) e abbiamo modo di passare tempo con chi amiamo e chi ci ama veramente, un ottimo promemoria delle priorità sostanziali;
  • a marzo/aprile viene naturale mettere mano ai macro-obiettivi ambiziosi dell’anno e rimetterli in ordine sulla base dei feedback ottenuti nel primo trimestre. Io per esempio considero aprile un mese di pausa dalle attività giornaliere/settimanali legate ai miei macro-obiettivi, sospendo le mie sequenze di abitudini per dare spazio a verifiche e un po’ di sano “go with the flow” che mi permette spesso di capire quanto le abitudini si siano radicate, siano ancora una lotta o semplicemente non siano davvero adatte a me;
  • ad agosto, di nuovo complice la sospensione lavorativa, funziona benissimo fare un pre-bilancio dell’anno per intervenire correttivamente sugli obiettivi di vendita. Non solo, agosto per me è anche l’occasione per una specie di pre-planning dell’anno successivo, con gli ultimi 3-4 mesi dell’anno dedicati a testare le potenzialità di eventuali cambi di rotta o a lanciare attività specifiche sulla base di quanto mi sono goduta i primi due terzi dell’anno.

Va da sé che se si opera nel commercio, per esempio, o nell’insegnamento, questa calendarizzazione non regge altrettanto bene e va senz’altro adattata ai ritmi diversi. Ma lì si torna a monte: come tutte le cose importanti, il momento per fare planning dipende.

La pianificazione situazionale

Al di là dei mesi di calendario, i momenti migliori per fare planning secondo me sono anche quelli in cui ne sorge l’esigenza per contingenza.

  • quando succede qualcosa di drammatico nella tua vita, in positivo o in negativo, è demenziale pensare di poter proseguire come se nulla fosse con i piani progettati in condizioni drasticamente diverse. Più ancora che demenziale è pericoloso e rischia di farti trovare impreparata alle conseguenze di ciò che è successo. Per questo quando si verifica un evento che stravolge i propri ritmi bisognerebbe fermarsi sempre e rivalutare qualsiasi piano si è fatto, partendo da quelli a breve-medio termine. Il distacco forzato che questa pianificazione richiede è anche un ottimo modo per affrontare il tutto senza farsi prendere eccessivamente da emotività e sconforto;
  • quando il nostro corpo ci lancia segnali di allerta, fisici o psicologici, vale sempre la pena ascoltarsi e fermarsi a rivalutare una pianificazione che magari è stata fatta sulla base di condizioni ideali, ma che così com’è non è effettivamente sostenibile;
  • quando si inizia un nuovo ciclo è utile inaugurare una nuova pianificazione per poter affrontare questo ciclo con obiettivi adeguati;
  • ogni volta che si ha tempo per un reset anche minimo è utile rimettere mano a qualsiasi planning che si è impostato per verificare se e come funziona.

I malintesi della pianificazione

Quale che sia il momento in cui si decide di mettere mano al planning ci sono alcuni malintesi diffusi a cui si dovrebbe cercare di sfuggire:

  1. “le pianificazioni impostate vanno seguite alla lettera” – FALSO! Al contrario un buon planning, a qualsiasi livello, è più uno schema di riferimento, una mappa che permette di mettere in ordine di priorità le attività che dobbiamo o vogliamo compiere. È anche un ottimo metodo per automatizzare tutte le attività indispensabili e ripetitive (amministrative o tecniche) che tendiamo a dare per scontate, e che quindi è facile trascurare o dimenticare di fronte agli imprevisti;
  2. “pianifico tutto per evitare imprevisti” – FALSISSIMO! Gli imprevisti non sono (salvo rari casi) evitabili proprio perché non sono prevedibili. Gli imprevisti sono per definizione ineludibili, avvengono, che lo si voglia o no. Una pianificazione fatta bene ha l’obiettivo di farti trovare pronta quando gli imprevisti arrivano, perché ti ha permesso di svolgere le attività fondamentali e tenere in ordine la tua attività, liberandoti tempo per affrontare gli imprevisti senza paura di perdere di vista il resto;
  3. “il planning è uno strumento di lavoro, nella vita non ne ho bisogno” – Perché? Il tuo lavoro di cosa fa parte? Della vita di qualcun altro?! Pensare che solo le attività strettamente professionali abbiano bisogno di essere organizzate è come minimo ingenuo. Nessuno ti obbliga ad avere un piano quinquennale per tutta la famiglia che descriva come e dove vivrete tra x anni, ma nel momento stesso in cui imposti una pianificazione di attività ed eventi professionali dovresti tenere sotto mano anche una pianificazione personale. Per chi ha esseri umani con cui convivere o che dipendono da sé questo concetto è di solito ovvio. Ma anche se si vive soli, non si ha una relazione stabile né progetti di “mettere su famiglia” (come orrendamente dicono le nonne), i piani che si mettono nero su bianco per il lavoro incidono sulla propria esistenza. Se non ti sei chiesta in anticipo quanto tempo libero vuoi nell’anno, cosa è importante per te, cosa vuoi fare della tua vita personale, come pensi di poter imbastire un piano lavorativo che si fonda sulle energie che ci puoi investire e sulla tua capacità di concentrarti?

Io faccio così

Lead by example (letteralmente “guida con il tuo esempio”) è una di quelle cose che non mi riesce per nulla facile fare. Da eccellente teorica e ricercatrice, sono più del genere “fai come dico non come faccio”, eppure la pianificazione è ancora un’attività che non solo pratico attivamente, ma che mi aiuta anche tantissimo. Negli anni ho oliato i meccanismi, ancora faccio ricerche su nuovi strumenti/sistemi almeno una volta all’anno, ma nel complesso ho creato un sistema che per me funziona perché non solo è praticabile, ma produce piani che trovo semplice seguire.

Io, dunque, faccio così:

  1. parto dai miei obiettivi complessivi, quelli che investono ogni sfera della mia esistenza, dalla salute agli affetti, dal tempo libero al lavoro. Affrontare così la pianificazione mi permette di mettere tutto in prospettiva e assicurarmi che io non prenda decisioni dettate dalla bolla o dal contesto, ma fondate su priorità profonde e personali;
  2. il lavoro preparatorio che faccio sugli obiettivi è fondato sul processo ideato da Lara Casey a completamento dei suoi Powersheets. Come ogni anno è da pochi giorni partita la sua serie di post sull’argomento e se non sapete da che parte cominciare vi consiglio di seguirla perché è utile a prescindere dallo strumento fisico che poi usate. In effetti basta avere carta e penna. Io personalmente non lo seguo alla lettera, ho imparato a prendere le parti che preferisco e sicomme la fede religiosa non è un elemento guida del mio processo mi sono ritagliata una versione laica che funziona al meglio per me. Quest’anno l’ho stampata in un fascicolo che vi mostro nei prossimi giorni nelle Storie di Instagram. Non uso più i Powersheets dopo averli comprati per anni e nonostante siano anche graficamente un prodotto spettacolare, semplicemente perché ho preferito integrare molti degli strumenti (in particolare la Tending List) direttamente nell’agenda che mi disegno da due anni;
  3. una volta identificati i macro-obiettivi dell’anno che verrà (di solito sono dai 5 ai 9) li divido in micro-attività, alcune una tantum mensili, altre regolari settimanali, altre ancora giornaliere, che riguardano le abitudini da costruire per concorrere al raggiungimento degli obiettivi o piccoli task non ripetitivi che costruiscono i macro-obiettivi. Fatto il brainstorming delle micro-attività le metto in ordine di priorità e/o di cronologia procedurale in modo che siano pronte ad essere inserite in agenda;
  4. è in questa fase che esamino con più attenzione gli obiettivi che fanno parte della sfera prettamente professionale e li trasformo in un pianificazione strategica, con obiettivi di fatturato, prodotti/servizi da sviluppare, strategie di lancio e di marketing. Di solito per questa parte uso uno strumento di planning professionale americano, tra diversi che negli anni ho testato. Vario spesso, ma in tutta onestà sono tutti abbastanza simili;
  5. di solito alla fine del mese precedente l’inizio dell’anno (e poi sempre alla fine di ogni mese) inserisco in agenda le attività ottenute dal lavoro su tutti gli obiettivi (personali e professionali). È un’occasione in cui compilare anche una pagina di bilancio mensile che ho disegnato per la mia agenda, in modo da verificare se le attività settimanali/mensili/giornaliere da inserire per il mese successivo sono effettivamente quelle che avevo indicativamente previsto. Nell’anno identifico sempre anche tre mesi (aprile, agosto e dicembre) di refresh in cui non inserisco attività programmate se non alcuni momenti di: revisione obiettivi, decluttering e aggiustamenti alla pianificazione professionale;
  6. questo planning complessivo infine si innesta sul mio schema della settimana ideale che visualizzo con una bacheca Trello (che trovate qui, se volete copiare. Ho tolto le cose più specifiche giusto per renderla più utile). Non è mica che io lo segua alla perfezione, eh. Ma ho programmato l’apertura della desktop app Trello al login su questa finestra e la tengo sullo sfondo qualsiasi cosa stia facendo nell’arco della giornata. È un ottimo modo per rimanere *abbastanza* in riga.

Infine, un ultimo consiglio. La pianificazione per ovvi motivi è un processo molto personale, ma se lavorate insieme a qualcuno, che sia un team o un/a partner occasionale, vale la pena prevedere anche una fase di planning comune. Quest’anno per esempio io ho dedicato due giorni di dicembre a una specie di planning retreat con l’amica/collega con cui condivido quasi il 70% del lavoro. Abbiamo compilato insieme ciascuna il proprio planning e stabilito obiettivi strategici comuni che si integrino con le considerazioni personali di ciascuna, in modo che il lavoro che faremo insieme sia organico e compatibile rispetto ai nostri obiettivi personali.

E questo è tutto dal 2018. Ci rivediamo qui l’anno prossimo. Non vi faccio gli auguri, ma fate tanto casino nel frattempo, mi raccomando!

Immagine di copertina di Tirza van Dijk/Unsplash.

Archiviato in:cose di organizzazione Contrassegnato con: agenda, obiettivi, pianificazione

Footer

babepi è Barbara

Dal 1997 babepi è il nickname di Barbara Pederzini, cioè io. Dal 2009 lo uso per lavoro, per proporre eventi, contenuti e formazione a piccole e grandi aziende.

Vuoi saperne di più? Non mordo.

  • LinkedIn
  • Pinterest
  • Twitter

BABEPISTOLE

Iscriviti alla newsletter:

Dove trovarmi

Sono basata a Modena, ma seguo clienti in tutta Italia e nel mondo se serve.

Lavoro dal lunedì al venerdì, dalle 9:00 alle 16:00.

Scrivimi

copyright © 2022 · babepi di Barbara Pederzini · PIVA 03284240367
Privacy Policy · Cookie Policy
built with WordPress & Genesis Framework